📌𝐌𝐚𝐫𝐜𝐡𝐢: 𝐪𝐮𝐚𝐧𝐝𝐨 𝐢𝐥 𝐫𝐞𝐛𝐫𝐚𝐧𝐝𝐢𝐧𝐠 𝐞̀ 𝐟𝐢𝐧𝐚𝐥𝐢𝐳𝐳𝐚𝐭𝐨 𝐚 𝐮𝐧 𝐯𝐚𝐧𝐭𝐚𝐠𝐠𝐢𝐨 𝐢𝐧𝐝𝐞𝐛𝐢𝐭𝐨 Con ordinanza n. 1153/2025 la Corte di Cassazione ha affrontato il tema del rebranding finalizzato ad ottenere un vantaggio indebito sfruttando la notorietà di un marchio già affermato, concentrandosi sulla tutela dei marchi notori che godono di una protezione più ampia. 🔍𝙄𝙡 𝙘𝙖𝙨𝙤 𝙨𝙥𝙚𝙘𝙞𝙛𝙞𝙘𝙤 La controversia riguardava la registrazione di un marchio nel settore alimentare da parte di un'azienda, contestata da un'altra società già titolare di un marchio simile e noto a livello europeo in un settore diverso. Secondo l'azienda ricorrente, la controparte avrebbe modificato il proprio marchio originario adottando un carattere grafico simile, con il solo scopo di avvicinarsi visivamente al marchio noto e trarne vantaggio indebito. In prima istanza, il Tribunale di Genova ha dichiarato nullo il marchio della convenuta limitatamente ad un classe merceologica. La Corte di Appello di Genova ha invece esteso la nullità a tutte le classi merceologiche coinvolte. 👩⚖️𝗟𝗮 𝗱𝗲𝗰𝗶𝘀𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗮 𝗖𝗼𝗿𝘁𝗲 La Cassazione ha confermato la decisione della Corte d’Appello, dichiarando la nullità integrale del marchio registrato successivamente per agganciamento indebito alla notorietà del marchio anteriore. Secondo la Corte, il rebranding operato dalla società convenuta era un tentativo di trarre vantaggio dalla rinomanza del marchio anteriore senza giustificato motivo. 💡𝗜 𝗽𝗿𝗶𝗻𝗰𝗶𝗽𝗶 𝗰𝗵𝗶𝗮𝘃𝗲 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗮 𝘀𝗲𝗻𝘁𝗲𝗻𝘇𝗮 La Corte ha ribadito alcuni principi fondamentali in tema di tutela dei marchi notori: 🔹𝑷𝒓𝒐𝒕𝒆𝒛𝒊𝒐𝒏𝒆 𝒖𝒍𝒕𝒓𝒂 𝒎𝒆𝒓𝒄𝒆𝒐𝒍𝒐𝒈𝒊𝒄𝒂➡️ i marchi notori godono di una tutela che va oltre la confondibilità merceologica e impediscono a terzi di trarne vantaggio anche in settori differenti. 🔹𝑨𝒈𝒈𝒂𝒏𝒄𝒊𝒂𝒎𝒆𝒏𝒕𝒐 𝒑𝒂𝒓𝒂𝒔𝒔𝒊𝒕𝒂𝒓𝒊𝒐➡️ si ha un vantaggio indebito quando un soggetto registra un marchio simile a uno notorio per sfruttarne la notorietà senza dover costruire un proprio posizionamento di mercato. 🔹𝑰𝒏𝒅𝒊𝒄𝒊 𝒑𝒆𝒓 𝒍𝒂 𝒓𝒊𝒏𝒐𝒎𝒂𝒏𝒛𝒂 𝒅𝒆𝒍 𝒎𝒂𝒓𝒄𝒉𝒊𝒐➡️ la giurisprudenza europea (Corte di Giustizia UE) ha individuato alcuni criteri per valutare la notorietà di un marchio, tra cui intensità e durata d’uso, estensione geografica, investimenti promozionali e quota di mercato. 👉𝗖𝗼𝗻𝗰𝗹𝘂𝘀𝗶𝗼𝗻𝗶 Questa decisione ribadisce la tutela rafforzata dei marchi notori, impedendo che soggetti terzi ne sfruttino la reputazione senza giustificato motivo. Evidenzia inoltre l’𝒊𝒎𝒑𝒐𝒓𝒕𝒂𝒏𝒛𝒂 𝒅𝒊 𝒖𝒏 𝒓𝒆𝒃𝒓𝒂𝒏𝒅𝒊𝒏𝒈 𝒅𝒊𝒔𝒕𝒊𝒏𝒕𝒊𝒗𝒐, sottolineando la necessità di valutare con attenzione i rischi per evitare azioni di nullità. @Avv. Simone Donati #CSPLegal #rebranding #vantaggioindebito #marchionoto
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🔍𝐈𝐥 𝐝𝐢𝐫𝐢𝐭𝐭𝐨 𝐝𝐢 𝐜𝐨𝐧𝐭𝐫𝐨𝐥𝐥𝐨 𝐝𝐞𝐥 𝐬𝐨𝐜𝐢𝐨 𝐧𝐨𝐧 𝐚𝐦𝐦𝐢𝐧𝐢𝐬𝐭𝐫𝐚𝐭𝐨𝐫𝐞 𝐞 𝐢 𝐫𝐢𝐬𝐜𝐡𝐢 𝐜𝐨𝐧𝐜𝐨𝐫𝐫𝐞𝐧𝐳𝐢𝐚𝐥𝐢 Il 31 agosto 2024, il Tribunale di Venezia ha emesso una sentenza significativa (n. 2482) riguardante il diritto di informazione dei soci non amministratori nelle società a responsabilità limitata (s.r.l.). Questa decisione offre spunti interessanti non solo sul contenuto, ma anche sui limiti di tale diritto, previsto dall'art. 2476, comma 2, del Codice Civile. 𝗖𝗼𝘀𝗮 𝗽𝗿𝗲𝘃𝗲𝗱𝗲 𝗹'𝗮𝗿𝘁. 𝟮𝟰𝟳𝟲, 𝗰𝗼𝗺𝗺𝗮 𝟮, 𝗰.𝗰.? Questo articolo riconosce ai soci non amministratori il diritto di: 📄 Ricevere informazioni dagli amministratori sullo svolgimento degli affari sociali. 📚 Consultare i libri sociali e i documenti relativi all'amministrazione della società. ❓ 𝗤𝘂𝗮𝗹𝗶 𝘀𝗼𝗻𝗼 𝗶 𝗹𝗶𝗺𝗶𝘁𝗶 𝗱𝗶 𝗾𝘂𝗲𝘀𝘁𝗼 𝗱𝗶𝗿𝗶𝘁𝘁𝗼? Il Tribunale di Venezia ha messo in evidenza che il diritto di informazione non è illimitato. Esso deve essere bilanciato con le esigenze di riservatezza e protezione degli interessi aziendali. In particolare, il Tribunale ha sottolineato due situazioni in cui il diritto di ispezione può essere limitato: • 🤝 Se il socio richiedente è in concorrenza con la società. • 🎯 Quando il diritto di ispezione viene esercitato in modo strumentale, con finalità che esulano dal controllo legittimo sull'andamento degli affari. 💡 𝗤𝘂𝗮𝗹𝗶 𝘀𝗼𝗻𝗼 𝗹𝗲 𝗶𝗺𝗽𝗹𝗶𝗰𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗶 𝗽𝗿𝗮𝘁𝗶𝗰𝗵𝗲 𝗱𝗶 𝗾𝘂𝗲𝘀𝘁𝗮 𝘀𝗲𝗻𝘁𝗲𝗻𝘇𝗮? In concreto, la decisione impone una riflessione su come gestire le richieste di informazioni in presenza di conflitti di interesse, in particolare quando un socio non amministratore svolge attività in un settore concorrente. In tali situazioni, la società ha il diritto di 𝐥𝐢𝐦𝐢𝐭𝐚𝐫𝐞 𝐥'𝐚𝐜𝐜𝐞𝐬𝐬𝐨 𝐚 𝐢𝐧𝐟𝐨𝐫𝐦𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐢 𝐬𝐞𝐧𝐬𝐢𝐛𝐢𝐥𝐢, per tutelare i propri interessi aziendali e prevenire rischi concorrenziali. ⚖️ 𝗖𝗼𝘀𝗮 𝘀𝗶𝗴𝗻𝗶𝗳𝗶𝗰𝗮 𝗽𝗲𝗿 𝗹𝗲 𝘀.𝗿.𝗹.? Questa sentenza rappresenta un interessante chiarimento sui 𝐜𝐨𝐧𝐟𝐢𝐧𝐢 𝐭𝐫𝐚 𝐢𝐥 𝐝𝐢𝐫𝐢𝐭𝐭𝐨 𝐝𝐢 𝐜𝐨𝐧𝐭𝐫𝐨𝐥𝐥𝐨 𝐝𝐞𝐢 𝐬𝐨𝐜𝐢 𝐞 𝐥𝐚 𝐧𝐞𝐜𝐞𝐬𝐬𝐢𝐭𝐚̀ 𝐝𝐢 𝐭𝐮𝐭𝐞𝐥𝐚𝐫𝐞 𝐥𝐞 𝐢𝐧𝐟𝐨𝐫𝐦𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐢 𝐚𝐳𝐢𝐞𝐧𝐝𝐚𝐥𝐢 𝐬𝐞𝐧𝐬𝐢𝐛𝐢𝐥𝐢. Le società devono essere particolarmente attente quando un socio non amministratore richiede informazioni, valutando attentamente se esistono conflitti di interesse e prendendo le giuste precauzioni per proteggere i propri dati e strategie. Avv. Lucia Angeli Avv. Simone Donati #CSPLegal #srl #informazione #concorrenza #protezione #tribunale #giustizia #controllo #società
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🚨📱 𝐃𝐢𝐟𝐟𝐚𝐦𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐝𝐞𝐢 𝐬𝐮𝐩𝐞𝐫𝐢𝐨𝐫𝐢 𝐬𝐮 𝐅𝐚𝐜𝐞𝐛𝐨𝐨𝐤 𝐞 𝐚 𝐦𝐞𝐳𝐳𝐨 𝐞-𝐦𝐚𝐢𝐥 𝐚𝐳𝐢𝐞𝐧𝐝𝐚𝐥𝐢: 𝐩𝐞𝐫 𝐥𝐚 𝐂𝐚𝐬𝐬𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐢𝐥 𝐥𝐢𝐜𝐞𝐧𝐳𝐢𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐨 𝐞̀ 𝐥𝐞𝐠𝐢𝐭𝐭𝐢𝐦𝐨 📧🚫 La Cassazione civile, con ordinanza n. 2058/2025, ha stabilito che il licenziamento di una lavoratrice che ha diffamato i propri superiori su Facebook e tramite e-mail aziendali è legittimo. 🔍 𝘿𝙚𝙩𝙩𝙖𝙜𝙡𝙞 𝙙𝙚𝙡 𝙘𝙖𝙨𝙤: La lavoratrice è stata licenziata per giusta causa in ragione di contenuti diffamatori diffusi su Facebook e via e-mail. Il Tribunale di Siracusa e la Corte d'Appello di Catania hanno confermato la legittimità del licenziamento, ritenendo provata la violazione dell'obbligo di fedeltà e la paternità dei post diffamatori. La Cassazione ha poi respinto il ricorso della lavoratrice, confermando che le sue azioni trascendevano il diritto di critica e non potevano essere giustificate. ⚖️ 𝙄𝙢𝙥𝙡𝙞𝙘𝙖𝙯𝙞𝙤𝙣𝙞 𝙡𝙚𝙜𝙖𝙡𝙞: Secondo la Cassazione, 𝙞𝙡 𝙙𝙞𝙧𝙞𝙩𝙩𝙤 𝙙𝙞 𝙘𝙧𝙞𝙩𝙞𝙘𝙖 𝙙𝙚𝙫𝙚 𝙚𝙨𝙨𝙚𝙧𝙚 𝙚𝙨𝙚𝙧𝙘𝙞𝙩𝙖𝙩𝙤 𝙣𝙚𝙞 𝙡𝙞𝙢𝙞𝙩𝙞 𝙙𝙚𝙡𝙡𝙖 𝙫𝙚𝙧𝙞𝙙𝙞𝙘𝙞𝙩𝙖̀, 𝙥𝙚𝙧𝙩𝙞𝙣𝙚𝙣𝙯𝙖 𝙚 𝙘𝙤𝙣𝙩𝙞𝙣𝙚𝙣𝙯𝙖 𝙚𝙨𝙥𝙧𝙚𝙨𝙨𝙞𝙫𝙖. Le azioni della lavoratrice, caratterizzate da astio e volgarità, miravano ad offendere e umiliare i superiori, degradando la critica a mero pretesto. La Suprema Corte ha escluso la natura ritorsiva del licenziamento, confermando la gravità delle condotte e la proporzionalità della sanzione. 🔑 𝙋𝙪𝙣𝙩𝙞 𝙘𝙝𝙞𝙖𝙫𝙚 𝙙𝙚𝙡𝙡𝙖 𝙨𝙚𝙣𝙩𝙚𝙣𝙯𝙖 ◾ 𝙑𝙞𝙤𝙡𝙖𝙯𝙞𝙤𝙣𝙚 𝙙𝙚𝙡𝙡'𝙤𝙗𝙗𝙡𝙞𝙜𝙤 𝙙𝙞 𝙛𝙚𝙙𝙚𝙡𝙩𝙖̀ : la lavoratrice ha ammesso le conversazioni via e-mail e la paternità dei post su Facebook, confermando la violazione dell'art. 2105 c.c. ◾ 𝙋𝙧𝙤𝙫𝙖 𝙙𝙚𝙡𝙡𝙖 𝙙𝙞𝙛𝙛𝙖𝙢𝙖𝙯𝙞𝙤𝙣𝙚: le immagini dei post diffamatori su Facebook sono state considerate prove valide ex art. 2712 c.c. ◾ 𝙀𝙨𝙘𝙡𝙪𝙨𝙞𝙤𝙣𝙚 𝙙𝙚𝙡 𝙙𝙞𝙧𝙞𝙩𝙩𝙤 𝙙𝙞 𝙘𝙧𝙞𝙩𝙞𝙘𝙖: la Cassazione ha stabilito che il diritto di critica non può essere invocato quando si trascendono i limiti della veridicità e della continenza espressiva. ◾ 𝙉𝙖𝙩𝙪𝙧𝙖 𝙣𝙤𝙣 𝙧𝙞𝙩𝙤𝙧𝙨𝙞𝙫𝙖 𝙙𝙚𝙡 𝙡𝙞𝙘𝙚𝙣𝙯𝙞𝙖𝙢𝙚𝙣𝙩𝙤: la Corte ha escluso che il licenziamento fosse ritorsivo, confermando la legittimità della sanzione espulsiva. 🌐 La decisione della Cassazione conferma un orientamento consolidato in materia di diritto di critica e obblighi di fedeltà del lavoratore. La giurisprudenza ha chiarito che l'esercizio della libertà di espressione, anche sui social network, non può 𝙢𝙖𝙞 𝙩𝙧𝙖𝙙𝙪𝙧𝙨𝙞 𝙞𝙣 𝙪𝙣'𝙖𝙩𝙩𝙞𝙫𝙞𝙩𝙖̀ 𝙙𝙞𝙛𝙛𝙖𝙢𝙖𝙩𝙤𝙧𝙞𝙖, pena la legittimità di sanzioni disciplinari gravi, incluso il licenziamento per giusta causa. Avv. Simone Donati e Avv. Lucia Angeli #CSPLegal #dirittodellavoro #licenziamento #giustacausa #diffamazione #sconfinamento
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⚖️𝐑𝐞𝐩𝐞̂𝐜𝐡𝐚𝐠𝐞: 𝐥’𝐨𝐧𝐞𝐫𝐞 𝐝𝐞𝐥 𝐝𝐚𝐭𝐨𝐫𝐞 𝐝𝐢 𝐥𝐚𝐯𝐨𝐫𝐨 𝐬𝐞𝐜𝐨𝐧𝐝𝐨 𝐥𝐚 𝐂𝐚𝐬𝐬𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 La Cassazione, con l’ordinanza n. 1364/2025, del 20 gennaio 2025 ha confermato la legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo di un lavoratore, ribadendo che 𝙞𝙡 𝙙𝙖𝙩𝙤𝙧𝙚 𝙙𝙞 𝙡𝙖𝙫𝙤𝙧𝙤 𝙙𝙚𝙫𝙚 𝙥𝙧𝙤𝙫𝙖𝙧𝙚 𝙨𝙞𝙖 𝙡𝙖 𝙨𝙤𝙥𝙥𝙧𝙚𝙨𝙨𝙞𝙤𝙣𝙚 𝙙𝙚𝙡𝙡𝙖 𝙥𝙤𝙨𝙞𝙯𝙞𝙤𝙣𝙚 𝙨𝙞𝙖 𝙡’𝙞𝙢𝙥𝙤𝙨𝙨𝙞𝙗𝙞𝙡𝙞𝙩𝙖̀ 𝙙𝙞 𝙧𝙞𝙘𝙤𝙡𝙡𝙤𝙘𝙖𝙧𝙡𝙤 𝙞𝙣 𝙖𝙡𝙩𝙧𝙚 𝙢𝙖𝙣𝙨𝙞𝙤𝙣𝙞 𝙘𝙤𝙢𝙥𝙖𝙩𝙞𝙗𝙞𝙡𝙞, 𝙖𝙣𝙘𝙝𝙚 𝙞𝙣𝙛𝙚𝙧𝙞𝙤𝙧𝙞. 💡𝐈𝐥 𝐜𝐚𝐬𝐨 𝐜𝐨𝐧𝐜𝐫𝐞𝐭𝐨 Un responsabile vendite per il mercato sudamericano era stato licenziato per esigenze di riorganizzazione aziendale. Il lavoratore contestava la soppressione del posto e la mancata verifica di soluzioni alternative. Dopo un iter processuale complesso, la Corte d’Appello ha ritenuto dimostrata l’impossibilità di ricollocazione, decisione confermata anche dalla Cassazione. 📝 𝐋’𝐨𝐧𝐞𝐫𝐞 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐩𝐫𝐨𝐯𝐚 𝐝𝐞𝐥𝐥’𝐢𝐦𝐩𝐨𝐬𝐬𝐢𝐛𝐢𝐥𝐢𝐭𝐚̀ 𝐝𝐢 𝐫𝐞𝐩𝐞̂𝐜𝐡𝐚𝐠𝐞 La Suprema Corte ha ribadito che, in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il datore di lavoro deve provare non solo la soppressione del posto, ma anche l’impossibilità di rioccupare il lavoratore in altre mansioni compatibili. Nel caso concreto, la Corte d’Appello ha ritenuto provata tale impossibilità anche in via presuntiva e indiziaria, in conformità alla giurisprudenza della Cassazione. L’azienda ha dimostrato che la soppressione del ruolo dedicato al mercato sudamericano era reale e che non vi erano posizioni disponibili, senza alcun obbligo di creare nuove opportunità di lavoro. 👩⚖️𝐒𝐮𝐥𝐥𝐚 𝐟𝐮𝐧𝐠𝐢𝐛𝐢𝐥𝐢𝐭𝐚̀ 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐞 𝐦𝐚𝐧𝐬𝐢𝐨𝐧𝐢 Il lavoratore ha sostenuto che le sue mansioni fossero fungibili con quelle del nuovo addetto commerciale assunto per i mercati asiatici. Tuttavia, la Cassazione ha confermato che la semplice analogia tra due ruoli non implica automaticamente la fungibilità. La valutazione della professionalità deve tenere conto di: ◾ 𝘿𝙞𝙛𝙛𝙚𝙧𝙚𝙣𝙯𝙚 𝙣𝙚𝙞 𝙢𝙚𝙧𝙘𝙖𝙩𝙞 𝙚 𝙣𝙚𝙞 𝙘𝙖𝙣𝙖𝙡𝙞 𝙙𝙞 𝙫𝙚𝙣𝙙𝙞𝙩𝙖 (diretta vs. intermediari); ◾ 𝙄𝙣𝙦𝙪𝙖𝙙𝙧𝙖𝙢𝙚𝙣𝙩𝙤 𝙚 𝙡𝙞𝙫𝙚𝙡𝙡𝙤 𝙧𝙚𝙩𝙧𝙞𝙗𝙪𝙩𝙞𝙫𝙤; ◾ 𝘾𝙤𝙢𝙥𝙚𝙩𝙚𝙣𝙯𝙚 𝙨𝙥𝙚𝙘𝙞𝙛𝙞𝙘𝙝𝙚 𝙧𝙞𝙘𝙝𝙞𝙚𝙨𝙩𝙚 (lingua, contatti, modalità organizzative). Poiché il nuovo dipendente aveva un bagaglio professionale e una collocazione gerarchica diversi, la Cassazione ha escluso la fungibilità, escludendo l’obbligo di repêchage. ✔️𝐂𝐨𝐧𝐜𝐥𝐮𝐬𝐢𝐨𝐧𝐢 La sentenza conferma che il datore di lavoro non è tenuto a creare nuove opportunità di impiego se dimostra, anche mediante prove presuntive, l’impossibilità di ricollocazione. La libertà organizzativa aziendale prevale se il repêchage risulta impraticabile. Avv. Simone Donati #CSPLegal #Dirittodellavoro #repêchage #oneredellaprova #fungibilitàdellemansioni
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📰 La rivista 𝐁𝐚𝐭𝐭𝐞𝐥𝐥𝐢 𝐝𝐞𝐥 𝐑𝐞𝐧𝐨 dell’ Università degli Studi di Bari Aldo Moro ha pubblicato un interessante articolo del nostro Nicolas Martuncelli. 🎓 L’articolo affronta un tema di grande attualità: il rapporto tra l’utilizzo dell’intelligenza artificiale e il giudizio di responsabilità degli amministratori che se ne avvalgono nell’esercizio del loro incarico. 👩💻 💹 In attesa del consolidamento di una prassi giurisprudenziale, il contributo offre alcune riflessioni preliminari su questo scenario in evoluzione. https://lnkd.in/d2aMyTxy
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📌 𝐂𝐨𝐧𝐭𝐫𝐚𝐭𝐭𝐨 𝐩𝐫𝐞𝐥𝐢𝐦𝐢𝐧𝐚𝐫𝐞 𝐝𝐢 𝐜𝐨𝐦𝐩𝐫𝐚𝐯𝐞𝐧𝐝𝐢𝐭𝐚 𝐢𝐦𝐦𝐨𝐛𝐢𝐥𝐢𝐚𝐫𝐞 𝐞 𝐦𝐮𝐭𝐮𝐨: 𝐜𝐨𝐧𝐝𝐢𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 “𝐦𝐢𝐬𝐭𝐚” L'ordinanza n. 243 del 7 gennaio 2025 della Cass. Civ. Sez. II affronta un tema cruciale nei contratti preliminari di compravendita immobiliare: la natura delle condizioni sospensive e la ripartizione dell’onere della prova in caso di mancato avveramento. 🔹 𝙄𝙡 𝙘𝙖𝙨𝙤 Un contratto preliminare subordinava il perfezionamento dell’accordo all’approvazione di un mutuo prevedendo espressamente che, in caso di mancata approvazione del mutuo entro 12 mesi, l’acconto versato dall’acquirente dovesse essere restituito ed il contratto considerato annullato. Poiché il mutuo non veniva approvato nei termini, la promissaria acquirente agiva in giudizio per far dichiarare l’avveramento della condizione risolutiva ed ottenere la restituzione dell’acconto. In risposta, la promittente venditrice chiedeva l’esecuzione in forma specifica del contratto ex art. 2932 c.c., sostenendo che l’acquirente avrebbe dovuto dimostrare di aver fatto tutto il possibile per ottenere l’approvazione del mutuo. 🔹 𝙇𝙚 𝙙𝙚𝙘𝙞𝙨𝙞𝙤𝙣𝙞 𝙙𝙚𝙞 𝙜𝙞𝙪𝙙𝙞𝙘𝙞 𝙙𝙞 𝙢𝙚𝙧𝙞𝙩𝙤 ⚖️ Il Tribunale di Genova ha accolto la domanda della promissaria acquirente, dichiarando risolto il contratto preliminare e condannando la venditrice alla restituzione dell’acconto. ⚖️ La Corte d’Appello di Genova ha invece ribaltato la decisione, affermando che l’𝙖𝙥𝙥𝙧𝙤𝙫𝙖𝙯𝙞𝙤𝙣𝙚 𝙙𝙚𝙡 𝙢𝙪𝙩𝙪𝙤 𝙚̀ 𝙪𝙣𝙖 𝙘𝙤𝙣𝙙𝙞𝙯𝙞𝙤𝙣𝙚 𝙥𝙤𝙩𝙚𝙨𝙩𝙖𝙩𝙞𝙫𝙖 𝙢𝙞𝙨𝙩𝙖 (dipendente sia dalla volontà di una parte sia da fattori esterni) e che spetta all’acquirente dimostrare di aver compiuto tutto il necessario per ottenere il mutuo. Di conseguenza, ha disposto il trasferimento dell’immobile ex art. 2932 c.c., subordinandolo al pagamento del saldo per l’acquisto dell’immobile. 🔹 𝙇’𝙞𝙣𝙩𝙚𝙧𝙫𝙚𝙣𝙩𝙤 𝙙𝙚𝙡𝙡𝙖 𝘾𝙖𝙨𝙨𝙖𝙯𝙞𝙤𝙣𝙚 La Suprema Corte ha cassato la decisione della Corte d’appello, affermando che: “La controversia intercorsa non può essere risolta facendo applicazione del generale principio regolante l'onere della prova nei contratti sinallagmatici, ma deve accertarsi se sia individuabile una parte inadempiente o, comunque, prevalentemente inadempiente, per avere mancato di comportarsi secondo buona fede, avuto riguardo alla condizione apposta al negozio e in pendenza di essa”. 👉 Secondo l'opinione della Suprema Corte, il segmento potestativo della condizione stipulata nell'interesse di entrambe le parti esclude che il comportamento omissivo del promissario acquirente rilevi agli effetti dell'art. 1359 c.c. Di conseguenza, non è consentito sostenere che al promissario acquirente possa addebitarsi il mancato avveramento della condizione per non aver assolto al preteso onere della prova che su costui graverebbe. Avv. Carol Barnham #DirittoCivile #Cassazione #Contratti #Compravendita #BuonaFede #OnereDellaProva
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📢 𝐑𝐢𝐬𝐚𝐫𝐜𝐢𝐦𝐞𝐧𝐭𝐨 𝐝𝐚𝐧𝐧𝐢 𝐝𝐚 𝐢𝐧𝐭𝐞𝐬𝐞: 𝐪𝐮𝐚𝐧𝐝𝐨 𝐢𝐥 𝐝𝐢𝐯𝐢𝐞𝐭𝐨 𝐝𝐢 𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐢 𝐜𝐨𝐥𝐥𝐞𝐭𝐭𝐢𝐯𝐞 𝐯𝐢𝐨𝐥𝐚 𝐢𝐥 𝐝𝐢𝐫𝐢𝐭𝐭𝐨 𝐔𝐄 La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con sentenza C-253/23, ha stabilito un principio importante: se una legge nazionale vieta azioni collettive per ottenere un risarcimento, senza offrire alternative efficaci, potrebbe violare il diritto UE. 🔍 𝙘𝙤𝙨𝙖 𝙚̀ 𝙨𝙪𝙘𝙘𝙚𝙨𝙨𝙤? ✅ I͟l͟ ͟c͟a͟s͟o͟ ͟t͟e͟d͟e͟s͟c͟o͟ Trentadue segherie in Germania, Belgio e Lussemburgo sostengono di aver pagato prezzi eccessivi per l’acquisto di legname dal Land Renania Settentrionale-Vestfalia a causa di un’intesa anticoncorrenziale tra il 2005 e il 2019. Per ottenere il risarcimento, hanno ceduto il loro diritto alla società ASG 2 che, in quanto “prestatore di servizi legali”, ha avviato un’azione collettiva contro il Land. ✅ L͟a͟ ͟c͟o͟n͟t͟e͟s͟t͟a͟z͟i͟o͟n͟e͟ Il Land contesta la legittimazione ad agire della ASG 2 sostenendo che la legge nazionale non consenta a prestatori di servizi legali di intentare azioni collettive per il risarcimento danni da violazioni della concorrenza. Il giudice tedesco ritiene che l'azione di recupero collettiva sia l'unico strumento efficace in Germania per ottenere il risarcimento nelle cause in materia di intese. Di conseguenza, il giudice chiede alla Corte di giustizia se il diritto UE impedisca un'interpretazione della normativa nazionale che ne vieti l'uso ai soggetti danneggiati. 📌 𝗣𝗲𝗿𝗰𝗵𝗲̀ 𝗶𝗹 𝗱𝗶𝗿𝗶𝘁𝘁𝗼 𝗨𝗘 𝗽𝗼𝘁𝗿𝗲𝗯𝗯𝗲 𝗲𝘀𝘀𝗲𝗿𝗲 𝘃𝗶𝗼𝗹𝗮𝘁𝗼 🔹 Il diritto dell’Unione garantisce a chiunque il pieno risarcimento per violazioni della concorrenza, sia direttamente alla persona che beneficia di tale diritto, sia a un terzo al quale tale diritto è stato ceduto. 🔹 Sono gli Stati membri a dover definire le modalità di esercizio di questo diritto, ma devono assicurare il principio di effettività. Dunque, se la Germania non offre nessuna alternativa efficace all’azione collettiva e l’azione individuale risulta impossibile o eccessivamente difficile, si configura una violazione del diritto UE. ⚖️ 𝘾𝙤𝙨𝙖 𝙙𝙚𝙫𝙚 𝙛𝙖𝙧𝙚 𝙞𝙡 𝙜𝙞𝙪𝙙𝙞𝙘𝙚? 🔸 Il giudice tedesco deve verificare se la normativa nazionale ostacola il diritto al risarcimento. 🔸 Se così fosse, dovrebbe interpretare la legge in modo conforme al diritto UE. Se fosse impossibile, il giudice tedesco dovrebbe disapplicare le disposizioni nazionali che vietano l’azione di recupero collettiva delle pretese risarcitorie individuali di cui trattasi. 👉 𝙋𝙚𝙧𝙘𝙝𝙚̀ 𝙚̀ 𝙞𝙢𝙥𝙤𝙧𝙩𝙖𝙣𝙩𝙚? Questo caso potrebbe avere un impatto significativo sui sistemi giuridici nazionali, spingendo i Paesi UE a garantire strumenti adeguati per il risarcimento collettivo dei danni da pratiche anticoncorrenziali. Avv. Lucia Angeli e Dott.ssa Maria Fraternali #CSPLegal #Concorrenza #DirittoUE #RisarcimentoDanni #AzioneCollettiva #EffettivitàDelDiritto #TutelaConsumatori #Antitrust #GiustiziaEuropea
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𝐍𝐨𝐯𝐢𝐭𝐚̀ 𝐝𝐚𝐥 𝐒𝐞𝐧𝐚𝐭𝐨: 𝐜𝐚𝐦𝐛𝐢𝐚 𝐥𝐚 𝐫𝐞𝐬𝐩𝐨𝐧𝐬𝐚𝐛𝐢𝐥𝐢𝐭𝐚̀ 𝐝𝐞𝐢 𝐬𝐢𝐧𝐝𝐚𝐜𝐢 𝐧𝐞𝐥𝐥𝐞 𝐬𝐨𝐜𝐢𝐞𝐭𝐚̀ 𝐝𝐢 𝐜𝐚𝐩𝐢𝐭𝐚𝐥𝐢 📢 La Commissione Giustizia del Senato ha approvato il DDL n. 1155, che modifica l’art. 2407 c.c., ridefinendo la responsabilità dei componenti del collegio sindacale. L’obiettivo? maggiore equilibrio tra il dovere di vigilanza e la tutela da responsabilità eccessive, offrendo maggior certezza giuridica a questi professionisti. 🔍 𝘾𝙤𝙨𝙖 𝙘𝙖𝙢𝙗𝙞𝙖 𝙘𝙤𝙣𝙘𝙧𝙚𝙩𝙖𝙢𝙚𝙣𝙩𝙚? ✅ L̲i̲m̲i̲t̲i̲ ̲a̲l̲ ̲r̲i̲s̲a̲r̲c̲i̲m̲e̲n̲t̲o̲ ̲d̲e̲i̲ ̲d̲a̲n̲n̲i̲ Il DDL introduce un tetto massimo ai risarcimenti in caso di violazione dei doveri da parte dei sindaci, salvo il caso di dolo. L’importo massimo varia in base al compenso percepito: 💰 Fino a 10.000 euro → Risarcimento massimo: 15 volte il compenso 💰 Da 10.000 a 50.000 euro → Risarcimento massimo: 12 volte il compenso 💰 Oltre 50.000 euro → Risarcimento massimo: 10 volte il compenso 👉 Perché è importante? Questo meccanismo evita che i sindaci siano soggetti a richieste di risarcimento sproporzionate, rendendo il loro ruolo più sostenibile e tutelando la loro funzione di controllo. ✅ P̲r̲e̲s̲c̲r̲i̲z̲i̲o̲n̲e̲ ̲d̲e̲l̲l̲’̲a̲z̲i̲o̲n̲e̲ ̲d̲i̲ ̲r̲e̲s̲p̲o̲n̲s̲a̲b̲i̲l̲i̲t̲à̲ Viene fissato un termine di prescrizione di 5 anni per le azioni di responsabilità nei confronti dei sindaci. Il termine decorre dal deposito della relazione ex art. 2429 c.c., relativa all’esercizio in cui si è verificato il danno. 👉 Perché è rilevante? La mancanza di un termine chiaro rendeva incerta l’estensione del rischio per i sindaci. Con questa riforma, si definisce un limite temporale certo, allineandosi a principi di certezza giuridica. 📌𝘼 𝙘𝙝𝙚 𝙥𝙪𝙣𝙩𝙤 𝙨𝙞𝙖𝙢𝙤? Dopo il via libera della Commissione Giustizia del Senato, il testo passa ora all’Aula per l’approvazione definitiva. ⚖️ 𝙌𝙪𝙖𝙡𝙞 𝙨𝙤𝙣𝙤 𝙡𝙚 𝙞𝙢𝙥𝙡𝙞𝙘𝙖𝙯𝙞𝙤𝙣𝙞? 🔹 La riforma bilancia responsabilità e tutela, riconoscendo il ruolo fondamentale del collegio sindacale senza esporlo a rischi eccessivi. 🔹 Si rafforza il ruolo dei sindaci come garanti della trasparenza, senza però penalizzarli con obblighi di risarcimento potenzialmente insostenibili. 🔹 L’introduzione di un limite temporale chiaro riduce il rischio di azioni di responsabilità prolungate nel tempo. Avv. Lucia Angeli e Avv. Simone Donati #CSPLegal #governance #collegiosindacale #responsabilità #riformalegislativa #diritto #società #controllo
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🔒📜 𝐒𝐞𝐧𝐭𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐂𝐨𝐫𝐭𝐞 𝐝𝐢 𝐆𝐢𝐮𝐬𝐭𝐢𝐳𝐢𝐚 𝐔𝐄 𝐬𝐮𝐥 𝐋𝐞𝐠𝐢𝐭𝐭𝐢𝐦𝐨 𝐈𝐧𝐭𝐞𝐫𝐞𝐬𝐬𝐞 𝐂𝐨𝐦𝐦𝐞𝐫𝐜𝐢𝐚𝐥𝐞 𝐞 𝐓𝐫𝐚𝐭𝐭𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐨 𝐝𝐞𝐢 𝐃𝐚𝐭𝐢 𝐏𝐞𝐫𝐬𝐨𝐧𝐚𝐥𝐢 📊🔍 La Corte di Giustizia UE, con la recente sentenza C-621/22, ha chiarito un aspetto cruciale della normativa privacy. 🔍 Cos'è il Legittimo Interesse Commerciale? La Corte di Giustizia UE ha riconosciuto che “l'interesse commerciale” può essere considerato un 𝙡𝙚𝙜𝙞𝙩𝙩𝙞𝙢𝙤 𝙞𝙣𝙩𝙚𝙧𝙚𝙨𝙨𝙚 𝙫𝙖𝙡𝙞𝙙𝙤 𝙥𝙚𝙧 𝙞𝙡 𝙩𝙧𝙖𝙩𝙩𝙖𝙢𝙚𝙣𝙩𝙤 𝙙𝙚𝙞 𝙙𝙖𝙩𝙞 𝙥𝙚𝙧𝙨𝙤𝙣𝙖𝙡𝙞 𝙖𝙣𝙘𝙝𝙚 𝙨𝙚𝙣𝙯𝙖 𝙞𝙡 𝙘𝙤𝙣𝙨𝙚𝙣𝙨𝙤 𝙙𝙚𝙡𝙡'𝙞𝙣𝙩𝙚𝙧𝙚𝙨𝙨𝙖𝙩𝙤 e non fondato su una previsione di legge. È sufficiente, secondo la Corte, che l’interesse stesso non sia contrario all’ordinamento. Questo permette alle aziende di trattare i dati personali per scopi commerciali, come il marketing diretto, senza richiedere il consenso esplicito dell'interessato. Tuttavia, il trattamento deve essere strettamente necessario e non deve essere possibile ottenere il consenso dell'interessato in modo pratico. La Corte ha inoltre sottolineato l'importanza dell'equilibrio tra l'interesse legittimo e i diritti degli interessati. ❗ 𝐏𝐮𝐧𝐭𝐢 𝐂𝐡𝐢𝐚𝐯𝐞 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐒𝐞𝐧𝐭𝐞𝐧𝐳𝐚 𝙉𝙚𝙘𝙚𝙨𝙨𝙞𝙩𝙖̀ 𝙙𝙚𝙡 𝙏𝙧𝙖𝙩𝙩𝙖𝙢𝙚𝙣𝙩𝙤: il trattamento dei dati deve essere strettamente necessario per perseguire il legittimo interesse commerciale. 𝙄𝙢𝙥𝙤𝙨𝙨𝙞𝙗𝙞𝙡𝙞𝙩𝙖̀ 𝙙𝙞 𝙤𝙩𝙩𝙚𝙣𝙚𝙧𝙚 𝙞𝙡 𝘾𝙤𝙣𝙨𝙚𝙣𝙨𝙤: deve essere dimostrato che non è possibile chiedere all'interessato di esprimere la propria volontà sulla trasmissione dei propri dati a terzi per fini commerciali. 𝘽𝙞𝙡𝙖𝙣𝙘𝙞𝙖𝙢𝙚𝙣𝙩𝙤 𝙙𝙚𝙜𝙡𝙞 𝙄𝙣𝙩𝙚𝙧𝙚𝙨𝙨𝙞: gli interessi commerciali del titolare del trattamento devono essere bilanciati con i diritti e le libertà fondamentali degli interessati. Se i diritti degli interessati prevalgono, il trattamento non può essere considerato lecito. 𝙏𝙧𝙖𝙨𝙥𝙖𝙧𝙚𝙣𝙯𝙖 𝙚 𝙄𝙣𝙛𝙤𝙧𝙢𝙖𝙯𝙞𝙤𝙣𝙚: gli interessati devono essere informati in modo chiaro e trasparente sul trattamento dei loro dati e sui legittimi interessi perseguiti. ⚠ 𝐂𝐫𝐢𝐭𝐢𝐜𝐢𝐭𝐚̀ 𝐞 𝐏𝐫𝐨𝐬𝐩𝐞𝐭𝐭𝐢𝐯𝐞 𝐅𝐮𝐭𝐮𝐫𝐞 Questa sentenza rappresenta un passo avanti significativo per le aziende, permettendo una maggiore flessibilità nel trattamento dei dati per scopi commerciali. Tuttavia, richiede un'attenta valutazione e documentazione per garantire che il trattamento sia conforme alle normative e che i diritti degli interessati siano adeguatamente protetti. 🔍 𝘾𝙤𝙣𝙘𝙡𝙪𝙨𝙞𝙤𝙣𝙞: La sentenza del 4 ottobre 2024 offre alle imprese una maggiore chiarezza sul concetto di "legittimo interesse" commerciale, ma impone anche rigorosi requisiti di trasparenza e necessità. Avv. Simone Donati #csplegal #DirittoUE #privacy #interesselegittimo #trattamentodati #trasparenza
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👩⚖️ 𝐂𝐨𝐧𝐜𝐨𝐫𝐫𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐬𝐥𝐞𝐚𝐥𝐞 𝐞 𝐜𝐨𝐦𝐮𝐧𝐚𝐧𝐳𝐚 𝐝𝐢 𝐜𝐥𝐢𝐞𝐧𝐭𝐞𝐥𝐚: 𝐥𝐚 𝐬𝐞𝐧𝐭𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐂𝐚𝐬𝐬𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐧. 𝟔𝟐𝟔/𝟐𝟎𝟐𝟓 Nella recente decisione del 10 gennaio 2025, la Suprema Corte si è pronunciata in materia di concorrenza sleale. La sentenza ribadisce un principio fondamentale del diritto concorrenziale: 𝙡𝙚 𝙢𝙤𝙙𝙖𝙡𝙞𝙩𝙖̀ 𝙙𝙞 𝙫𝙚𝙣𝙙𝙞𝙩𝙖, 𝙛𝙞𝙨𝙞𝙘𝙝𝙚 𝙤 𝙤𝙣𝙡𝙞𝙣𝙚, 𝙣𝙤𝙣 𝙙𝙚𝙩𝙚𝙧𝙢𝙞𝙣𝙖𝙣𝙤 𝙡𝙖 𝙥𝙧𝙚𝙨𝙚𝙣𝙯𝙖 𝙙𝙞 𝙘𝙤𝙣𝙘𝙤𝙧𝙧𝙚𝙣𝙯𝙖 𝙨𝙡𝙚𝙖𝙡𝙚, ma sono i bisogni di mercato simili a fare la differenza. Questo principio è stato enunciato dalla Corte relativamente ad un caso riguardante la concorrenza tra imprese operanti nel settore della vendita di prodotti elettronici. 🔍 𝙄𝙡 𝙘𝙖𝙨𝙤 La società ricorrente ha chiesto un risarcimento danni e un’inibitoria per fermare l’utilizzo di alcuni siti web da parte di altre imprese, accusate di atti di concorrenza sleale. In particolare, la questione riguardava la presunta violazione delle regole di correttezza professionale, imputata a imprese che, pur operando con modalità di vendita diverse (punti vendita fisici vs e-commerce), avevano un’offerta simile. ⚖️𝙇𝙖 𝙥𝙤𝙨𝙞𝙯𝙞𝙤𝙣𝙚 𝙙𝙚𝙡𝙡𝙖 𝘾𝙤𝙧𝙩𝙚 𝙙𝙞 𝘾𝙖𝙨𝙨𝙖𝙯𝙞𝙤𝙣𝙚 La Corte di Appello aveva inizialmente ritenuto che non sussistesse un rapporto di concorrenza tra le imprese, poiché queste utilizzavano canali di distribuzione distinti (fisico vs. online). Tuttavia, la Cassazione ha annullato questa decisione, chiarendo che il vero fondamento della concorrenza sleale risiede nella comunanza di clientela. 🔑𝙄 𝙥𝙪𝙣𝙩𝙞 𝙘𝙝𝙞𝙖𝙫𝙚 𝙙𝙚𝙡𝙡𝙖 𝙨𝙚𝙣𝙩𝙚𝙣𝙯𝙖 ✔️𝘾𝙤𝙢𝙪𝙣𝙖𝙣𝙯𝙖 𝙙𝙞 𝙘𝙡𝙞𝙚𝙣𝙩𝙚𝙡𝙖: per i giudici è, necessario valutare la comunanza potenziale di clientela tenendo conto dell'andamento fisiologico e prevedibile del mercato ✔️𝙄𝙧𝙧𝙞𝙡𝙚𝙫𝙖𝙣𝙯𝙖 𝙙𝙚𝙡 𝙘𝙖𝙣𝙖𝙡𝙚 𝙙𝙞 𝙙𝙞𝙨𝙩𝙧𝙞𝙗𝙪𝙯𝙞𝙤𝙣𝙚: l'importante è che il prodotto risponda a un'esigenza comune. Che venga venduto in negozi fisici o tramite e-commerce, il rapporto concorrenziale sussiste comunque. ✔️𝙍𝙞𝙡𝙚𝙫𝙖𝙣𝙯𝙖 𝙙𝙚𝙡𝙡𝙖 𝙥𝙤𝙩𝙚𝙣𝙯𝙞𝙖𝙡𝙞𝙩𝙖̀ 𝙙𝙞 𝙙𝙖𝙣𝙣𝙤: non è necessario che il danno sia già avvenuto. È sufficiente che vi sia il pericolo o la possibilità che la condotta sleale danneggi la concorrenza. 💡𝘾𝙤𝙣𝙘𝙡𝙪𝙨𝙞𝙤𝙣𝙞 In un'epoca in cui le modalità di distribuzione si diversificano, è essenziale considerare l'insieme di consumatori che si rivolgono a prodotti affini. Le imprese devono pertanto essere consapevoli che il loro comportamento può essere oggetto di concorrenza sleale anche se operano su canali diversi, se si rivolgono alla stessa clientela. Questo caso evidenzia l'importanza di monitorare le strategie di vendita e di assicurarsi che le proprie pratiche siano allineate con la lealtà professionale, al fine di evitare sanzioni per concorrenza sleale. Avv. Lucia Angeli e Dott. Nicolò Santini #csplegal #distribuzione #concorrenzasleale #comunanza
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