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Document 62015CN0647

Causa C-647/15: Ricorso proposto il 3 dicembre 2015 — Ungheria/Consiglio dell’Unione europea

GU C 38 del 1.2.2016, p. 43–44 (BG, ES, CS, DA, DE, ET, EL, EN, FR, HR, IT, LV, LT, HU, MT, NL, PL, PT, RO, SK, SL, FI, SV)

1.2.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 38/43


Ricorso proposto il 3 dicembre 2015 — Ungheria/Consiglio dell’Unione europea

(Causa C-647/15)

(2016/C 038/56)

Lingua processuale: l’ungherese

Parti

Ricorrente: Ungheria (rappresentante: M.Z. Fehér, agente)

Convenuta: Consiglio dell’Unione europea

Conclusioni della ricorrente

Annullare la decisione (UE) 2015/1601 del Consiglio, del 22 settembre 2015, che istituisce misure temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell'Italia e della Grecia (1) (in prosieguo: la «decisione impugnata»);

in subordine, per l’ipotesi in cui non sia accolto il primo capo delle conclusioni, annullare la decisione impugnata nei limiti in cui si riferisce all’Ungheria;

condannare il Consiglio alle spese.

Motivi e principali argomenti

 

Primo motivo. Secondo il governo ungherese l’articolo 78, paragrafo 3, TFUE non attribuisce al Consiglio la base giuridica adeguata ai fini dell’adozione della decisione impugnata. L’articolo 78, paragrafo 3, non autorizza il Consiglio ad adottare un atto legislativo né, pertanto, ad adottare le misure stabilite nella decisione impugnata, concretamente quelle che implicano una deroga di carattere vincolante a un atto legislativo, nel caso di specie il regolamento (UE) n. 604/2013/UE (2). La decisione impugnata sotto il profilo del suo contenuto, considerato che deroga al regolamento n. 604/2013, costituisce un atto legislativo e, quindi, per la sua adozione non era possibile basarsi sull’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, che autorizza il Consiglio ad adottare atti esclusivamente mediante un procedimento non avente natura legislativa, ossia atti non legislativi. Anche qualora fosse invece possibile adottare, sulla base dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, un atto giuridico che deroghi a un atto legislativo, secondo il governo ungherese tale deroga non può essere tale da pregiudicare l’essenza dell’atto legislativo di cui trattasi e privare le sue disposizioni fondamentali del loro contenuto, come si è verificato nel caso della decisione impugnata.

 

Secondo motivo. Una misura introdotta per un periodo di 24 mesi — 36 mesi in taluni casi — i cui effetti, inoltre, si protraggono anche oltre tale periodo, non è compatibile con la nozione di «misure temporanee» figurante all’articolo 78, paragrafo 3, TFUE. La decisione impugnata eccede l’autorizzazione conferita al Consiglio dall’articolo 78, paragrafo 3, TFUE nei limiti in cui non si è tenuto conto, in sede di determinazione della sua applicazione nel tempo, della durata necessaria ai fini dell’adozione di un atto legislativo fondato sull’articolo 78, paragrafo 2, TFUE.

 

Terzo motivo. Nell’adottare la decisione impugnata, il Consiglio ha violato l’articolo 293, paragrafo 1, TFUE, in quanto l’unanimità richiesta per discostarsi dalla proposta della Commissione non è stata raggiunta.

 

Quarto motivo. La decisione impugnata prevede una deroga a un atto legislativo ed è essa stessa un atto legislativo dal punto di vista del suo contenuto, cosicché — anche nell’ipotesi in cui fosse stato possibile adottarla sulla base dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE — in sede di tale adozione si sarebbe dovuto rispettare il diritto dei parlamenti nazionali a fornire un parere sugli atti legislativi, previsto dai protocolli 1 e 2 allegati al Trattato sull’Unione europea e al Trattato sul funzionamento dell'Unione europea.

 

Quinto motivo. Il Consiglio ha modificato in misura sostanziale il testo del progetto dopo la consultazione del Parlamento europeo ma non ha nuovamente consultato quest’ultimo al riguardo.

 

Sesto motivo. In sede di adozione della decisione impugnata da parte del Consiglio, il progetto di decisione non era disponibile nelle versioni linguistiche corrispondenti alle lingue ufficiali dell’Unione.

 

Settimo motivo. La decisione impugnata è illegittima anche perché la sua adozione è contraria all’articolo 68 TFUE e alle conclusioni adottate dal Consiglio europeo nella sua riunione del 25 e 26 giugno 2015.

 

Ottavo motivo: La decisione impugnata viola i principi della certezza del diritto e della chiarezza normativa in quanto, sotto vari profili, il modo in cui le disposizioni di tale decisione devono essere applicate non è chiaro, non più del modo in cui si combinano con le disposizioni del regolamento n. 604/2013. Ne costituisce un esempio la questione dell’applicazione delle garanzie giuridiche e procedurali attinenti alla decisione di ricollocazione, in particolare il fatto che la decisione impugnata non sancisce in modo chiaro i criteri da seguire per la ricollocazione e che non definisce adeguatamente lo status dei richiedenti nello Stato membro di ricollocazione. La decisione impugnata è contraria alla Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati (3), dal momento che priva i richiedenti del diritto di soggiornare nel territorio dello Stato membro presso il quale è stata presentata la domanda di asilo e che ne consente la ricollocazione in un altro Stato membro senza che sia necessariamente dimostrabile l’esistenza di un legame tra il richiedente e lo Stato membro di ricollocazione.

 

Nono motivo: La decisione impugnata viola il principio di necessità e il principio di proporzionalità. Atteso, da un lato, che l’Ungheria, rispetto alla proposta iniziale della Commissione, è stata esclusa dalla cerchia degli Stati membri beneficiari, è in modo ingiustificato che la decisione di cui trattasi dispone la ricollocazione di 120 000 richiedenti la protezione internazionale. Tenuto conto del fatto che nella decisione impugnata non risulta più il principio di ricollocazione a partire dall’Ungheria, la fissazione in tale decisione della cifra, inizialmente proposta, di 120 000 richiedenti risulta ormai avere carattere aleatorio e non presenta più alcun nesso con la situazione, prevista nella proposta della Commissione, che quest’ultima cercava concretamente di gestire. Non è accettabile, in particolare nell’ambito di una misura provvisoria adottata sulla base dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE, che circa la metà dei richiedenti ai quali quest’ultima sarà applicata facciano l’oggetto, alla luce degli sviluppi successivi, di una decisione definitiva per quanto riguarda la loro ricollocazione.

 

Decimo motivo: in subordine, si asserisce che la decisione impugnata viola il principio di proporzionalità per quanto riguarda l’Ungheria poiché le impone una quota obbligatoria quale Stato membro ospitante, laddove è assodato che si tratta di uno Stato membro nel cui territorio è penetrato un gran numero di migranti in situazione irregolare che hanno presentato domande di protezione internazionale. La decisione impugnata non soddisfa i presupposti dell’articolo 78, paragrafo 3, TFUE per quanto attiene all’Ungheria, giacché il presupposto previsto in tale disposizione — ossia che siffatte misure possano essere adottate nell’interesse dello Stato membro a fronte di un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi — non può ricorrere nel caso di una misura che fissa esclusivamente obblighi a carico di tale Stato membro.


(1)  GU L 248, pag. 80.

(2)  Regolamento (UE) n. 604/2013/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (GU L 180, pag. 31).

(3)  Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 sullo status dei rifugiati, integrata dal protocollo di New York del 31 gennaio 1967.


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