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Document 52015IE0503

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Dichiarazioni ambientali, sociali e sulla salute nel mercato interno» (parere di iniziativa)

GU C 383 del 17.11.2015, p. 8–13 (BG, ES, CS, DA, DE, ET, EL, EN, FR, HR, IT, LV, LT, HU, MT, NL, PL, PT, RO, SK, SL, FI, SV)

17.11.2015   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 383/8


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Dichiarazioni ambientali, sociali e sulla salute nel mercato interno»

(parere di iniziativa)

(2015/C 383/02)

Relatore:

Bernardo HERNÁNDEZ BATALLER

Il Comitato economico e sociale europeo, in data giovedì 22 gennaio 2015, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 29, paragrafo 2, del proprio regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema:

Dichiarazioni ambientali, sociali e sulla salute nel mercato interno

(parere d’iniziativa).

La sezione specializzata «Mercato unico, produzione e consumo», incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 9 giugno 2015.

Alla sua 509a sessione plenaria, dei giorni 1 e 2 luglio 2015 (seduta del 2 luglio 2015), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 135 voti favorevoli, 17 voti contrari e 14 astensioni

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

La comunicazione commerciale è uno strumento importante che consente alle imprese di distribuire i loro prodotti e servizi in modo trasparente, garantendo l’efficace funzionamento del mercato interno e al tempo stesso un elevato livello di tutela dei consumatori. Alcuni dei messaggi, tuttavia, non sono veritieri, o comprendono contenuti inesatti — basati su dichiarazioni ambientali, sociali, etiche o riguardanti la salute — che danneggiano le imprese che rispettano la normativa e i consumatori.

1.2.

Le comunicazioni in merito agli effetti ambientali o sociali dei prodotti e dei servizi viene misurata e comunicata, oggigiorno, mediante canali e formati distinti, nel quadro di differenti iniziative, con vari formati e conformemente a diversi metodi di valutazione. Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) considera importante che la Commissione proponga dei metodi per valutare e comunicare l’impatto ambientale globale dei prodotti e dei servizi. Occorrerebbe parimenti elaborare un inventario delle etichette ufficiali, specificandone il significato e indicando gli enti accreditati per la loro assegnazione, convalida e verifica. In ogni caso, i consumatori hanno diritto a disporre di informazioni chiare e precise sull’origine dei prodotti.

1.3.

Il CESE si attende che la Commissione riveda, a titolo di seguito della direttiva 2005/29/CE, gli orientamenti per facilitare l’accesso dei consumatori e delle imprese a informazioni affidabili e trasparenti e chiarisca l’applicazione delle dichiarazioni relative all’ambiente, agli aspetti etici e agli effetti sulla salute nella comunicazione commerciale.

1.4.

Nell’ambito della cooperazione amministrativa, l’amministrazione competente per il consumo dovrebbe eseguire, a livello di ciascuno Stato membro, un’indagine sulle dichiarazioni ambientali, sociali, etiche e relative alla salute, per poter valutare la situazione attraverso dati concreti.

1.5.

Occorre istituire a livello dell’UE un quadro giuridico coerente, completo e omogeneo per regolamentare la comunicazione commerciale online, rispettando il diritto alla riservatezza e perseguendo altri obiettivi di interesse pubblico.

1.6.

La Commissione e gli Stati membri, nell’ambito delle rispettive competenze, dovrebbero intensificare i loro interventi di vigilanza, controllo e sanzione relativi ai sistemi attuali di autoregolamentazione e di coregolamentazione in questo campo, comprese in particolare le dichiarazioni ambientali, sociali e relative alla salute, garantendo che gli organismi nazionali ed europei di autoregolamentazione pubblicitaria osservino le norme previste dalle disposizioni e dalle raccomandazioni dell’UE e, in particolare, per garantire un livello elevato di tutela del consumatore. Occorrerebbe inoltre informare le associazioni dei consumatori dell’elaborazione di codici di comportamento, in modo da coinvolgerle in tale esercizio.

2.   Introduzione

2.1.

Numerose imprese nell’UE forniscono ai consumatori informazioni complete, veridiche e trasparenti sulle caratteristiche essenziali dei beni e dei servizi offerti sul mercato. Tuttavia l’uso improprio di dichiarazioni ambientali, sociali e sulla salute sta arrecando pregiudizio alle imprese che rispettano le normative e ai consumatori che acquistano i beni e i servizi.

2.2.

Il diritto all’informazione rende possibile il funzionamento di un mercato interno più trasparente, e controbilancia le evidenti asimmetrie nel rapporto tra fornitori e consumatori.

2.3.

Il consumatore ha diritto a ottenere informazioni complete, veridiche e trasparenti sulle caratteristiche essenziali dei beni e dei servizi offerti sul mercato.

2.4.

L’informazione costituisce quindi un fattore determinante nelle decisioni di acquisto dei consumatori e degli utenti, e ciò vale sia per l’acquisto di un prodotto in base a una preferenza e a una selezione, che per l’esclusione di altri prodotti, meno idonei a soddisfare le esigenze e le aspettative dell’acquirente. Lo sviluppo tecnologico, a sua volta, consente alle imprese di rispondere in maniera sempre più specifica alle richieste dei vari tipi di consumatori, in un processo di fidelizzazione basato sulla personalizzazione dei prodotti, come avviene nel caso della commercializzazione one to one.

2.5.

In un modello di economia sociale di mercato, come quello previsto dal trattato, l’Unione non dispone di un quadro giuridico completo sulle comunicazioni commerciali. Il quadro esistente è infatti inutilmente complesso, incompleto, disomogeneo e a volte incoerente, perché comprende solo:

la direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (1), relativa alle pratiche commerciali sleali, riguardante esclusivamente le relazioni tra consumatori e imprese. Questa direttiva non pregiudica le norme dell’UE e degli Stati membri in materia di salute e, per quanto riguarda i servizi finanziari, gli Stati membri possono imporre requisiti più elevati o più restrittivi di quelli previsti dalla direttiva,

la direttiva 2006/114/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (2), concernente la pubblicità ingannevole e comparativa, applicabile alle relazioni tra imprese,

la direttiva 2010/13/UE del Parlamento europeo e del Consiglio (3), relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti la fornitura di servizi di media audiovisivi (direttiva sui servizi di media audiovisivi), che ha modificato la direttiva nota come «Televisione senza frontiere»,

nel settore alimentare vige il regolamento (CE) 1924/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio (4), relativo alle indicazioni nutrizionali e sulla salute fornite sui prodotti alimentari. Inoltre, in relazione ad altri settori connessi alla salute, come i cosmetici e i prodotti per la cura della persone, dei quali la Commissione sta già occupandosi,

la comunicazione relativa alla responsabilità sociale delle imprese (5) e la più recente comunicazione sulla strategia per il mercato unico digitale in Europa (6).

2.6.

La Commissione ha presentato varie comunicazioni e avviato un dibattito pubblico e sta occupandosi tra l’altro della cosiddetta «impronta ecologica» dei prodotti, che dovrebbe garantire un’informazione concreta ed esatta circa l’impatto ambientale dei prodotti lungo l’intero ciclo di vita.

2.7.

Sebbene l’evoluzione tecnologica migliori l’informazione dei consumatori, la regolamentazione della comunicazione commerciale online a livello dell’Unione è attualmente dispersa in vari testi (direttive su: commercio elettronico, protezione dei consumatori, tutela della vita privata nelle comunicazioni commerciali, pratiche commerciali sleali e altro). Il CESE ritiene che occorra presentare in futuro una proposta che costituisca il seguito della strategia approvata. Nell’immediato, tuttavia, occorrerebbe intraprendere un consolidamento che raccolga in testo unico la normativa vigente e prevenga le contraddizioni nei messaggi che utilizzano tale canale.

2.8.

D’altro canto il regolamento (CE) n. 2006/2004 sulla cooperazione in materia di tutela dei consumatori definisce già un quadro di cooperazione tra la Commissione e gli Stati membri, che andrebbe approfondito, per quanto riguarda i suddetti ambiti, per valutare le possibili infrazioni.

2.9.

I mezzi di ricorso variano considerevolmente da uno Stato membro all’altro; alcuni Stati forniscono direttamente ai tribunali risorse adeguate per l’applicazione delle norme, in altri si sono sviluppate differenti iniziative di autoregolamentazione e di coregolamentazione pubblicitaria, attraverso codici di comportamento e grazie all’istituzione di organi per la composizione extragiudiziale delle controversie in questo campo, che integrano la legislazione e i vigenti meccanismi amministrativi e giudiziari di verifica della conformità.

2.10.

Il problema è reso ancora più complesso da altre variabili:

le opzioni di un’etichettatura facoltativa,

gli effetti della politica di responsabilità sociale delle imprese,

una richiesta selettiva, da parte dei consumatori, di prodotti con caratteristiche speciali o specifiche, in risposta a una particolare preoccupazione,

la frequente insufficienza di efficaci meccanismi di controllo,

la difficoltà, per i consumatori, di vagliare e raffrontare le informazioni che ricevono.

2.11.

Infine, alcune tecniche promozionali, come il contenuto di marca, il marketing emozionale, l’associazione del marchio a una determinata narrazione (storytelling) l’inserimento di prodotti (product placement) e le applicazioni del cosiddetto «neuromarketing», se da un lato contribuiscono agli obiettivi commerciali delle imprese offerenti, dall’altro rendono più difficile ai cittadini decidere in merito ad acquisti, abitudini e consumi in modo razionale e sulla scorta di una valutazione realistica dei beni o servizi e della loro adeguatezza e convenienza. Ciò avviene perché dette tecniche annullano in molti casi la tradizionale distinzione tra contenuti pubblicitari e non, eludendo il diritto dei destinatari a essere informati dell’eventuale natura e finalità commerciale di un messaggio apparentemente informativo e possono quindi trarre in inganno principalmente i consumatori più vulnerabili, quali i giovani, gli anziani e le persone con disabilità.

2.12.

Il CESE valuta con favore l’esistenza sul mercato di prodotti e servizi di qualità superiore, realizzati conformemente a principi etici o caratterizzati da una particolare utilità ambientale o sociale, come pure le dichiarazioni ambientali, sociali e sulla salute; il presente parere riguarda le dichiarazioni e comunicazioni commerciali false, inesatte o fuorvianti.

3.   Osservazioni generali

3.1.

I casi di comunicazioni commerciali imprecise, inesatte, difficili da comprovare e tali da indurre in errore o da causare incertezza variano per frequenza e gravità, ma sono sempre all’origine di gravi danni per i consumatori e per le imprese che rispettano la normativa e, per estensione, per le pratiche di un mercato dei beni e dei servizi trasparente e soggetto a principi etici.

3.2.

Si possono citare tra l’altro le seguenti conseguenze:

snaturamento dell’offerta a causa delle ripercussioni delle dichiarazioni in questione sui prezzi,

creazione di mercati non trasparenti, con forte asimmetria tra offerta e domanda,

limitazione del potere contrattuale del consumatore, a causa della sua minore capacità di operare scelte consapevoli per mancanza di informazioni veridiche che gli consentano di comparare le sue esigenze e aspettative con le caratteristiche dei prodotti offerti,

effetto dissuasivo e senso di frustrazione per i consumatori che orientano la propria scelta a criteri di responsabilità ambientale, sociale o a considerazioni relative alla salute, quando le informazioni ricevute risultano ingannevoli, erronee o non verificabili,

incoraggiamento di comportamenti opportunistici, che rendono difficile l’affermazione e la diffusione del consumo responsabile, da parte di offerenti che si avvantaggiano del crescente interesse dei consumatori per i summenzionati fattori, senza tuttavia essere disposti a impegnare le necessarie risorse. Ciò comporta tra l’altro un danno per le imprese che agiscono correttamente,

perdita di fiducia dei consumatori nel mercato e nel controllo esercitato dalle pubbliche amministrazioni in questo campo.

3.3.

Le informazioni devono corrispondere alle reali esigenze e alle aspettative dei consumatori. La loro inadeguatezza deve pertanto essere valutata in funzione della finalità, del contenuto, della presentazione, del contesto e dell’identificazione del messaggio pubblicitario, i cui parametri fondamentali sono i seguenti: credibilità, concretezza, imparzialità, esattezza, pertinenza, concisione, comprensibilità, chiarezza, leggibilità e accessibilità. Il CESE sostiene che l’origine dei prodotti deve essere indicata sull’etichetta, perché questo aumenta il livello di protezione ed evita che i consumatori siano indotti in errore e confusione, giacché costituisce uno strumento che agevola le loro scelte.

4.   Dichiarazioni relative al contenuto ambientale

4.1.

Le dichiarazioni relative al contenuto ambientale riguardano per lo più l’impatto dei prodotti sull’ambiente, in funzione della loro composizione o del loro impiego, spesso in relazione con i cambiamenti climatici e le emissioni inquinanti. Tali dichiarazioni possono riguardare anche l’impiego razionale delle risorse naturali, la deforestazione, la biodiversità o l’efficienza energetica, in sostanza esse riguardano l’impatto delle attività delle imprese e del consumo dei prodotti sul nostro contesto ambientale.

4.2.

Quando il ricorso a tali dichiarazioni è puramente formale o esteriore, e non riflette effettivamente il prodotto o le modalità con cui questo viene realizzato, si è in presenza del cosiddetto «greenwashing», ossia della diffusione selettiva, attraverso la pubblicità, di informazioni positive in materia ambientale, che crea nel consumatore un’immagine distorta della realtà, nella quale gli aspetti «ecologici» sono sovrarappresentati. Anche la Commissione lo definisce, nella guida all’applicazione della direttiva 2005/29/CE (7).

4.3.

Dal punto di vista ambientale, le informazioni riguardanti gli impatti (negativi o positivi) di un marchio, generano nella mente dei consumatori un’immagine di tale marchio. Tale immagine si ripercuote a sua volta su aspetti come le decisioni di acquisto o l’opinione politica. Attraverso la punizione di comportamenti «cattivi» e la ricompensa di quelli «buoni», materializzati nelle decisioni di acquisto, il sistema si trova in certa misura in un equilibrio dinamico.

4.4.

Le tecniche di «greenwashing» più utilizzate sono le seguenti:

dare una parvenza ecologica a un processo inquinante. Un’affermazione che suggerisce che un prodotto è «verde» sulla base di una serie limitata di attributi, senza menzionare altre importanti questioni ambientali. Il prodotto finale può essere molto ecologico, ma il processo produttivo è molto inquinante. Si possono considerare anche pratiche improprie nella catena di approvvigionamento, legate a condizioni di lavoro poco salutari e a prodotti dannosi,

assenza di prove. Una dichiarazione ambientale che non può essere confermata da informazioni complementari facilmente accessibili o da una certificazione affidabile prodotta da terzi,

formulazioni vaghe: un’asserzione definita in termini così inadeguati da venire probabilmente mal interpretata, nel suo significato reale, dai consumatori,

etichettature «false» o riconoscimenti inesistenti.

4.5.

Occorre utilizzare criteri che garantiscano ai consumatori un’informazione adeguata, e vietare un’utilizzazione abusiva dell’argomento ecologico nelle comunicazioni commerciali.

4.6.

L’introduzione di metodi europei armonizzati, come quello relativo alla cosiddetta impronta ecologica, al fine di realizzare la tracciabilità ambientale dei prodotti e delle organizzazioni, può costituire una misura chiarificatrice per il funzionamento del mercato. È opportuno che detti metodi si basino sulle norme internazionali ampiamente utilizzate, tra cui la norma ISO 14201 sulle asserzioni ambientali autodichiarate o la norma del codice della Camera di commercio internazionale.

5.   Dichiarazioni relative al contenuto etico e sociale

5.1.

Al pari di quanto avviene per le affermazioni in materia ambientale, si potrebbe parlare di «greenwashing» anche per quanto riguarda le caratteristiche etiche e sociali di imprese e prodotti. In questo caso, si cerca di trasformare l’acquisto di un prodotto in un’opportunità di azione benefica o solidale, avente carattere sociale poiché comporta implicitamente un beneficio per gruppi o categorie che presentano specifiche necessità o vulnerabilità.

5.2.

È frequente il caso di marchi che si associano a progetti con finalità sociali, mediante campagne basate sulla promozione delle vendite. Le cosiddette «charity promotions», ovvero campagne di promozione delle vendite che vantano un obiettivo sociale, hanno avuto un certo successo in un contesto di crisi economica. Quando si avvalgono di argomenti non veritieri come mero pretesto per vendere, tali azioni possono indurre in errore e fuorviare i consumatori, e sono pertanto particolarmente dannose.

5.3.

Le azioni si basano su campagne di solidarietà, di aiuto umanitario, di assistenza sociale a determinati settori o gruppi della popolazione, di difesa di cause specifiche derivanti da una qualche emergenza, o di risoluzione di una questione strutturale che comporti discriminazione, segregazione, disuguaglianza o altro.

5.4.

Altri casi di «social washing», o «greenwashing» sociale, si verificano quando si presenta un’immagine socialmente responsabile dell’impresa senza un adeguato fondamento, oppure quando si esagera un attributo sociale e pubblicitario, indicandolo come la principale attività dell’impresa in questione.

5.5.

Le dichiarazioni relative a considerazioni etiche o sociali si combinano talvolta con altre, di carattere ambientale, ma possono anche estendersi, in funzione dei livelli di attualità, ad altri aspetti, come quello lavorativo, la promozione del contesto locale, la partecipazione civica o qualsiasi altro aspetto che possa suscitare nei consumatori una motivazione all’acquisto.

5.6.

Occorre tenere conto, in questo campo, anche dell’opera svolta velatamente dai falsi consulenti in materie etiche, sociali e ambientali, che inducono in errore e fuorviano i consumatori e agiscono nel mercato come operatori economici o intermediari, abusando della buona fede e della credulità dei consumatori, per commercializzare a scopo di lucro prodotti o servizi, avvalendosi di argomenti mendaci.

5.7.

Particolarmente dannose per il funzionamento del mercato interno sono le azioni di carattere finanziario che, adducendo argomentazioni etiche, sociali o ambientali, perseguono la commercializzazione di prodotti e strumenti finanziari, senza soddisfare ai requisiti di solvibilità e ai controlli cui devono assoggettarsi gli enti finanziari. L’Autorità bancaria europea ha adottato di recente un parere in cui propone una serie di misure rivolte a ridurre i rischi e indicare requisiti in materia di pubblicità e raccomandazioni volte a tutelare i partecipanti da possibili conflitti di interesse.

5.8.

Occorre evitare il «social washing», ossia l’uso di informazioni non veritiere allo scopo di proiettare un’immagine socialmente impegnata.

6.   Dichiarazioni relative al contenuto sanitario o di altro tipo

6.1.

L’interesse manifestato di recente dai consumatori per uno stile di vita sano, e l’estensione della tecnica ai settori della produzione di alimentari, cosmetici e altri prodotti connessi alla salute, è anch’essa all’origine di dichiarazioni di carattere sanitario riguardanti l’alimentazione e la nutrizione, risultati dietetici ed estetici, o addirittura il miglioramento delle prestazioni cognitive e funzionali.

6.2.

Al pari di quanto avviene nel caso delle dichiarazioni ambientali, il fatto che i consumatori inizino a preoccuparsi di un’alimentazione sana offre anch’esso l’opportunità di proporre dichiarazioni connesse all’agricoltura biologica o organica, come pure alla presenza/assenza di componenti alimentari come le vitamine, gli acidi grassi Omega 3, gli zuccheri, il sale o l’alcol e perfino le sostanze transgeniche.

6.3.

Il progressivo invecchiamento demografico, e l’aumento dell’aspettativa di vita, rappresentano un terreno propizio per una futura espansione della pratica informativa delle dichiarazioni abusive.

6.4.

Analogamente, anche nel marketing basato sulla salute, che ricorre a dichiarazioni di questo tipo a titolo di valore aggiunto per commercializzare meglio i prodotti — come avviene nel caso degli integratori alimentari e dei prodotti di erboristeria, ma anche di offerte per il consumo generale — vengono utilizzati abusivamente presunti benefici per la salute, ammantati di argomentazioni pseudoscientifiche.

7.   Osservazioni specifiche

7.1.

Va ricordato che le opzioni dell’etichettatura facoltativa e la grafica di loghi e pittogrammi generano associazioni poco rigorose nei processi cognitivi ed emotivi che inducono i consumatori a fare una scelta di acquisto. Messaggi e immagini dovrebbero essere assoggettati al divieto di formulare affermazioni univoche e categoriche quando non se ne possa dimostrare la veridicità. Sarebbe opportuno realizzare azioni specifiche per il controllo delle affermazioni.

7.2.

Tuttavia, il monitoraggio delle affermazioni dev’essere eseguito in funzione dei supporti utilizzati, poiché ognuno di essi dev’essere trattato alla luce di specifiche circostanze. In sintesi e in maniera schematica i supporti utilizzati sono tra l’altro i seguenti:

testi,

messaggi e slogan,

loghi,

simboli e segni,

pittogrammi,

immagini e fotografie,

grafici e dati,

gradazioni di colore,

volti e nomi di persone, o nomi di istituzioni, con un impatto mediatico e un prestigio riconosciuto.

7.3.

Qualora vi siano affermazioni non dimostrabili e presentate con finalità commerciali, si può richiedere al produttore di ometterle o di rettificare i relativi dati.

7.4.

Per tutte queste ragioni, il Comitato invita la Commissione europea e gli Stati membri ad adottare, nel quadro del regolamento (CE) n. 2006/2004, le opportune misure, mediante la cooperazione amministrativa e, in particolare, attraverso la promozione delle attività comuni, per eradicare l’utilizzazione fraudolenta di dichiarazioni non veritiere su aspetti etici, ambientali o relativi alla salute, in stretta collaborazione con i Centri europei consumatori, che svolgono un ruolo chiave in tali situazioni.

Bruxelles, 2 luglio 2015

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  GU L 149 dell’11.6.2005, pag. 22.

(2)  GU L 376 del 27.12.2006, pag. 21.

(3)  GU L 95 del 15.4.2010, pag. 1.

(4)  GU L 404 del 30.12.2006, pag. 9.

(5)  COM(2002) 347 definitivo.

(6)  COM(2015) 192 final.

(7)  SEC(2009) 1666 definitivo. Cfr. il punto 2.5.1.


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