Chi more pe' mme, il primo disco dei Cosang, prende vita fra Napoli e Londra. Il primo pezzo in assoluto, e non avrebbe potuto essere altrimenti, è “Int'o rione”, dentro il rione.
Di “Int'o rione” scrivo il ritornello e il beat lo faccio a casa mia a Londra, nel quartiere di West Hampstead, dove vivo nel 2003-2004 con Paki, Franky B e Angelo, tutti ragazzi della primissima scena rap napoletana. È Angelo, che è appena arrivato a Londra e col quale divido la stanza, a darmi una grossa mano prestandomi il computer. Prendo il campione dalla colonna sonora di Il favoloso mondo di Amélie composta da Yann Tiersen, poi ci faccio la batteria e lo metto a girare a loop per gioco, ma non penso assolutamente di lasciarlo perché mi suona troppo commerciale. Poi lo sente Giannino, O'Iank dei Fuossera, e mi fa: «Fra’, ma tu over’ staje facenn’? Chill’ sona accussì bbell’». Quindi resta così, poi scriviamo il testo con Antonio, avendo in testa il rap anni Novanta della East Coast, roba molto street di New York, come Nas, Mobb Deep, Wu-Tang Clan, Biggie. Siamo fan della scena newyorkese, perché il Bronx è uguale a Secondigliano. Qualche anno fa il regista Spike Lee è venuto a Napoli, per una conferenza sul cinema, e ha detto proprio la stessa cosa dopo essere passato davanti al carcere di Secondigliano. Quando noi guardiamo i video della East Coast vediamo una realtà così simile alla nostra che “Int‘o rione” nasce proprio per raccontarla. Siamo così dentro e così vittime dell'ambiente in cui viviamo che riusciamo a raccontarlo solo urlando, come se dicessimo: «Guagliù, venitece a ddà ‘na mano». Tutto nasce sicuramente dalla voglia di raccontare cose forti, di strada, di vita reale, tipo quelle che si vedono nei film ma che invece rappresentano la nostra vita di tutti i giorni; ma anche dalla voglia di denuncia, come per dire: guardate come cazzo vive la nostra gente.

– Luchè, Il giorno dopo (Rizzoli, 2019)

La regia è nostra, con l'aiuto dei ragazzi [dei Fuossera, ndr] che girano le immagini. Dentro c'è tutto il nostro quartiere, il rione è lo sfondo
del quadro: i palazzoni di cemento, le bare tatuate in petto, i bambini che giocano fra le bottigliette usate per fumarsi il crack, un campo da basket come tributo a un'altra periferia lontanissima eppure proprio dietro l'angolo di casa, motociclette che impennano alzando la ruota davanti. E il volo dei soldi da un piano alto di un
palazzo, come succede quando ci sono le retate della polizia, così da restituirgli il valore della carta straccia.

– Luchè, Il giorno dopo (Rizzoli, 2019)