20.5.2005 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 120/37 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Le trasformazioni industriali e gli aiuti di Stato nel settore siderurgico
(2005/C 120/09)
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 29 gennaio 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema: Le trasformazioni industriali e gli aiuti di Stato nel settore siderurgico.
La commissione consultiva per le trasformazioni industriali, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 9 settembre 2004, sulla base del progetto predisposto dal relatore Lagerholm e dal correlatore Kormann.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 27 ottobre 2004, nel corso della 412a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 154 voti favorevoli, 3 voti contrari e 11 astensioni.
1. Introduzione, finalità e ambito del parere - Definizioni
1.1 |
Il presente parere d'iniziativa esamina i legami tra le trasformazioni industriali e gli aiuti di Stato, partendo dall'esempio del settore siderurgico. |
1.2 |
Con il termine «trasformazioni industriali», gli autori del parere intendono il processo normale e costante con cui un settore industriale reagisce dinamicamente ai mutamenti in atto in un comparto economico al fine di restare competitivo e di creare opportunità di crescita. |
1.3 |
L'Europa non può rimanere indifferente alle trasformazioni industriali in corso. Nel quadro della crescente globalizzazione dei mercati, le strutture economiche devono adeguarsi prima o poi a quanto accade sul mercato mondiale. In questo contesto, l'Unione europea deve attivarsi per svolgere un ruolo attivo nella definizione delle condizioni quadro a livello internazionale. |
1.4 |
Il presente parere d'iniziativa tiene conto dei seguenti fattori:
Prendendo ad esempio l'industria siderurgica, il presente parere d'iniziativa esamina il modo in cui gli aiuti di Stato possono influire sull'attuazione delle necessarie trasformazioni strutturali. |
1.5 |
Le imprese che non ricevono aiuti di Stato a sostegno della loro competitività sono spesso penalizzate rispetto ai concorrenti che invece ne usufruiscono. Gli effetti negativi sullo sviluppo di tali imprese possono essere gravi, tanto da provocarne anche l'esclusione dal mercato. Ciò nonostante, come dimostrano vari decenni di ristrutturazioni condotte nell'industria siderurgica europea, spesso i responsabili politici finiscono per concedere sussidi alle grandi imprese che impiegano molta manodopera e minacciano di chiudere. In genere, ciò ha per conseguenza il mantenimento di sovraccapacità e di attività non redditizie oltre il limite temporale determinato dal mercato, mentre i necessari processi di adeguamento procedono a stento. |
1.6 |
Eppure, il mondo politico, economico e sindacale concorda oggi nel considerare le trasformazioni industriali come inevitabili e conviene altresì sulla necessità di collocare queste trasformazioni nel quadro di accordi quadro internazionali (ad esempio, OMC, OCSE, OIL, ecc.). Questa consapevolezza deriva dalle esperienze maturate nei decenni di trasformazioni che hanno caratterizzato i settori del carbone e dell'acciaio. Le ristrutturazioni e i processi di consolidamento, insieme al dialogo sociale che li accompagna, sono oggi generalmente riconosciuti come premesse necessarie o come quadro di riferimento per garantire la competitività delle imprese europee su mercati sempre più interconnessi. |
1.7 |
Nella comunicazione sulla politica industriale pubblicata alla fine di aprile 2004 (1), la Commissione europea richiama l'attenzione sul fatto che le trasformazioni industriali non devono essere confuse con la deindustrializzazione assoluta, la quale è caratterizzata da una diminuzione concomitante dell'occupazione, della produzione e della crescita della produttività. La deindustrializzazione assoluta consiste nella perdita di posti di lavoro a bassa produttività a vantaggio di paesi in via di sviluppo o di recente industrializzazione, in cui i costi del lavoro sono inferiori. La ragione principale di questo trasferimento dell'occupazione risiede nel fatto che le strutture dei costi sono diventate comparativamente più favorevoli nei paesi terzi. |
1.8 |
Nella sua analisi della politica industriale, la Commissione europea conclude comunque che, escluse le industrie estrattive, il fenomeno della deindustrializzazione riguarda al momento solo pochi settori (tessile, abbigliamento, cuoio-calzature, costruzione e riparazione navale, carbone, raffinazione del petrolio, produzione e lavorazione di combustibili nucleari). Se le trasformazioni strutturali non sono certamente indolori per talune regioni, da un punto di vista economico generale esse producono effetti positivi, a condizione che siano adeguatamente pianificate, individuate e sostenute. |
1.9 |
Il declino proporzionale della quota dell'industria nell'insieme delle attività economiche riflette un processo strutturale a lungo termine. Per quanto la maggior parte dei settori industriali, ad esempio quello siderurgico, abbiano registrato una diminuzione dei posti di lavoro negli ultimi decenni, essi hanno contemporaneamente visto aumentare il valore aggiunto dei propri prodotti e della propria produttività. |
1.10 |
Spesso l'opinione pubblica tende a considerare la maggiore rilevanza sociale acquisita dal settore dei servizi come la naturale conseguenza di un processo di trasformazione strutturale consumato a scapito dell'industria. Tuttavia, questa tendenza va inserita nel più ampio contesto della crescente interconnessione tra i due settori. Negli ultimi decenni le industrie di trasformazione hanno esternalizzato varie attività (trasporti, logistica, elaborazione dati, ecc.), per cui conviene procedere con attenzione e grande cautela nell'interpretazione delle statistiche sulle trasformazioni industriali. Il fatto di trarre conclusioni errate, basandosi su analisi superficiali o su mezze verità dettate dalla contingenza politica, può avere gravi ripercussioni sulla politica industriale. |
1.11 |
In un'Unione europea basata sulla conoscenza, il valore aggiunto apportato dall'industria rimane imprescindibile. Se si considera il valore aggiunto complessivo realizzato da altri settori dell'economia a beneficio dell'industria, risulta chiaro che dall'inizio degli anni '90 quest'ultima ha continuato a rivestire un ruolo di grande rilevanza per l'UE. In Germania, ad esempio, se si aggiunge tale apporto esterno, l'industria continua a rappresentare non meno del 40 % del valore aggiunto lordo. |
1.12 |
Alla luce di quasi trent'anni di privatizzazioni e ristrutturazioni, a volte anche molto dolorose, la Commissione europea propone ora che le misure strutturali a venire (previste nei paesi PECO per il settore siderurgico e non solo) si basino sull'esperienza acquisita dal settore siderurgico dell'UE nell'applicare le misure di adeguamento. |
1.13 |
Nel corso degli ultimi decenni il contesto politico, tecnico ed economico in cui opera il settore siderurgico europeo ha conosciuto profondi cambiamenti. Le crisi petrolifere, la creazione del mercato interno europeo, l'allargamento dell'Unione e la globalizzazione hanno avuto un forte impatto su questo prodotto primario, che è a sua volta rilevante per altri comparti industriali. Nonostante le varie oscillazioni congiunturali e strutturali che si sono susseguite a partire dal primo choc petrolifero del 1975, la produzione siderurgica dell'Unione europea si è mantenuta pressoché stabile. L'acciaio continua a essere prodotto praticamente in tutti i 15 Stati membri; tuttavia, grazie al progresso tecnologico, la stessa quantità viene prodotta impiegando circa un terzo della manodopera che era necessaria nel 1975. Nell'Europa dei 15 la percentuale delle imprese siderurgiche in cui lo Stato ha un interesse dominante è scesa dal 53 % del 1985 a meno dell'attuale 10 %. Inoltre, le imprese statali operano oggi alle medesime condizioni di mercato di quelle private. |
1.14 |
In questo contesto, la commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI) del Comitato economico e sociale europeo ritiene di particolare interesse esaminare il ruolo che gli aiuti di Stato rivestono in generale nell'ambito delle trasformazioni industriali e che hanno svolto in particolare per l'industria siderurgica europea. Ai fini del presente parere d'iniziativa, per «settore siderurgico» s'intende il complesso di attività industriali connesse alla produzione e alla commercializzazione dell'acciaio e la fondamentale funzione da esse esercitata per i settori europei che fanno uso di acciaio. |
2. Gli aiuti di Stato e i loro effetti generali
2.1 |
Gli aiuti di Stato sono agevolazioni mirate che gli organismi statali concedono ad alcuni settori produttivi e, quindi, a gruppi specifici. Al fine di determinare quali misure costituiscano un aiuto di Stato, è opportuno operare una distinzione tra quelle volte a sostenere talune imprese o talune produzioni, ai sensi dell'art. 87, par. 1 del Trattato CE, e quelle generali applicate anch'esse in modo uniforme negli Stati membri, ma che tendono invece a favorire l'economia nel complesso. Le azioni che rientrano in quest'ultima categoria non costituiscono un aiuto di Stato in base all'art. 87, par. 1 del Trattato CE, bensì misure di politica economica generale applicabili indistintamente a tutte le imprese (es. agevolazioni fiscali generali sugli investimenti). |
2.2 |
Non si deve tuttavia dimenticare che nelle economie di mercato le attività economiche sono regolate dall'andamento della domanda e dell'offerta, e vengono coordinate attraverso il meccanismo dei prezzi. Teoricamente, quindi, qualsiasi misura che comprometta la funzione di informazione, di orientamento e di stimolo esercitata dal prezzo rischia di essere dannosa. |
2.3 |
Gli aiuti di Stato possono nuocere alla libera concorrenza sul lungo periodo, impedire la corretta distribuzione delle risorse e costituire una minaccia per il mercato interno europeo. Per queste ragioni l'Unione europea considera la garanzia di una concorrenza libera e non falsata come uno dei principi fondamentali della Comunità. |
2.4 |
L'attribuzione di particolari forme di sovvenzioni statali (aiuti finanziari e agevolazioni fiscali) è ammessa solo se il mercato non è completamente funzionante e se esiste la realistica possibilità di migliorare in tal modo la situazione economica. Nel caso di malfunzionamento del mercato, un intervento statale in forma di sostegno finanziario fornito può contribuire a evitare una distribuzione iniqua. Tuttavia, lo Stato raramente è in grado di valutare in quale misura i fondi pubblici debbano essere impiegati per far fronte al malfunzionamento del mercato e, d'altronde, le informazioni provenienti da imprese che ambiscono a tali sovvenzioni possono essere considerate solo parzialmente attendibili. |
2.5 |
Un'ulteriore difficoltà è rappresentata dal costante mutamento delle condizioni del mercato. Un aiuto di Stato che in origine era giustificato può perdere gradualmente il suo carattere di necessità economica, ma la lentezza dei processi politici o l'influenza esercitata dai gruppi di interesse locali o di categoria possono comunque garantirne la sussistenza. |
2.6 |
Inoltre, gli aiuti di Stato provocano spesso delle modifiche nel comportamento degli operatori del mercato: il fatto di ricevere dei sussidi, ad esempio, li rende meno inclini ad apportare gli adeguamenti necessari per mantenere o ristabilire il livello di competitività delle imprese. Vi è inoltre il rischio che i beneficiari sviluppino una mentalità assistenzialista. |
2.7 |
Gli aiuti di Stato possono inoltre provocare un aumento dell'onere fiscale, quanto meno a medio termine. Ridurli è quindi fondamentale, non solo ai fini di un consolidamento di bilancio duraturo, ma anche per ragioni di natura economica e regolamentare. Una concezione errata dei sussidi rappresenta un ostacolo alla realizzazione delle trasformazioni strutturali. |
2.8 |
Nel quadro degli sforzi volti alla necessaria riduzione del volume complessivo degli aiuti di Stato, le conclusioni di diversi Consigli dei ministri dell'UE fanno emergere un nuovo orientamento, imperniato non più sul sostegno a singole imprese o a singoli settori dell'economia, bensì sul conseguimento di obiettivi orizzontali di interesse comune, inclusa la coesione. L'attribuzione di aiuti di Stato per il raggiungimento di obiettivi orizzontali è generalmente volta a riequilibrare un malfunzionamento del mercato e di norma produce meno distorsioni della concorrenza di quanto non facciano gli aiuti di tipo settoriale e per scopi specifici, i quali vengono in larga parte utilizzati per il salvataggio e la ristrutturazione di imprese in difficoltà. |
2.9 |
Fra i principali obiettivi orizzontali perseguiti attraverso la concessione di aiuti di Stato figurano:
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L'influenza dello Stato sull'industria siderurgica europea
2.10 |
L'influenza tradizionalmente esercitata dallo Stato sull'industria siderurgica è considerevole e ad essa hanno contribuito non poco ragioni di ordine militare e di sicurezza. Per quantificarne l'estensione, basti ricordare che nel 1980 circa il 60 % della produzione mondiale di acciaio proveniva da imprese direttamente o indirettamente soggette al controllo statale. |
2.11 |
Quando le imprese siderurgiche sono di proprietà pubblica, lo Stato di norma se ne accolla le perdite e ciò vale praticamente a garantire la loro sopravvivenza. Sul piano della competitività, si tratta di una situazione altrettanto lesiva quanto la concessione di aiuti volti a rafforzare posizioni competitive o a contrastare la minaccia di chiusura di imprese non direttamente controllate dallo Stato. Le misure economiche adottate contro tali rischi di chiusura sono anche accompagnate da altre di tipo politico. Di conseguenza, può capitare che siano le imprese più competitive a doversi adeguare. Inoltre, è possibile che tali misure inneschino una spirale di interventi. |
2.12 |
Se si escludono gli aiuti previsti nei casi di cessazione delle attività, l'industria siderurgica europea può oggi contare solo su aiuti di tipo orizzontale. Data la sconfortante lentezza che ha contraddistinto le trasformazioni strutturali fino alla fine degli anni '90, il settore siderurgico europeo ha infine accettato di passare dagli aiuti settoriali e ad hoc agli aiuti orizzontali. Tale regime di aiuti, inoltre, ha consentito all'industria siderurgica europea di rinunciare addirittura agli aiuti regionali (2). |
2.13 |
L'Unione europea attribuisce molta importanza al controllo delle spese nazionali. Al riguardo, la Commissione europea deve garantire che la politica degli aiuti dell'Unione sia sorretta da un controllo e da un uso trasparente degli aiuti di Stato, come già avviene nel settore siderurgico. |
2.14 |
La Commissione europea sta attualmente proseguendo nella verifica degli orientamenti e delle disposizioni generali in materia di aiuti di Stato, formulando le norme in modo più semplice e più chiaro ed eliminando le incongruenze. La Commissione intende dare la priorità alle seguenti azioni: rivedere le disposizioni che regolano la concessione di aiuti per il salvataggio e la ristrutturazione di imprese in difficoltà; procedere alla riforma delle disposizioni in materia di aiuti regionali a seguito dell'allargamento dell'UE; elaborare nuove disposizioni generali per la valutazione di aiuti di entità ridotta e precisare le norme relative ai servizi di interesse economico generale. |
2.15 |
Le modifiche che nei prossimi anni interverranno sul regime generale di aiuti dell'UE dovranno tenere conto del contesto internazionale e, in particolare, degli impegni assunti nell'ambito di accordi multilaterali. Gli aiuti in favore di beni e prodotti non agricoli rientrano nel campo di applicazione nell'accordo OMC sulle sovvenzioni e le misure compensative. |
3. La politica di aiuti dell'UE e la sua rilevanza per le trasformazioni industriali nel settore siderurgico
Le deroghe al divieto generale del Trattato CECA di concedere aiuti di Stato
3.1 |
Il Trattato istitutivo della Comunità europea del carbone e dell'acciaio del 1952 conteneva disposizioni chiare sulla facoltà degli Stati membri di concedere aiuti di Stato alle imprese del settore carbonifero e siderurgico: «Sono riconosciuti incompatibili con il mercato comune del carbone e dell'acciaio e, per conseguenza, sono aboliti e proibiti, alle condizioni previste dal presente trattato, nell'interno della Comunità: […] le sovvenzioni o gli aiuti concessi dagli Stati […] in qualunque forma». Questo divieto assoluto per i singoli Stati di sostenere le imprese, espresso all'art. 4, lettera c), era una logica conseguenza dell'abolizione di tutte le misure nazionali di protezione all'interno del mercato comune. |
3.2 |
Tuttavia, dopo la creazione del mercato comune, divenne presto evidente l'impossibilità di garantire l'approvvigionamento energetico a livello europeo e la produzione siderurgica attraverso le risorse carbonifere interne senza ricorrere agli aiuti di Stato. La ricerca di una soluzione che non implicasse una modifica del Trattato CECA indusse i responsabili politici a proporre che alcuni tipi di aiuti venissero reinterpretati come aiuti comunitari, cosa peraltro teoricamente possibile. A tal fine fu utilizzato l'articolo 95, relativo all'insorgere di circostanze impreviste successivamente alla firma del Trattato. Ciò consentì alla Comunità di intervenire ove necessario per conseguire uno o più obiettivi del Trattato. |
3.3 |
Uno di questi obiettivi era la salvaguardia dell'industria estrattiva e, in particolare, dei posti di lavoro a essa associati. Da allora, gli aiuti concessi dagli Stati membri alle imprese carbonifere in cambio della garanzia di approvvigionamento energetico e di produzione di acciaio furono considerati aiuti comunitari. |
3.4 |
Negli anni '70 molti Stati membri non si preoccuparono neppure di ricorrere a questo escamotage per le sovvenzioni che concedevano alle imprese siderurgiche. Furono sborsati miliardi, senza che venisse mai sollevata una obiezione, inizialmente per promuovere l'espansione del settore siderurgico e successivamente per mantenerne le imprese, in gran parte di proprietà statale. Già negli anni '80, l'allora Direttore generale per la Concorrenza presso la Commissione dichiarò esplicitamente che il divieto degli aiuti di Stato previsto dal Trattato CECA era obsoleto. |
3.5 |
A partire dal 1978 le imprese siderurgiche del settore privato, che erano state duramente colpite dalle distorsioni della concorrenza provocate dalla «corsa dagli aiuti», cercarono di ripristinare il divieto sui sussidi, ottenendo risultati sempre più positivi. |
3.6 |
A partire dal 1980 i codici degli aiuti al settore siderurgico, basati sull'articolo 95, disposero che gli aiuti alle imprese siderurgiche potessero essere concessi solo in casi ben definiti. Tuttavia, le categorie di aiuti inizialmente ammesse comprendevano quasi tutte le sovvenzioni che gli Stati membri stavano già elargendo alle proprie imprese. In questo modo, il primo codice degli aiuti servì solo, per lo più, a legittimare le pratiche in uso. Fu solo gradualmente che venne introdotto il divieto totale degli aiuti maggiormente lesivi per la concorrenza, come quelli ai salvataggi, al funzionamento e agli investimenti. |
3.7 |
Dalla seconda metà degli anni '80, solo gli aiuti alla ricerca e allo sviluppo, alla tutela dell'ambiente e alla chiusura continuarono a essere ammessi in base al codice degli aiuti alla siderurgia. Ciò nonostante, grazie a ulteriori deroghe basate sull'articolo 95, alcune imprese pubbliche continuarono a ricevere fondi fino alla metà degli anni '90 per il pagamento dei debiti e per il finanziamento di operazioni di ristrutturazione. |
3.8 |
Infine, la concessione di nuovi aiuti comunitari venne vincolata a cospicue riduzioni delle capacità di produzione. Gli Stati membri raggiunsero finalmente un accordo in base al quale non si sarebbero più ammesse eccezioni al divieto di concedere aiuti, salvo nei casi previsti dal codice degli aiuti. |
3.9 |
Questa severa legislazione in materia di aiuti di Stato al settore siderurgico, peraltro già contemplata dai padri fondatori del Trattato CECA e ripresa dalla Commissione europea alla scadenza del Trattato nel 2002, è stata in gran parte il frutto di continui sforzi politici e di ripetute azioni legali dell'industria siderurgica. Anche se i ricorsi alla Corte di Giustizia europea non sempre hanno condotto alla revoca delle autorizzazioni agli aiuti contestate, essi tuttavia hanno contribuito a definire e delimitare con precisione i limiti giuridici entro i quali potevano situarsi le deroghe ai divieti di aiuto nel settore siderurgico. |
3.10 |
Gli aiuti totali convogliati verso le imprese siderurgiche CECA hanno raggiunto il considerevole importo di oltre 70 miliardi di Euro dal 1975. Tale somma è da ripartire come segue:
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3.11 |
Secondo il più recente quadro di valutazione della Commissione europea, gli aiuti comunitari attualmente destinati all'industria siderurgica sono inferiori al 2‰ del totale e quasi esclusivamente rivolti a finanziare misure di tutela ambientale. La legislazione e le pratiche attualmente diffuse nell'ambito degli aiuti al settore siderurgico sono nettamente più restrittive rispetto alle disposizioni riguardanti altri settori industriali. |
Lo sviluppo della mentalità assistenzialista nel settore siderurgico negli anni '70
3.12 |
Negli anni '60 e nella prima metà degli anni '70 il consumo mondiale di acciaio ha fatto registrare un tasso di crescita elevato e costante, con una media superiore al 5 % annuo. Nel 1974 la produzione di acciaio grezzo nella Comunità europea a nove Stati membri raggiunse livelli record, attestandosi a quasi 156 milioni di tonnellate, con un utilizzo delle capacità produttive pari all'87 %. |
3.13 |
Nel 1975, tuttavia, lo choc petrolifero provocò una drastica riduzione della produzione siderurgica che, nel giro di un anno, abbassò i livelli di produzione all'interno della CE di 30 milioni di tonnellate (19 %). Il crollo dei prezzi dell'acciaio che ne seguì accentuò ulteriormente il calo della produzione. Contestualmente, le imprese siderurgiche CECA registrarono un aumento considerevole delle importazioni e un calo altrettanto netto delle esportazioni. L'esaurimento delle riserve siderurgiche contribuì poi in modo determinante all'abbandono dell'acciaio nel mercato unico. |
3.14 |
All'inizio sembrava che si trattasse solo di una congiuntura particolarmente negativa, e infatti tutti gli esperti pensavano che sarebbe presto seguita una ripresa. Gli istituti di economia interpellati dalla Commissione europea confermarono che la ripresa sarebbe stata particolarmente vigorosa e duratura. Secondo la relazione «Obiettivi generali 1985», realizzata in collaborazione con i produttori, i consumatori e i rivenditori e contenente le previsioni a lungo termine della Commissione, nel 1985 la produzione di acciaio dei nove paesi CE avrebbe raggiunto addirittura le 188 tonnellate. In realtà, essa fu di sole 120 tonnellate. I piani di investimento a medio e lungo termine effettuati dalle imprese si basavano quindi su parametri totalmente errati, il che determinò una capacità produttiva eccedentaria e uno scollamento sempre più marcato dei meccanismi della domanda e dell'offerta. |
3.15 |
Il rallentamento mondiale della crescita economica determinò una drastica battuta d'arresto anche per le attività di investimento dei settori consumatori di acciaio, con conseguenze particolarmente negative sui consumi, dato che nei paesi industrializzati altamente sviluppati il consumo di acciaio è legato per circa due terzi alle attività di investimento. |
3.16 |
Un altro fattore chiave della stagnazione mondiale della domanda dal 1975 in poi consiste nel fatto che sempre meno acciaio viene utilizzato per scopi specifici, in quanto lo si usa in modo più razionale. Le cause che hanno determinato il crollo della domanda vanno inoltre ricercate nel progressivo passaggio da una crescita quantitativa a una di tipo qualitativo, oltre che nell'espansione del terziario. |
3.17 |
Nonostante il calo nei consumi di acciaio registrato a partire dal 1975, le capacità di produzione aumentarono nuovamente in modo significativo: solo tra il 1974 e il 1983 le capacità nominali di produzione mondiale di acciaio grezzo aumentarono di 150 milioni di tonnellate, mentre la domanda globale di acciaio relativa allo stesso periodo diminuì di 44 milioni di tonnellate. Contemporaneamente, le capacità produttive crebbero in misura considerevole nei «nuovi» paesi produttori d'acciaio e in quelli del blocco orientale. Nel 1974 l'eccedenza di capacità nominali a livello mondiale, rispetto all'effettivo consumo di acciaio, era pari a 130 milioni di tonnellate, cifra che quasi triplicò nell'arco di 10 anni (343 milioni di tonnellate). |
3.18 |
Poiché all'epoca si riteneva che il crollo della domanda fosse un fenomeno puramente congiunturale, le capacità produttive non furono intaccate dai provvedimenti anticrisi, i quali peraltro non riuscirono a ridurre la pressione dell'offerta, a impedire guerre di prezzi sul mercato europeo dell'acciaio o a contenere il crollo dei prezzi. Le imprese che avevano costi di produzione elevati e riserve scarse si trovarono in crescente difficoltà e invocarono quindi il sostegno dello Stato, il quale generalmente rispose attraverso i governi nazionali. I problemi delle singole imprese divennero perciò i problemi dell'intero settore. Il sistema di autolimitazioni volontarie adottato dai membri della neonata associazione europea della siderurgia Eurofer finì per crollare quando tutte le grandi imprese cessarono di parteciparvi. |
La regolamentazione forzata del mercato (1980-1985)
3.19 |
Nell'autunno del 1980, dopo il crollo del sistema su base volontaria, la Commissione fu costretta a dichiarare lo stato di crisi manifesta e a introdurre un sistema obbligatorio di quote di produzione (regime obbligatorio delle quote) valido per tutti gli impianti produttivi della CE. Da allora le quote di produzione furono stabilite dalla Commissione su base trimestrale, nell'ambito di un sistema che prevedeva la possibilità di sanzioni in caso di inadempimento. Per alcuni prodotti furono inoltre stabiliti dei prezzi minimi speciali. Tra i punti salienti del nuovo approccio rientravano la stabilizzazione dei prezzi e la riduzione delle capacità produttive a livelli socialmente e localmente sostenibili. Per ogni impresa produttrice di acciaio della CE furono stabilite quote di produzione e quote di immissione sul mercato comune, e vennero inoltre conclusi accordi di autolimitazione volontaria con 15 paesi importatori. Considerato il basso prezzo mondiale dei prodotti siderurgici, era importante evitare perdite alle esportazioni che, nelle condizioni imposte dal sistema di crisi, avrebbero richiesto ulteriori aiuti comunitari. All'inizio degli anni '90, circa il 70 % della produzione europea di acciaio era soggetta al regime delle quote. |
3.20 |
In un primo momento, tuttavia, l'obiettivo politico di una graduale riduzione delle capacità produttive non fu raggiunto. Le speranze riposte in una ripresa della domanda e nell'eliminazione della concorrenza, nonché negli aiuti di Stato e nel contenimento dell'offerta, impedirono la riduzione delle capacità produttive nelle imprese meno competitive. La riduzione avvenne solo gradualmente grazie al secondo codice degli aiuti di Stato, che vincolava la concessione degli aiuti all'attuazione di un programma di ristrutturazione. Il regime obbligatorio delle quote, che inizialmente sarebbe dovuto durare solo fino al 1981, venne rinnovato di volta in volta per ragioni legate alla concorrenza. |
3.21 |
Per raggiungere l'obiettivo della riduzione di capacità produttive, la Commissione scelse di ricorrere agli aiuti di Stato, vietati dal Trattato CECA, come strumento di pressione, e decise nel contempo di legalizzare una pratica precedentemente considerata illegale attraverso l'introduzione del codice degli aiuti. Parallelamente, però, invocò un regime di autorizzazioni giustificato dall'esigenza di ridurre le capacità produttive. Questa fase della politica di regolamentazione del settore siderurgico durò fino alla fine del 1985. Come contropartita all'approvazione degli aiuti di Stato, e sotto la tutela del regime delle quote, le capacità furono ridotte di circa 44 milioni di tonnellate di acciaio grezzo e di 32 milioni di tonnellate di acciaio laminato a caldo. |
La graduale liberalizzazione del mercato (dal 1985)
3.22 |
Solo tra il 1983 e il 1985, le imprese del settore siderurgico ricevettero circa 15 miliardi di euro in forma di aiuti di Stato. Anziché armonizzare le regole sulla concorrenza, i responsabili politici sfruttarono troppo poco la possibilità di imporre alle imprese finanziariamente solide un ridimensionamento adeguato delle capacità di produzione. In questo modo esse rimandarono i necessari adeguamenti a lungo invocati dal mercato. |
3.23 |
Nel 1985, nel dichiarare superata la crisi manifesta, la Commissione invocò un radicale riorientamento della politica comunitaria nel settore siderurgico. Poco dopo destinò aiuti di Stato per 15 miliardi di euro al fine di rendere più flessibile il sistema delle quote e quindi liberalizzare completamente il mercato. Così facendo, si riteneva che la riduzione delle sovraccapacità sarebbe stata indotta dalle forze del mercato, poiché ovviamente era impensabile che tale risultato fosse conseguito attraverso misure interventiste dettate da Bruxelles. La Commissione, tuttavia, ignorava che i miliardi di euro elargiti in aiuti fino alla fine del 1985 avrebbero contribuito alla competitività solo negli anni successivi. Entro la fine del 1986 essa ridusse drasticamente la quota di prodotti sottoposti a regolamentazione. |
3.24 |
Nonostante la riduzione di capacità pari a circa 40 milioni di tonnellate e il taglio di decine di migliaia di posti di lavoro, il mercato continuava a essere oppresso da un potenziale di eccedenza produttiva pari a circa 25 milioni di tonnellate. |
3.25 |
Dopo il 1987, l'aumento a breve termine della domanda rafforzò la tesi della Commissione secondo cui il settore siderurgico non doveva più essere considerato in crisi. Furono così abolite le misure a carattere regolamentare come i certificati di produzione e la registrazione obbligatoria delle quantità consegnate. La pressione sui governi nazionali e sulla Commissione aumentò finché, per arrestare in modo permanente il flusso delle sovvenzioni comunitarie, non si giunse all'approvazione del terzo (1985), del quarto (1989) e del quinto (1992) codice degli aiuti. In base al codice, negli Stati membri dell'UE sarebbero stati ammessi solo gli aiuti alla ricerca e allo sviluppo alla tutela ambientale, nonché alcuni aiuti specifici per ovviare alla chiusura di stabilimenti (3). Tali aiuti sarebbero provenuti nella quasi totalità dal fondo CECA, finanziato attraverso i contributi del settore carbosiderurgico. |
3.26 |
Dopo una breve impennata nel 1990, la domanda di acciaio crollò nuovamente e anche i prezzi diminuirono di circa il 20 %. Nel 1992 gli appelli per un ulteriore intervento della Commissione tornarono a farsi sempre più frequenti: in particolare, le richieste riguardavano la realizzazione di previsioni trimestrali di produzione e di fornitura per singoli prodotti, la semplificazione delle fusioni, la protezione nei confronti delle importazioni provenienti dall'Europa orientale e gli aiuti alla ristrutturazione. Per ridurre la sovraccapacità si propose la creazione di un cartello di crisi strutturale, di un sistema di ripartizione dei costi tra le imprese e di una definitiva riduzione del 20 % delle capacità entro la fine del 1996, con il conseguente licenziamento di 50 000 dipendenti. |
3.27 |
Tuttavia, la Commissione respinse l'idea di un cartello di crisi strutturale e di un nuovo sistema di quote di produzione; nel 1993 presentò quindi la propria proposta, che consisteva solo in misure indirette quali il finanziamento anticipato, da parte della Commissione, per la chiusura di capacità produttive, la promozione di fusioni e di cooperazioni per la produzione, la temporanea protezione del mercato siderurgico dalle importazioni dell'Europa orientale, una maggiore trasparenza del mercato attraverso informazioni sulla produzione e sulla fornitura all'interno dell'UE e misure sociali di accompagnamento volte a incoraggiare la riduzione delle capacità. Si avviò così un processo di ristrutturazione dell'industria siderurgica europea che portò a ridurre la produzione di altri 19 milioni di tonnellate e a sopprimere circa 100 000 posti di lavoro. Il modello del finanziamento anticipato, che era già stato approvato dal Consiglio dei ministri, non venne utilizzato. |
3.28 |
Nel dicembre del 1993, a dispetto del quinto codice degli aiuti, il Consiglio dei ministri dell'UE, su proposta della Commissione, approvò all'unanimità - non senza far riferimento al carattere una tantum di tali aiuti - l'ulteriore stanziamento di quasi 7 miliardi di euro in aiuti di Stato destinati a diversi stabilimenti siderurgici UE, ottenendo in cambio una riduzione delle capacità produttive. |
In sintesi:
3.29 |
Per quanto l'articolo 4, lettera c) del Trattato CECA avesse introdotto un divieto categorico degli aiuti di Stato, questa disposizione ha impedito solo in parte che gli Stati membri finanziassero le proprie imprese siderurgiche con la piena approvazione dei più alti livelli europei. Se è vero che gli oltre 70 miliardi di euro versati dai contribuenti fino alla scadenza del Trattato CECA hanno ritardato i necessari adeguamenti alle trasformazioni industriali, essi non hanno comunque potuto impedirne la realizzazione. La Commissione europea ha continuato anche negli anni '90 ad attenersi al principio fondamentale e ormai collaudato di concedere aiuti di Stato in cambio di una riduzione delle capacità, come è avvenuto ad esempio nel quadro della ristrutturazione delle industrie siderurgiche dei paesi PECO prossimi all'adesione. |
3.30 |
Nel 1982 gli Stati membri della CE, aggirando il principio del libero mercato, trovarono un accordo politico per ripartire in modo equo il carico dei sacrifici derivanti dai tagli alla produzione. Ciò avvenne in violazione dell'articolo 2 del Trattato CECA, in base al quale la produzione di acciaio avrebbe dovuto effettuarsi là dove i costi di produzione risultavano inferiori. Anziché incoraggiare le imprese non redditizie a uscire tempestivamente dal mercato, prevedendo a tal fine degli ammortizzatori sociali, e riequilibrare quindi rapidamente i meccanismi della domanda e dell'offerta, gli Stati membri e la Commissione europea utilizzarono gli strumenti indicati dal Trattato CECA per le situazioni di crisi, il che non sempre andò a vantaggio di tutte le imprese siderurgiche. Si finì così per mantenere in vita capacità non redditizie, per ragioni sociali, regionali e di distribuzione, mentre quelle redditizie, soprattutto private, andarono perse assieme a posti di lavoro che, nell'ambito di un'analisi comparativa, sarebbero stati invece considerati sicuri. |
3.31 |
Bisogna comunque ricordare che gli anni di crisi dell'industria siderurgica europea sono stati superati, anche se non senza difficoltà. L'industria siderurgica europea si è dotata ormai di strutture che la rendono competitiva a livello internazionale, anche se il prezzo da pagare a tal fine è stato molto elevato: oltre 550 000 posti di lavoro soppressi, perlopiù nel quadro di accordi sociali. Questo processo ha potuto essere condotto a termine solo grazie all'intenso dialogo tra le parti sociali. |
Gli aiuti alla ricerca e allo sviluppo e il loro contributo alla promozione della competitività
3.32 |
Molte delle innovazioni tecniche che hanno trasformato l'industria siderurgica europea hanno preso avvio o si sono sviluppate in modo più approfondito nell'ambito del programma di ricerca della CECA autofinanziato attraverso i contributi del settore carbosiderurgico. L'intento del Trattato CECA era mettere a disposizione della ricerca comunitaria gli strumenti necessari per promuovere la competitività dell'industria in generale e per migliorare la sicurezza sul posto di lavoro. |
3.33 |
Il primo programma di ricerca condotto sotto l'egida della CECA è stato varato nel 1955. Da quel momento, ingegneri e ricercatori all'avanguardia sul piano tecnologico hanno sempre più improntato il loro lavoro secondo un approccio europeo basato sulla cooperazione. L'industria siderurgica, e con essa la società europea, hanno beneficiato di questo tipo di collaborazione scientifica che consente di coordinare e unire gli sforzi e di mettere a disposizione di tutti i risultati ottenuti. Grazie ai continui miglioramenti, l'innovazione industriale ha conosciuto quindi un rapido progresso. |
3.34 |
La ricerca condotta nell'ambito della CECA ha anche portato a risultati significativi in un settore di grande importanza per la società come la tutela ambientale. Grazie agli sforzi esercitati, le emissioni di anidride solforosa sono diminuite del 70 % e quelle di fuliggine del 60 %. Rispetto ai primi anni '80 le emissioni di biossido di carbonio si sono dimezzate, mentre la quantità di energia oggi utilizzata dalle imprese siderurgiche per produrre una tonnellata di acciaio è inferiore del 40 % a quella utilizzata 20 anni fa. |
3.35 |
Inizialmente, il bilancio CECA relativo al 1955 prevedeva uno stanziamento annuo di soli 7 milioni di euro per la ricerca comunitaria. Negli anni '90 e nell'Europa dei 15, tuttavia, questa cifra è salita fino a raggiungere circa 50 milioni di euro all'anno. Inoltre, le attività condotte nell'ambito dei progetti comunitari volti a migliorare le procedure, i materiali e la tutela ambientale erano finanziate dal programma di ricerca CECA in misura del 60 %. A partire dal 1983, tuttavia, gli aiuti nel quadro di progetti pilota e di ricerca sono stati aumentati di un ulteriore 40 %. |
3.36 |
In questo modo, ogni euro investito nella ricerca in ambito CECA produceva in media 13 euro. Non sorprende quindi che, al momento della scadenza del Trattato CECA, gli Stati membri abbiano deciso all'unanimità di utilizzare le restanti risorse derivate dai prelievi sulle imprese del carbone e dell'acciaio solo per portare avanti la ricerca in questo settore. In base agli orientamenti adottati, gli interessi annui del dopo-CECA, pari a circa 60 milioni di euro, verranno destinati esclusivamente alla ricerca nel settore carbonifero e siderurgico, in particolare - per quanto attiene all'acciaio - sui seguenti aspetti:
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Per un'industria siderurgica competitiva all'inizio del 21o secolo
3.37 |
Al momento dell'ampliamento dell'Unione europea, l'industria siderurgica comunitaria possiede le capacità necessarie per competere a livello mondiale. Negli ultimi anni, infatti, essa ha rafforzato la propria posizione non solo in termini tecnici ed economici, ma anche dal punto di vista della tutela ambientale. Alcune imprese un tempo statali hanno fatto un uso mirato del sostegno finanziario ricevuto e, grazie ad alcuni adeguamenti tecnologici e a uno snellimento delle strutture, hanno conquistato posizioni di primo piano sul mercato mondiale. |
3.38 |
L'industria siderurgica è riuscita ad adeguarsi alle esigenze della globalizzazione e dello sviluppo sostenibile, mostrando così di aver tratto i dovuti insegnamenti dalle crisi degli anni '70, '80 e '90. Attualmente la competitività del settore siderurgico ha raggiunto un livello tale per cui, anche in periodi di congiuntura negativa, è in grado di restare per lo più in attivo. |
3.39 |
La robusta domanda di acciaio sul mercato interno comunitario mette in evidenza i notevoli sforzi compiuti dalle imprese europee per razionalizzare i costi e migliorare nel contempo la qualità e l'attenzione al cliente. Grazie a operazioni di fusione e di acquisizione, ma anche all'aumento dell'efficienza e al taglio dei costi, i produttori europei di acciaio hanno gettato le basi per la competitività del settore nel 21o secolo. I termini «aiuti al salvataggio» e «aiuti alla ristrutturazione» sono ormai scomparsi dal loro vocabolario. Nel sostenere fermamente la necessità di mantenere le severe disposizioni in materia di aiuti di Stato anche dopo la scadenza del Trattato CECA, le acciaierie europee hanno sottolineato la loro volontà di vedere definitivamente tramontata l'era della mentalità assistenzialista e delle distorsioni della concorrenza. |
3.40 |
Tuttavia, i processi di consolidamento e di trasformazione industriale sono tutt'altro che conclusi. Alcune imprese, ad esempio, stanno già cercando di realizzare fusioni transcontinentali. L'emergere della Cina come potenza industriale sta esercitando una pressione considerevole sulla competitività delle imprese europee. A ciò si aggiunga che il costante aumento del fabbisogno di acciaio della Cina sta aggravando la situazione della domanda sui mercati internazionali di materie prime. Ad esempio, per quanto riguarda i minerali ferrosi e le scorie metalliche, le importazioni cinesi stanno provocando l'esaurimento delle scorte sui mercati mondiali, con la conseguente esplosione dei prezzi delle materie prime e delle tariffe di trasporto. |
3.41 |
Anche il ritmo delle trasformazioni strutturali delle industrie siderurgiche dei nuovi Stati membri è attualmente in fase di accelerazione. Le sfide che essi devono affrontare riguardo alla ristrutturazione delle loro industrie sono in qualche modo paragonabili alla situazione in cui versava l'Europa occidentale 25 anni fa, nonostante il fatto che i mercati oggi siano molto più globalizzati di allora. Alla luce di questa situazione, è fondamentale che i partner dell'Europa centrale e orientale traggano profitto dalle esperienze maturate dai paesi europei occidentali, compreso il dialogo sociale, nel ristrutturare le rispettive industrie siderurgiche. |
3.42 |
In base agli accordi europei dei primi anni '90, i paesi PECO si sono impegnati, in cambio di speciali aiuti durante la fase di transizione (il cosiddetto «periodo di grazia»), a procedere a efficaci azioni di ristrutturazione e a un taglio sostanziale delle eccedenze produttive, nonché a dimostrare che le imprese beneficiarie di aiuti hanno migliorato il proprio rendimento. Per garantire una concorrenza libera e leale nel mercato europeo dell'acciaio anche dopo l'allargamento, i Trattati di adesione impongono ai nuovi Stati membri di attenersi alle disposizioni attualmente in vigore all'interno dell'UE (per esempio, le direttive e le decisioni quadro nei settori della concorrenza e degli aiuti di Stato, della fiscalità, dell'ambiente, delle politiche sociali, ecc.). La Commissione europea deve esercitare un controllo rigoroso per sincerarsi che gli aiuti di Stato concessi dai governi nazionali dei PECO siano compatibili con le severe norme concordate a livello comunitario in materia di aiuti. Essa deve inoltre verificare che le capacità di produzione non redditizie vengano effettivamente ridotte, come previsto, in funzione della domanda reale. |
4. L'attuale regime di aiuti comunitari nel settore siderurgico: un modello per gli accordi internazionali in materia di aiuti?
4.1 |
Nel marzo 2002, le conseguenze provocate negli Stati Uniti dalla difficile situazione del mercato mondiale dell'acciaio hanno indotto l'amministrazione americana a proteggere il mercato interno introducendo dazi di importazione temporanei, conformemente all'articolo 201 dello US Trade Act (la legge americana sul commercio), in violazione delle disposizioni dell'OMC. Data l'estrema volatilità degli scambi di acciaio, dovuta a sua volta alle inefficienti sovraccapacità produttive esistenti a livello mondiale, l'amministrazione Bush ha annunciato di essere favorevole all'apertura di negoziati internazionali per ridurre tali sovraccapacità e per tagliare su scala mondiale gli aiuti di Stato all'industria siderurgica. |
4.2 |
Gli Stati membri dell'UE e la Commissione europea sostengono tutti gli sforzi tesi a una più rigida regolamentazione degli aiuti di Stato all'industria siderurgica a livello mondiale. L'avvio, nel dicembre 2002, di negoziati multilaterali sotto l'egida dell'OCSE a Parigi ha permesso all'UE di proporre che il proprio collaudato regime di aiuti all'industria siderurgica funga da base per un accordo internazionale in materia. |
4.3 |
Il Comitato economico e sociale europeo sostiene l'azione della Commissione, anche se l'industria siderurgica europea sembra dubitare fortemente che altri Stati e regioni siano davvero intenzionati a tagliare i sussidi e quindi a siglare un accordo in materia di aiuti al settore siderurgico, con tutti gli obblighi di notifica e di sanzioni che ciò comporterebbe. Il Comitato esprime inoltre preoccupazione nel constatare che le questioni relative agli aiuti e alle capacità non formano oggetto di discussione parallelamente alla questione degli strumenti di difesa commerciale, i quali vengono spesso utilizzati in modo ingiustificato e sono quindi fonte di distorsioni del mercato. |
4.4 |
Per quanto riguarda il campo di applicazione di un eventuale accordo internazionale sugli aiuti al settore siderurgico, i produttori europei osano più di quanto non facciano i rappresentanti nazionali che partecipano ai negoziati dell'OCSE. Essi infatti sono unanimi nel chiedere che un tale accordo vieti tutti gli aiuti di Stato tesi ad aumentare le capacità o a mantenere capacità non redditizie. Questa richiesta, quindi, non concerne solo gli aiuti specifici concessi a un numero limitato di produttori, ma anche gli aiuti non specifici o generici. |
4.5 |
Il Comitato economico e sociale europeo condivide la posizione dei produttori di acciaio europei, secondo i quali gli aiuti di Stato andrebbero concessi solo nella misura in cui non influiscono negativamente sullo sviluppo delle capacità produttive, sulla concorrenza leale e sui flussi commerciali. Ciò premesso, nell'ambito dei negoziati OCSE il Comitato è favorevole alle seguenti deroghe:
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4.6 |
Nel contesto dell'accordo sui sussidi si dovrebbe tenere conto del fatto che almeno alcune economie in via di sviluppo possiedono già industrie siderurgiche pienamente competitive. I produttori di acciaio dei paesi in via di sviluppo o emergenti godono di vantaggi competitivi in termini di basso costo della manodopera, di accesso alle materie prime, di norme ambientali meno severe e di protezione dei dazi d'importazione elevati. Di conseguenza, gli aiuti di Stato alle imprese siderurgiche di queste economie possono essere ammessi solo a condizione che:
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5. Conclusioni
5.1 |
Dalle esperienze acquisite nel contesto della ristrutturazione dell'industria siderurgica europea, si evince che gli aiuti di Stato sono una lama a doppio taglio: se vengono concessi come aiuti al funzionamento, finiscono a beneficio esclusivo di qualche impresa e conducono a investimenti sbagliati, oltre che al mantenimento a medio termine sul mercato di capacità non competitive. Se però vengono concessi nell'ambito di un programma di ristrutturazione concordato, possono contribuire ad attenuare l'impatto sociale e quindi a promuovere l'accettazione e le conseguenze provocate dalle trasformazioni industriali. Nella gestione di tale processo lo strumento del dialogo sociale ha dimostrato la propria efficacia. |
5.2 |
È lecito inoltre chiedersi se non sarebbe stato possibile fare un miglior uso delle ingenti somme di denaro versate dai contribuenti, destinandole per esempio alla formazione e alla ricerca. |
5.3 |
Un ulteriore problema riguarda il fatto che durante gli anni di crisi del settore, nonostante la posizione giuridica relativa agli aiuti di Stato (articolo 4, lettera c) del Trattato CECA) sembrasse chiara (divieto di tutti gli aiuti di Stato), in realtà essa venne mitigata dai vari codici degli aiuti e da diverse decisioni del Consiglio dei ministri e sentenze di tribunali, tanto da diventare imprevedibile. Le imprese siderurgiche avvertivano una certa mancanza di sicurezza in termini di condizioni quadro e di pianificazione. |
5.4 |
Nel contesto dell'adesione di 10 o 12 nuovi Stati membri, è sempre più importante insistere sulla necessità di una rigida applicazione delle regole sugli aiuti alle imprese siderurgiche e di una rapida capacità di reagire a eventuali violazioni, come nel caso del gruppo USS Kosice. |
5.5 |
Gli errori commessi dall'Europa dei 15 non devono ripetersi. |
5.6 |
I negoziati OCSE - nel frattempo interrotti - hanno un senso solo se contribuiranno a migliorare stabilmente la situazione attuale, cioè se:
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Bruxelles, 27 ottobre 2004.
La Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Anne-Marie SIGMUND
(1) La comunicazione COM(2004) 274 def. è attualmente presa in esame nel parere CCMI/017 (relatore: van Iersel) e nel parere d'iniziativa CCMI/014 in tema di delocalizzazione delle imprese (relatore: Rodriguez Garcia-Caro).
(2) L'ultima deroga al divieto generale di concedere aiuti di Stato, scaduta nel 2000, ha riguardato gli aiuti regionali all'investimento concessi ad alcuni produttori greci di acciaio.
(3) Accanto a queste forme di aiuto esistevano alcuni tipi isolati di aiuti regionali agli investimenti, i quali però erano circoscritti al Portogallo, alla Grecia e al territorio dell'ex RDT.