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Document 52002IE1018
Opinion of the Economic and Social Committee on "The impact of enlargement on EMU"
Parere del Comitato economico e sociale sul tema "L'impatto dell'allargamento sull'UEM"
Parere del Comitato economico e sociale sul tema "L'impatto dell'allargamento sull'UEM"
GU C 61 del 14.3.2003, p. 55–60
(ES, DA, DE, EL, EN, FR, IT, NL, PT, FI, SV)
Parere del Comitato economico e sociale sul tema "L'impatto dell'allargamento sull'UEM"
Gazzetta ufficiale n. C 061 del 14/03/2003 pag. 0055 - 0060
Parere del Comitato economico e sociale sul tema "L'impatto dell'allargamento sull'UEM" (2003/C 61/12) In data 1o marzo 2001, il Comitato economico e sociale ha deciso, conformemente alle disposizioni dell'articolo 23, paragrafo 3, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema "L'impatto dell'allargamento sull'UEM". La sezione Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori in materia, ha formulato il parere sulla base del rapporto introduttivo del relatore Vever, in data 3 settembre 2002. Il Comitato economico e sociale ha adottato il 19 settembre 2002, nel corso della 393a sessione plenaria, con 42 voti favorevoli, 1 voto contrario e 4 astensioni, il seguente parere. 1. Sintesi 1.1. Le due trasformazioni principali dell'Unione europea, ossia la creazione dell'Unione economica e monetaria e l'allargamento, pur creando nuove sfide l'una all'altra, dovranno in definitiva completarsi a vicenda. Per adeguarsi a tali mutamenti occorre adottare una strategia globale e cooperativa, che tenga conto delle sfide sia economiche che sociali. 1.2. Il Comitato sottolinea che, per prepararsi all'UEM in modo efficace, i paesi candidati dovranno portare a termine tutte le fasi preparatorie all'insegna della stabilità e del rispetto dei criteri di Maastricht. Tale stabilità dovrà essere fondata, in primo luogo, sui criteri di Copenaghen, che presuppongono l'esistenza di un'economia sana e competitiva, in grado di rispondere a tutte le esigenze dell'acquis comunitario. Ciò richiede in particolare la promozione del dialogo con organizzazioni di parti sociali e strutture socioprofessionali che siano al tempo stesso rappresentative ed efficaci. 1.3. Il Comitato osserva quindi che l'allargamento dell'UEM dovrà essere portato avanti in modo molto rigoroso, tramite una valutazione severa dei meriti di ciascun paese in tale prospettiva, per evitare di creare difficoltà strutturali ai nuovi membri e di compromettere l'equilibrio interno ed esterno dell'euro. 1.4. Allo stesso modo, per evitare di protrarre eccessivamente il processo di adesione all'UEM dei nuovi Stati membri, il Comitato raccomanda ancora una volta di prevedere l'ingresso di questi ultimi nel meccanismo di cambio europeo SME II sin dall'adesione all'UE. 1.5. Il Comitato auspica che le modalità per un adeguamento efficace degli organi direttivi della BCE all'allargamento vengano stabilite al momento della conclusione dei negoziati di adesione, senza rinviare tale decisione ad una data ulteriore. 1.6. Il Comitato sottolinea la necessità di rafforzare i mezzi autonomi di cui è dotato l'Eurogruppo, di fronte alla prospettiva imminente di un considerevole aumento, in seno al Consiglio, del numero degli Stati membri non facenti parte della zona euro. 1.7. Il Comitato osserva che vi saranno maggiori problemi di trasferimenti di bilancio nell'UEM allargata: a tale proposito è necessario inquadrare in una prospettiva globale le riforme, in corso di attuazione, di diverse politiche comunitarie (ad es. politica agricola e politica regionale) e prevedere un rafforzamento delle risorse proprie dell'UE per il dopo 2006. 1.8. Il Comitato chiede che si vigili sugli effetti che l'allargamento dell'UEM produrrà sulle economie prossime e vicine all'UE. 1.9. Il Comitato invita la Convenzione sul futuro dell'Europa a dare spazio al tema dell'allargamento dell'UEM (ad es. questioni istituzionali, pratica della sussidiarietà, forme di cooperazione) nelle proprie riflessioni e nell'elaborazione delle proprie conclusioni. 2. Osservazioni preliminari 2.1. Sia l'UEM che l'allargamento rappresentano dei cambiamenti fondamentali che incideranno profondamente sullo sviluppo dell'UE nei prossimi anni. Condotto in modo adeguato, ciascuno di essi concorrerà al rafforzamento dell'UE. Presi nel complesso, non mancheranno di influenzarsi reciprocamente, complicando senz'altro numerosi elementi. Nel tempo, tuttavia, essi appaiono sempre più destinati a produrre effetti complementari piuttosto che contrastanti. Tutto dipenderà dalla capacità dell'UE e dei suoi Stati di adeguarsi a tali nuove esigenze e di porre in essere le sinergie necessarie. 2.2. Di fronte ad un allargamento che tenderà ad agire come una forza centrifuga, mettendo inevitabilmente alla prova la coesione dell'UE, il vantaggio principale dell'UEM sarà la capacità di fungere invece da forza centripeta, strutturante e rassicurante, contribuendo a rafforzare tale coesione su basi sane e stabili, anche nei confronti degli Stati dell'UE che, pur invitati a farne parte, non sono ancora membri della zona euro. 2.3. L'allargamento stesso offrirà nuove opportunità di sviluppo per l'UEM, con la prospettiva di un raddoppio graduale dei membri della zona euro (fino a comprendere Polonia, Ungheria, Repubblica ceca, Slovacchia, Estonia, Lituania, Lettonia, Slovenia, Cipro, Malta, Romania e Bulgaria, nonché la Turchia, con cui devono ancora essere avviati i negoziati di adesione). Per questi futuri membri, l'euro presenterà numerosi vantaggi economici, contribuendo ad attirare gli investimenti, nonché a rendere più dinamici i mercati finanziari e più sicuri gli scambi commerciali. L'allargamento comporterà anche maggiore sicurezza politica per l'UE nel suo insieme. L'UE allargata costituirà un'area significativa nell'economia mondiale, basata sui principi dello stato di diritto e della certezza giuridica. Sul piano internazionale, l'impatto che l'allargamento avrà, nel senso di rafforzare oppure indebolire il peso specifico e l'influenza della moneta europea, in particolare rispetto al dollaro, dipenderà dal modo in cui l'allargamento stesso verrà condotto ed assimilato (nonché da altri possibili sviluppi riguardanti i tre Stati dell'UE rimasti per il momento al di fuori della zona euro, ossia il Regno Unito, la Danimarca e la Svezia). 2.4. È comunque evidente che nell'insieme l'allargamento imporrà nuove sfide all'UEM. In un primo tempo l'adesione di nuovi Stati membri all'UE modificherà profondamente i termini della coesistenza tra zona euro e zona non euro, poiché quest'ultima diverrà quantitativamente più numerosa. Mentre infatti nell'Europa dei 15 la zona euro composta di 12 Stati membri coesiste con altri tre Stati non euro, in un'Europa con 25 membri essa coesisterà con 13 Stati non euro. In seguito, mano a mano che tali nuovi Stati membri entreranno nella zona euro, l'UEM si troverà essa stessa in una situazione nuova, con una diversità interna molto più marcata (il PIL degli Stati candidati rappresenta soltanto il 6 % di quello dei 12) che renderà parimenti più complesso il coordinamento ed il controllo delle politiche economiche e di bilancio. 2.5. Il Comitato sottolinea quindi la necessità di avviare una strategia globale per prepararsi a controllare le prevedibili interazioni tra allargamento e UEM. Tale strategia dovrà essere politica, cooperativa e contrattuale, e coinvolgere: - per le riforme riguardanti le istituzioni e l'organizzazione delle competenze, l'attuale Convenzione sul futuro dell'Europa, che associa opportunamente tutti i paesi candidati; - per la gestione politica dell'UEM, gli Stati e le istituzioni dell'UE; - per il consolidamento dei fondamenti economici e sociali dell'UEM, gli ambienti economici, le parti sociali e gli altri soggetti della società civile organizzata, i quali dovranno esercitare pienamente le libertà autonome di cui dispongono, ma in uno spirito di responsabilità e, spesso, tramite approcci contrattuali e di partenariato. 2.6. Tale strategia dovrà affrontare due questioni fondamentali: 2.6.1. da un lato, garantire una preparazione più efficace all'UEM dei paesi candidati: ciò comporta l'esigenza di concordare e mettere in atto con ciascuno degli Stati candidati strategie adeguate di adesione al sistema; 2.6.2. d'altro lato, adeguare l'UEM all'Europa allargata: ciò impone di riflettere fin d'ora su un programma globale che interesserà tutti i futuri Stati membri. 3. Una preparazione efficace all'UEM dei paesi candidati 3.1. Le prospettive giuridiche e politiche 3.1.1. Il trattato di Amsterdam e gli impegni di preadesione sottoscritti dai paesi candidati indicano chiaramente che tali paesi non potranno avvalersi di alcuna deroga politica di tipo "opt out", come quelle che sono state accordate in via eccezionale al Regno Unito e alla Danimarca. Anche se appare evidente che i nuovi Stati membri non potranno aderire all'UEM in coincidenza con il loro ingresso nell'UE, essi dovranno fare il possibile per entrarne a far parte quanto prima, conformandosi alle diverse discipline preparatorie. Il Comitato si rallegra di questo legame, formalmente instaurato dall'UE in accordo con i paesi candidati, che sancisce la loro intenzione di aderire all'UEM non appena avranno soddisfatto tutti i criteri previsti. 3.1.2. Si può così constatare che il processo di integrazione dei paesi candidati nell'UEM comprenderà le quattro fasi seguenti. 3.1.2.1. Già nel corso dell'attuale periodo di preadesione, i paesi candidati devono dedicarsi al recepimento dell'acquis comunitario anche in settori chiave per l'UEM: ciò comporta in particolare la liberalizzazione dei movimenti di capitali, la rinuncia ad ogni privilegio statale di finanziamento del settore pubblico, la garanzia di uno statuto di indipendenza delle rispettive banche centrali. 3.1.2.2. Al momento dell'adesione, i nuovi Stati membri saranno già tenuti a rispettare molte delle discipline economiche comunitarie, anche se non saranno ancora in grado di partecipare all'UEM. Dovranno quindi accettare gli obiettivi dell'UEM, riconoscere che la loro politica di cambio e la loro politica economica sono ormai questioni di interesse comune nel quadro dell'UE, prevenire deficit eccessivi, accettare il Patto di stabilità e di crescita, nonché progredire nell'adeguamento ai criteri di Maastricht. Analogamente agli Stati membri, essi saranno sottoposti, in occasione del vertice europeo d'autunno, al controllo annuale del rispetto degli indirizzi di massima per le politiche economiche e degli orientamenti per l'occupazione e, in occasione del vertice europeo di primavera, al controllo dell'attuazione degli impegni presi a Lisbona in materia di riforme strutturali in campo economico, sociale ed amministrativo (ad es. politiche riguardanti l'istruzione, l'innovazione, il mercato del lavoro, la protezione sociale, il settore pubblico, ecc.). 3.1.2.3. Un'altra tappa preliminare obbligatoria sarà la partecipazione di tali paesi al meccanismo di cambio dell'euro, nel quadro dello SME II, analogamente a quanto avviene oggi per la Danimarca. Tale partecipazione allo SME II dovrà essere garantita per almeno due anni, prima di poter aderire all'UEM. 3.1.2.4. Infine, l'ultima tappa dell'adesione all'UEM dovrà essere oggetto, per ciascun nuovo Stato partecipante, di una decisione circostanziata del Consiglio, su proposta della Commissione, che tenga conto della capacità economica dello Stato in questione e, in particolare, della sua conformità con i criteri di Maastricht, ossia: - un tasso di inflazione che non oltrepassi di oltre l'1,5 % la media dei tre Stati membri che hanno fatto registrare i tassi d'inflazione più bassi; - tassi di interesse a lungo termine che non superino di oltre il 2 % la media dei tre Stati che hanno fatto registrare i tassi di inflazione più bassi; - un deficit di bilancio vicino o inferiore al 3 % del PIL; - un debito pubblico non superiore al 60 % del PIL, a meno che non sia comprovata la tendenza a raggiungere tale percentuale; - una stabilità dei tassi di cambio della moneta nazionale che rientri in un margine di fluttuazione di +- 2,25 % rispetto all'euro. Inoltre, le banche centrali nazionali devono avere uno statuto che ne garantisca l'indipendenza rispetto agli Stati e prefiggersi come obiettivo la stabilità dei prezzi conformemente agli obiettivi dell'articolo 2 del trattato sull'Unione europea. 3.2. Le esigenze economiche e sociali 3.2.1. Così come le condizioni politiche e giuridiche previste dal trattato e dalle dichiarazioni dei vertici europei prevedono un approccio graduale alla preparazione all'UEM dei paesi candidati, allo stesso modo anche le esigenze economiche e sociali, legate all'attuazione del Patto di stabilità e di crescita, impongono un rispetto rigoroso di quest'articolazione in fasi successive. Una buona preparazione all'UEM impone di non "bruciare le tappe" all'interno degli Stati candidati: diversamente, la crescita e gli investimenti di questi ultimi potrebbero essere ostacolati da una politica monetaria e fiscale troppo rigorosa, e ciò nuocerebbe anche alla coesione dell'UEM nell'Europa allargata. È assolutamente necessario evitare ogni rischio di trovarsi in futuro in una situazione di stallo, scoprendo dopo il loro ingresso nell'UEM che l'uno o l'altro dei nuovi Stati membri non riesce a rispettarne tutte le regole. Vi sono poi anche altre ragioni che invitano a procedere senza precipitazione. In primo luogo, il valore esterno dell'euro, fattore chiave della sua stabilità, non deve subire gli effetti dell'allargamento dell'UEM; in secondo luogo gli Stati della zona euro non hanno ovviamente alcun interesse all'emergere di eccessive tensioni interne dovute a differenziazioni troppo marcate ed asimmetriche. Allo stesso modo, i vincoli di bilancio che gravano sugli Stati membri e sull'UE non consentirebbero di rispondere a richieste di maggiore sostegno dovute all'integrazione accelerata di nuovi Stati nella zona euro. 3.2.2. Occorre insistere in particolare sulla necessità, per gli Stati candidati, di consolidare la loro apertura economica nonché la capacità concorrenziale di cui dispongono. Un presupposto essenziale è costituito dal buon funzionamento, senza ostacoli, del mercato dei capitali (non soltanto per gli investimenti mobiliari ma anche per quelli fondiari e immobiliari), dal rafforzamento del settore bancario e finanziario (al quale contribuiscono le partecipazioni in aumento da parte di istituti dell'UE), dal divieto di ogni finanziamento del settore pubblico da parte della Banca centrale nazionale e infine dalla presenza di istituzioni in grado di vigilare efficacemente sull'attuazione delle leggi e dei regolamenti e di controllare il buon funzionamento dei mercati. Tali esigenze possono giustificare delle ispezioni dell'UE, in collegamento con gli ambienti socioprofessionali. 3.2.3. È quindi indispensabile porre con cura delle basi solide e durature per il successo dell'introduzione dell'euro nei paesi candidati, assicurandone - ancora prima della conformità ai criteri di Maastricht, che presuppone anche la comparabilità dei dati statistici - il consolidamento del tessuto economico e sociale (ad es. produttività, clima sociale, adeguamento del settore pubblico, sviluppo delle PMI, ecc.). La convergenza "nominale", per essere duratura e generare profitti, deve essere fondata su una convergenza "reale". Infatti, non si può pretendere di rispettare in modo duraturo i criteri di Maastricht senza aver raggiunto una soglia critica di sviluppo e di apertura dell'economia. Si può persino verificare che un paese candidato, in apparenza più lontano di un altro dal rispetto dei criteri di Maastricht, si riveli in realtà più progredito sul piano del consolidamento della sua apertura economica, e quindi della sua preparazione effettiva alla successiva integrazione nell'UEM. Inoltre va osservato che, dopo l'adesione, alcuni nuovi fattori potranno rendere temporaneamente più arduo il rispetto dei criteri di Maastricht per i nuovi Stati membri. Bisognerà quindi aspettarsi nuove pressioni inflazionistiche, dovute all'incidenza dei nuovi prezzi agricoli o dei trasferimenti dei fondi strutturali. Pertanto le condizioni imprescindibili di una buona preparazione alla successiva integrazione nell'UEM sono, da un lato, una preparazione rigorosa ai criteri fissati per l'adesione all'UE e, dall'altro, un adeguamento effettivo alle conseguenze economiche e sociali derivanti da tale adesione. 3.2.4. Accanto all'adeguamento ai nuovi dati economici e giuridici, occorre quindi accordare un'attenzione particolare al consolidamento del quadro istituzionale e sociale nei paesi candidati. Ciò riguarda in primo luogo la promozione del ruolo delle parti sociali e un migliore funzionamento del mercato del lavoro. Lo sviluppo di organizzazioni rappresentative e il miglioramento della concertazione tra le parti sociali e con il governo devono contribuire direttamente ad un coordinamento efficace delle politiche macroeconomiche e di adeguamento sociale, in particolare nel quadro dei processi di Cardiff, Colonia e Lisbona. Le parti sociali degli attuali Stati membri ed il Comitato economico e sociale, tramite i comitati consultivi misti, devono sostenere le organizzazioni socioprofessionali degli stati candidati organizzando scambi e programmi di informazione e formazione. 3.2.5. L'ultima relazione annuale della Commissione del novembre 2001 sullo stato di questi preparativi e, in particolare, sull'adozione dell'acquis comunitario esprime già una valutazione incoraggiante per dieci dei dodici Stati candidati che stanno negoziando l'adesione all'UE, mentre la Romania e la Bulgaria devono compiere ancora degli sforzi per rispondere ai criteri previsti per l'ingresso nell'UE (e a maggior ragione per quanto riguarda la prospettiva di aderire successivamente all'UEM). 3.2.6. Dopo l'adesione si porrà senz'altro il problema di mantenere una pressione perché continuino i preparativi per l'allargamento dell'UEM. A questo proposito vanno formulate due osservazioni: 3.2.6.1. Da un lato, bisogna essere consapevoli del fatto che il "big bang" costituito dall'ingresso simultaneo di dieci nuovi Stati membri nell'UE, pur aprendo una prospettiva diretta di allargamento dell'UEM, non garantirà necessariamente l'accelerazione di tale processo: i 15, la Commissione e la Banca centrale potranno infatti voler adottare una discriminazione più rigorosa per la fase successiva, ossia l'adesione all'UEM. Anche se si può prevedere che alcuni dei nuovi Stati membri saranno in condizione di aderire all'UEM in tempi brevi, altri rischieranno indubbiamente di restare più a lungo nella zona non euro. 3.2.6.2. Tuttavia, se da un lato non bisogna bruciare le tappe del cammino verso l'euro, dall'altro non ci si dovrà neppure limitare ad adottare un atteggiamento attendista e lasciare che i nuovi Stati membri restino troppo a lungo nella categoria dei non euro. Infatti il rischio sarebbe, a lungo termine, di frazionare l'unità del mercato unico incitando, più o meno, tali paesi ad applicare con minore rigore le politiche necessarie per partecipare all'UEM. Si dovrà quindi trovare un equilibrio tra queste due diverse esigenze. 3.2.7. Una risposta efficace consisterebbe nell'assicurare la partecipazione dei nuovi Stati membri al meccanismo di cambio dello SME riveduto (SME II). Il Comitato, che ha già formulato tale raccomandazione nel parere dell'aprile 2001(1) sui criteri economici per l'adesione, la ripropone in questa sede, in quanto essa consentirebbe di: 3.2.7.1. inserire già la politica di cambio dei nuovi Stati membri in un quadro comunitario; 3.2.7.2. esercitare in questo modo una pressione volta a far sì che tali paesi continuino a prepararsi attivamente all'UEM; 3.2.7.3. porre in essere i presupposti giuridici indispensabili a tale preparazione eliminando ogni rischio di "opt out" da parte di uno o più di questi paesi nei confronti dell'UEM, in quanto in contrasto con la rinuncia espressa ad ogni deroga di carattere politico; 3.2.7.4. preservare un margine sostanziale di flessibilità delle variazioni di cambio, che rimarrebbero autorizzate all'interno di un margine di +- 15 %, evitando così di imporre qualsiasi rigidità prematura e salvaguardando una notevole capacità di adeguamento economico e sociale. 3.2.8. Al momento di decidere sull'ingresso effettivo nell'UEM, dopo almeno due anni di partecipazione al meccanismo di cambio, sarà opportuno verificare non solo se i criteri di Maastricht siano effettivamente rispettati, ma anche se tale rispetto venga ottenuto a condizioni tali da garantirne la sostenibilità. 3.2.9. Molto prima del loro ingresso nell'UEM, numerosi Stati candidati avranno già utilizzato l'euro come moneta veicolare accanto alla loro valuta nazionale, come alcuni facevano con il marco tedesco, ad esempio, prima della diffusione dell'euro in banconote e monete. Questa libertà di utilizzare l'euro nelle transazioni commerciali può offrire a tali paesi numerosi vantaggi pratici, contribuire alla capacità di attrazione internazionale dell'euro, ed inoltre far sì che i cittadini acquisiscano dimestichezza con una moneta che in futuro diverrà la loro. Essa non basterà tuttavia ad attivare di per sé l'integrazione nell'UEM, che dipenderà da tutti gli altri criteri già menzionati riguardanti aspetti economici, finanziari, di bilancio e anche, in uguale misura, societali. 3.3. Gli aiuti dell'UE 3.3.1. Gli aiuti finanziari dell'UE, concordati a titolo di preparazione all'adesione e poi di accompagnamento nei primi anni dell'adesione (Agenda 2000), costituiscono un importo considerevole: l'accordo di Berlino del marzo 1999 aveva già previsto, per il periodo dal 2000 al 2006 compreso, una ventina di miliardi di euro per gli strumenti di preadesione e una cinquantina di miliardi, se necessario a partire dal 2002, per i nuovi Stati membri. 3.3.2. Il 30 gennaio 2002 la Commissione ha presentato un aggiornamento(2) di questi dati finanziari provvisori per tenere conto di due nuovi sviluppi intervenuti successivamente: - da un lato, lo spostamento della data prevista per le prime adesioni al 2004; - dall'altro, il fatto che per la prima ondata di adesioni non si prevedono più cinque o sei nuovi Stati membri, bensì dieci. 3.3.3. In vista dell'adesione di dieci nuovi Stati membri nel 2004, i nuovi orientamenti della Commissione prevedono quindi di stanziare, per il periodo 2004, 2005 e 2006, 40 miliardi di EUR in impegni e 28 miliardi in pagamenti. Tale proiezione resta nei limiti del massimale del bilancio dell'UE e, in particolare, dell'accordo pluriennale di Berlino, pur collocandosi nella parte alta della fascia stabilita. 3.3.4. Questa dotazione non pregiudica la realizzazione di future riforme delle politiche agricole, regionali e di bilancio. Essa prevede piuttosto un graduale disimpegno degli aiuti dei fondi strutturali destinati a talune regioni dell'UE un tempo prioritarie, una transizione di dieci anni prima di corrispondere pagamenti diretti agli agricoltori dei nuovi Stati, il pagamento da parte dei nuovi Stati dei contributi al bilancio comunitario sin dal primo anno dell'adesione (dati che devono ancora essere confermati nel quadro dei negoziati di adesione). Per il Comitato, è chiaro che l'adesione impone un'accelerazione del processo di adeguamento delle politiche agricole, regionali e di bilancio. 3.3.5. In una seconda relazione(3) presentata lo stesso giorno, la Commissione rammenta anche la questione fondamentale rappresentata dal futuro della politica della coesione a partire dal 2007. In un'Europa che conterà da 25 a 27 Stati membri il rapporto tra le disparità regionali del PIL raddoppierà, passando da 1 a 3 ad 1 a 6. Oltre ai trasferimenti all'Est, la Commissione raccomanda d'altronde una politica di sostegno che non si limiti alle regioni meno sviluppate dell'UE, anche se sarà necessario ridefinire gli obiettivi (ad es. città, montagne, regioni di confine, zone periferiche). Il Comitato, dal canto suo, constata che i costi dell'allargamento rischiano di porre in termini nuovi, al più tardi a partire dal 2007, la questione dei livelli dei contributi versati dagli Stati membri e quella delle risorse dell'UE. Le riforme in corso di attuazione per diverse politiche comunitarie (ad es. politica agricola e politica regionale) dovranno essere inquadrate in una prospettiva globale, e si dovrà ovviamente prevedere un rafforzamento delle risorse proprie dell'UE. 3.3.6. Nel primo semestre 2001 il Consiglio Ecofin ha convenuto di avviare una cooperazione più stretta con i ministri delle finanze e i governatori delle banche centrali degli Stati candidati, che prenderà la forma di inviti a tali paesi da parte di ogni presidenza semestrale del Consiglio e di relazioni periodiche del Consiglio Ecofin sulla loro situazione economica. Il Comitato si rallegra dello sviluppo di tale cooperazione per la convergenza economica e propone che essa venga approfondita anche con altre formazioni del Consiglio direttamente interessate da questo obiettivo, in primo luogo il Consiglio Occupazione e affari sociali (in particolare per quanto riguarda la preparazione degli Stati candidati ad attuare gli orientamenti per l'occupazione). 3.3.7. Inoltre, il Comitato constata con soddisfazione l'intensificarsi delle relazioni tra la Banca centrale europea e quelle dei paesi candidati, che si svolgono ormai a scadenze regolari, con il ricorso tra l'altro a programmi operativi di sostegno (ad es. contatti bilaterali, tirocini di formazione, metodi di aggiornamento dei dati statistici, ecc.). Nella maggioranza degli Stati candidati le banche centrali possono essere considerate indipendenti (anche se, in alcuni casi, ci vorrà ancora tempo perché sia pienamente radicata un'autentica cultura di indipendenza e di stabilità). In ogni caso, ciascuno Stato candidato dovrà garantire tale indipendenza al momento dell'ingresso nell'UE. 3.3.8. Il Comitato si compiace infine della partecipazione degli Stati candidati al vertice di Barcellona del marzo 2002. Tale iniziativa dei quindici va nella direzione raccomandata dallo stesso Comitato nel parere adottato nell'aprile 2001 sui criteri economici per l'adesione, in cui proponeva di associare gli Stati candidati all'attuazione del mandato di Lisbona del marzo 2000, secondo cui l'Europa dovrebbe diventare, entro il 2010, l'economia fondata sulla conoscenza più competitiva e dinamica al mondo. Infatti, la preparazione degli Stati candidati prima all'adesione e successivamente all'UEM non può che trarre vantaggio dalla loro partecipazione diretta alle riforme economiche, sociali ed amministrative imposte da detto mandato. 4. Un adeguamento riuscito dell'UEM all'Europa allargata 4.1. I cambiamenti istituzionali 4.1.1. Una prima sfida sarà quella del numero: i governatori delle banche centrali dei nuovi Stati membri saranno invitati a partecipare, sin dall'adesione, al Consiglio generale della BCE, ma non ancora al Consiglio dei governatori (al quale parteciperanno solo una volta entrati a far parte dell'UEM). In particolare, la composizione del consiglio direttivo della Banca centrale europea dovrà essere riformata e ridimensionata per preservarne l'efficacia dopo l'allargamento. Va osservato che il trattato di Nizza non ha affrontato l'aspetto della riorganizzazione della Banca centrale europea dopo l'allargamento, in particolare la revisione del principio "un uomo, un voto", limitandosi a rinviare tale questione al Consiglio, tramite una clausola di abilitazione. Non è certo che i governatori delle banche centrali nazionali riescano essi stessi a trovare una soluzione, mentre attualmente la riflessione degli Stati sembra essere giunta ad un punto morto. Invece il tempo stringe: sarebbe infatti preferibile risolvere la questione al momento della conclusione dei negoziati di adesione piuttosto che attendere, qualche anno più tardi, il primo allargamento dell'UEM. Il Comitato auspica quindi che le modalità per un adeguamento efficace degli organi direttivi della BCE all'allargamento vengano stabilite alla conclusione dei negoziati di adesione, senza rinviare tale decisione ad una data successiva. In particolare, va rammentato che in pratica, nell'UEM allargata, il funzionamento della Banca centrale sarà sempre meno regolato dal voto all'unanimità e sempre più dal voto a maggioranza. Occorre dunque garantire sin d'ora la disponibilità di tutti gli strumenti istituzionali necessari a tal fine. 4.1.2. Una seconda sfida sarà quella della diversità, tenuto conto, in particolare, dei grandi scarti di sviluppo tra i diversi paesi, scarti che potranno essere ridotti, e a maggior ragione riassorbiti, soltanto in modo molto graduale. 4.1.2.1. In una prima fase l'UE dovrà affrontare la sfida costituita da una maggiore differenziazione quantitativa e qualitativa tra gli Stati membri della zona euro e quelli della zona non euro, la quale è destinata ad ampliarsi considerevolmente, mentre ora comprende solo tre Stati (Regno Unito, Danimarca e Svezia). Infatti, con l'imminente ingresso nell'UE di dieci nuovi membri, il numero di Stati della zona euro sarà inferiore a quello degli Stati non euro (12 contro 13). Una tale prospettiva solleva direttamente la questione di un'istituzionalizzazione dell'Eurogruppo, al fine di conferirgli lo status giuridico e i poteri di decisione di cui attualmente non dispone, e di non lasciare più al Consiglio Ecofin il potere di prendere le decisioni che lo riguardano direttamente. 4.1.2.2. In un secondo tempo, con l'ingresso di nuovi paesi nell'UEM, si porrà il problema di una differenziazione molto più marcata tra i suoi membri. Sarà necessario, in una UEM di 25 Stati, riesaminare questioni fondamentali quali la pratica della sussidiarietà, il ruolo dei parlamenti nazionali, la gestione cooperativa tra i membri. Bisognerà inventare forme nuove di cooperazione, tra cui, senza dubbio, una riforma fiscale europea. Come potranno essere avviate tali riforme? Con quale equilibrio democratico? Con quali poteri e contropoteri? Con quale compromesso, infine, tra metodo comunitario e metodo intergovernativo? Tutte queste tematiche dovrebbero essere affrontate nel quadro della Convenzione sul futuro dell'Europa. Si tratta di sfide riguardo alle quali la Banca centrale europea, il Consiglio e la Commissione dovranno esercitare una grande vigilanza. 4.2. I nuovi dati economici e sociali 4.2.1. È certo che non si deve sopravvalutare la ponderazione economica supplementare rappresentata dall'allargamento dell'UEM, se si considera che il PIL dei dodici paesi candidati rappresenta appena il 6 % di quello dei dodici della zona euro. Tuttavia, nella misura in cui l'UEM dovrà imparare a svilupparsi ad onta di una maggiore eterogeneità di situazioni economiche e sociali, molte questioni dovranno essere sollevate: in primo luogo nell'ambito della coesistenza tra zona euro e zona non euro, e in un secondo momento nel quadro della gestione di una moneta unica applicata ad economie che presentano notevoli differenze. Tali problematiche riguarderanno in particolare le variabili di adeguamento a tali nuove situazioni. 4.2.2. Le suddette problematiche comprendono, tra l'altro, discrepanze in materia di competitività e di produttività economica, differenze nei salari e infine i movimenti migratori, in particolare frontalieri, che potranno verificarsi all'interno della zona euro. Nel giro di un decennio o forse più, si potrà assistere a fenomeni di acculturazione che contribuiranno a dare maggiore omogeneità alla zona euro allargata (ad es. modalità di gestione degli Stati, corresponsabilità degli attori economici e degli interlocutori sociali, effetti del processo di riforme economiche e sociali concordato a Lisbona per il periodo 2000-2001). Nel frattempo, tuttavia, occorrerà anche gestire questa messa a confronto di sistemi e di economie nazionali molto diversificate. 4.2.3. A questo proposito, sarà particolarmente importante la questione dei trasferimenti di bilancio nell'ambito dell'UEM allargata. Fino ad oggi, l'UE ha scelto che l'UEM sia caratterizzata da un intervento federale limitato, da una messa in comune circoscritta delle risorse di bilancio e dall'assenza di un'armonizzazione fiscale significativa. Evidentemente, una differenziazione più marcata tra gli Stati dell'UEM porterà alla luce problemi nuovi, che questo tipo di configurazione potrebbe avere difficoltà ad affrontare: cfr. le questioni, cui si è fatto riferimento, relative a differenze notevoli tra fattori di produzione, i rischi di tensioni economiche o sociali, gli effetti di choc asimmetrici, ecc. Per questo motivo l'UE dovrà riesaminare, per il dopo 2006: - la questione dei trasferimenti operati dal bilancio europeo (fondo di coesione, aiuti, ecc.); - la questione delle risorse del bilancio europeo (verso un'imposta europea?); - ed anche altre questioni connesse, in particolare quelle riguardanti la fiscalità in Europa (disparità e concorrenza dei sistemi, ma anche incidenza globale dei prelievi). 4.3. Le ripercussioni a livello internazionale 4.3.1. L'euro è destinato a diventare una valuta internazionale d'importanza mondiale. Occorre far sì che l'allargamento dell'UEM avvenga in condizioni che rafforzino e non rimettano in discussione tale capacità di attrazione dell'euro a livello internazionale, che è una condizione indispensabile per il suo successo. 4.3.2. Occorre anche controllare gli effetti dell'allargamento dell'UEM sulle economie vicine e prossime all'UE, in particolare la Russia, l'Ucraina, la Bielorussia ed altri paesi dell'ex URSS, come pure i paesi mediterranei e gli Stati ACP. Bruxelles, 19 settembre 2002. Il Presidente del Comitato economico e sociale Göke Frerichs (1) "L'allargamento dell'UE: la sfida che devono affrontare i paesi candidati per soddisfare i criteri economici per l'adesione fillin titolo", GU C 193 del 10.7.2001. (2) SEC (2002) 102 def. (3) COM(2002) 46 def.