" IL DUELLO D'ONORE NELLA STRAVAGANZA DEL '700" Stay tuned! Oggi ci occuperemo di un elemento estremamente estetico, " IL VENTAGLIO" arma di seduzione e di sofisticata comunicazione, vediamo perché: Nel XVIII secolo, il ventaglio divenne un importante strumento di comunicazione non verbale per le dame dell'alta società europea, in particolare in Francia e Inghilterra. Questo linguaggio codificato permetteva alle donne di trasmettere messaggi discreti in situazioni sociali formali. Alcuni esempi di gesti e relativi significati: - Tenere il ventaglio chiuso e puntarlo: "Vorrei parlarti" - Appoggiare il ventaglio sulla guancia destra: "Sì" - Appoggiarlo sulla guancia sinistra: "No" - Aprire e chiudere velocemente il ventaglio: "Sono impaziente" - Far scorrere il ventaglio tra le dita: "Ti odio" Questo codice variava a seconda dei paesi e dei contesti sociali. Non era un linguaggio standardizzato, ma piuttosto un insieme di convenzioni che si sono evolute nel tempo. Il ventaglio era anche un accessorio di moda e uno status symbol. Spesso finemente decorato, poteva essere usato per nascondere espressioni del viso o per attirare l'attenzione in modo discreto. Il linguaggio del ventaglio si sviluppò principalmente nelle corti europee, in particolare in Francia, Spagna e Inghilterra. Si diffuse rapidamente tra l'aristocrazia e l'alta borghesia come parte dell'etichetta sociale. Il linguaggio era più elaborato di quanto si possa pensare. Oltre ai gesti semplici, esistevano combinazioni complesse che permettevano di trasmettere frasi intere o sentimenti articolati. Questa forma di comunicazione permetteva alle donne di esprimersi in un'epoca in cui la loro libertà di parola era spesso limitata in pubblico. Era un modo per aggirare le rigide norme sociali dell'epoca. I ventagli non erano solo strumenti di comunicazione, ma anche veri e propri oggetti d'arte. Venivano realizzati con materiali preziosi come avorio, madreperla e piume esotiche, e decorati con pitture raffinate o intarsi. Nel corso del XVIII secolo, furono pubblicati diversi manuali che spiegavano il linguaggio del ventaglio, contribuendo alla sua codificazione e diffusione. Con il passare del tempo e il cambiamento dei costumi sociali, l'uso del ventaglio come strumento di comunicazione iniziò a declinare verso la fine del XIX secolo. Affascinante, vero? Cosa ne pensate?
Post di Cecilia Rosato
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La questione di genere all'interno dei testi semiotici è sempre stata presente e sempre lo sarà. Al giorno d'oggi, è possibile effettuare analisi che ci permettono di individuare le lacune ancora presenti o i progressi compiuti. Ho cercato di evidenziare come le rappresentazioni femminili spesso riflettano oggettificazione e sessualizzazione. L'evoluzione artistica verso l'arte concettuale offre una prospettiva nuova, dove le performance mirano a trasmettere messaggi concettuali. Marina Abramović è l'artista di performance art per eccellenza. A questo link potete leggere il mio paper: corpo, potere e donne https://lnkd.in/dxnDrFmB #semiotica #genderstudies #marinaabramovic
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La industry si è innamorata. Ormai da tempo. L’infatuazione è velocemente passata dalla #passione travolgente all’amore duraturo e costante. Sempre uno a fianco all’altro: nei copy, nei comunicati stampa e negli articoli. Abbiamo letteralmente perso la testa per l’aggettivo “#iconico”. Siamo sicuri, però, che sia sempre usato in modo appropriato? Rispondiamo subito noi: no. Questo piccolo scritto, quindi, serve solo per andare alla radice della parole “iconico” per capire, in futuro, se quella voglia di farla uscire dalla penna oppure no. Necessario, quindi, partire dall’etimologia. La parola deriva dal termine latino iconicus, che a sua volta proviene dal greco antico εἰκονικός (eikonikós), che significa “relativo a un’immagine o rappresentazione” ma anche “essere simile”. Quest’ultimo deriva da εἰκών (eikṓn), che significa “immagine” o “figura”. L’#etimologia, dunque, riflette il significato originario legato alle immagini o simboli, spesso usato per descrivere qualcosa di rappresentativo o emblematico. La radice della parola, dunque, ci mostra il nucleo della questione: quando usiamo “iconico” non dobbiamo partire dall’oggetto che stiamo descrivendo ma dalla sua #rappresentazione. Rappresenta, per esempio, davvero un’idea, un movimento, un periodo storico, una comunità o una pratica in modo preciso? Chiaro che il concetto è molto ampio ma un bollitore in una stanza d’albergo non può essere iconico del settore dell’hotellerie (per fare un esempio surreale che non offende nessuno). La rappresentatività non solo deve essere acclarata ma deve anche essere immediata. Consideriamo, infatti, che prima del boom contemporaneo l’aggettivo “iconico” asseriva principalmente il mondo dell’arte riferendosi a sculture e pitture con un notevole grado di #somiglianza o corrispondenza formale con l’oggetto rappresentato. Questo vale anche in senso traslato come conferma l’enciclopedia Treccani che nella definizione di “iconico” specifica “relativo all’immagine o, più spesso, riferito a simboli conformi all’immagine del simboleggiato. In particolare segno iconico e rapporto iconico fanno riferimento al legame tra segno e oggetto significato”. Fuor di tecnicismo significa che una volta che avete individuato cosa rappresenti il vostro oggetto dovete assicurarvi che nel sapere collettivo il legame di rappresentazione sia immediato. È iconico se mi fa venire subito in mente quello che rappresenta. Il modello deve essere popolare quindi un automatismo universalmente immediato. Per intenderci: il #cartello dei lavori in corso è davvero iconico perché rimanda immediatamente a un concetto in modo similare e immediato. Anche se non particolarmente cool. In estrema conclusione potremmo dire che si inizierà a usare bene questo aggettivo quando si smetterà di utilizzarlo per darsi un tono che suona bene e come sinonimo stretto di “bello”, “di tendenza”, “celebre”, “esemplare” o “nostalgico”. Ricordatevi il cartello del cantiere: non lo è.
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Apparentemente!! Ci identifichiamo nella nostra #immagine esteriore, mentre al carattere e ai #valori diamo un ruolo secondario. Siamo attratti più dall'apparenza, che dal potenziale umano che si nasconde misteriosamente in ognuno di noi. Farci influenzare dalla cultura dell’immagine significa essere pigri, sì, pigri, perché per conoscere le persone dovremmo conoscere il loro vissuto e comprendere i loro perché. Ci facciamo così influenzare dalla #cultura dell'immagine, anziché dalle risorse umane e creative, funzionali al benessere personale e sociale. L'immagine è la causa dei problemi più grandi che assillano la società e chi più di tutti oggi ne fa le spese sono i giovani: i giovani, in apparenza, sembrano fuochi di passione isolati quando invece, con le loro meravigliose differenze, ardono in modo orizzontale per far sì che la sostanza prenda forma e si alimenti. Prima di giudicare chiediamoci se abbiamo capito la differenza tra l'essere e l'apparire!! #ApparentementeSostanziale
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ARTE ED EMPATIA 🧠 In questo nuovo Reel Alessandro Carnevale esplora come il nostro cervello reagisca agli stimoli quando ci si trova di fronte a un’opera d’arte. Secondo uno studio del 2016 osservare un quadro o una scultura riproduce una simulazione delle nostre emozioni. Per esempio, se osserviamo i tagli su tela di Fontana, nel cervello si attivano le stesse aree che si accenderebbero compiendo in prima persona il gesto dell'artista. 🔪 Ma perché succede? Carnevale ci spiega tutto nel suo video e ci invita a riflettere: le persone empatiche si interessano all'arte perché più sensibili, oppure è l'arte che ci aiuta a sviluppare empatia? Fateci sapere la vostra opinione nei commenti! 💬 #SpaghettiBoost #SpaghettiFEAT #AlessandroCarnevale #Empatia #LucioFontana
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Chi mi conosce, sa che non amo l' #arte figurativa. Mi accontento di guardare la realtà, tanto che quando mi si chiede di scrivere a proposito di certi quadri di soggetto, ci impiego il triplo del tempo, per cercare di mettere in luce qualcosa che non sia banale, scontato, auto-evidente. Sarà che questo mondo non mi piace, per cui preferisco immergermi nella fantasia, entro un #informale carico di segni, geroglifici, simboli intraducibili, in cui ciascuno ha l’opportunità di iniziare il proprio viaggio di scoperta. Con Felice #Casorati, però, ho avuto un vero e proprio colpo di fulmine. Il mio sguardo si è soffermato in particolar modo su “L’attesa”: una tempera degli anni 1918-1919, oggi in collezione privata, della quale ho dato la mia personale interpretazione. In questa immagine vedo una #solitudine e una #speranza. La solitudine di una donna che – vestita di tutto punto – aspetta a lungo l’arrivo di qualcuno, tanto da aver finito per chiudere gli occhi, assopita. Le ciotole vuote, non fanno altro che sottolineare il peso dell’assenza e così anche il pavimento a quadri bianchi e neri, che all’infinito ripete la sua serie. Indifferente, come lo scorrere del tempo. Tuttavia, la tavola è apparecchiata per un inizio: le stoviglie sono disposte in modo ordinato, entro un preludio di qualcosa che – prima o poi – dovrà accadere. E poi non una, ma otto persone sono attese. Nel futuro o nel ricordo, ci sarà ancora spazio per popolare quella tavola. Curioso è il gioco del #nero, che accomuna vari elementi. Il vestito della donna potrebbe far pensare ad un abito a lutto; ma sia lo scollo, che la definizione delle forme, ci allontanano da questa suggestione. E poi le sedie: l’idea che alcune persone restino, mentre altre sono destinate a stare in piedi, quasi ad essere sicuri che non si tratterranno. Ancora, nere sono la parte superiore della brocca e la bottiglia, che dai riflessi ci appaiono vuote. Racchiudono, forse, un liquido in grado di dissetare le angosce? Infine, il buio al di là del corridoio: l’incognito, come un mistero sospeso tra passato e futuro. Tra l’attesa di qualcosa che verrà e uno ieri da cui siamo riusciti a fuggire. Ma che ora, però, ci lascia immobili. E poi c’è quella ciotola in primo piano: bianca, a contrastare con il nero del vestito. Lo yin e lo yang, l’intesa perfetta. Un pranzo nuziale? Una riunione di famiglia? Non ci è dato saperlo, né possiamo immaginare se – e quando – qualcuno arriverà. Tuttavia, possiamo pensare a noi e alla nostra vita: che cosa stiamo aspettando? Chi dovrà raggiungerci? Che cosa ci stiamo perdendo, lì fermi su quella sedia? Ogni volta che guardo questo quadro, mi verrebbe voglia di fare una carezza a quella giovane donna. La scuoterei leggermente, ricordandole che dietro di sé c’è il buio, ma davanti filtrano i raggi del sole. Per rompere l’attesa, potrebbe sempre uscire in giardino: magari a raccogliere un bel mazzo di fiori, scegliendo uno da fissare tra i capelli.
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Abito, linguaggio e comunicazione Il linguaggio dei vestiti «I vestiti non sono mai una frivolezza, significano sempre qualcosa» (James Laver (1899-1975), autore e critico inglese. Primo curatore della collezione teatrale del V&A Museum) Gli esseri umani non si esprimono solo con le parole, ma anche con gesti, mimica e con il linguaggio pieno di mistero dei vestiti che indossano. Il nostro corpo è una struttura linguistica, "parla" rivela un infinità di informazioni anche se il soggetto tace, i vestiti indossati rivelano o coprono, accentuando o nascondendo difetti. Data l'importanza del suo simbolismo, l'abbigliamento è sempre stato soggetto a regole e regolamenti. Alcuni tipi di abbigliamento sono di rigore in determinate occasioni o certe funzioni, come il nero ai funerali, il bianco al matrimonio, toghe e parrucche per i giudici, paramenti per predicare e pregare ecc. In questo modo ci assegniamo un codice e pubblicizziamo la nostra attività e mansione, perché gli altri sappiano chi siamo e cosa facciamo. Essendo segnali distintivi, la nostra società molto spesso ha abusato di questo tipo di linguaggio, utilizzandolo per emarginare ed allontanare gruppi etnici e alcune categorie di persone non ben viste, applicando leggi suntuarie ferree. Esempi del passato sono nel Medioevo era severamente vietato esibire ostentazioni sartoriali tese ad elevare la posizione sociale, in tempi più recenti le leggi razziali imposero agli ebrei della Germania di indossare la stella di David sui propri indumenti, per indicare l'appartenenza religiosa. Oggi giorno la situazione è cambiata, anche se in alcuni paesi vige ancora leggi o pregiudizi su quanto concerne il modo di abbigliarsi in pubblico. L'abito può essere imposto come può invece per la maggior parte delle volte essere una scelta. Per questo fatto, siamo noi stessi a scegliere quale personalità mostrare agli alti. L'abito per Seneca è un scelta morale individuale, metafora del "rivestire" e dello "spogliare". « Il vestito è il corpo del corpo e dà un'idea della disposizione dell’anima» E ancora: «Qualcuno potrebbe dire che tali inezie circa i vestiti non sono di gran conto, né per i costumi privati, né per lo stato, e che io mi agito tanto per una questione peraltro non moralmente cattiva. Potessi dimostrare la grande importanza della questione! La cosa è sconcia, che non basta poca eloquenza a spiegarla. Infatti, se il vestito, non meno della parola, esprime il carattere dell'animo e ne è l'immagine, come possiamo dubitare che chi ama tanto i vestiti mostruosi ha mostruoso anche l'animo? » (Erasmo da Rotterdam (1466-1536), teologo, umanista e filosofo olandese) Scritto da Elisa Rosa Arrigoni Foto Frame da un film di Stan Laurel e Oliver Hardy (Stanlio e Ollio), in cui appaiono con le classiche divise a righe
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8marzo Nel linguaggio dei fiori il significato della mimosa è legato al senso di #libertà, autonomia e sensibilità, tutte caratteristiche e qualità che si sposano perfettamente con la causa e con il genere femminile.
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La industry si è innamorata. Ormai da tempo. L’infatuazione è velocemente passata dalla #passione travolgente all’amore duraturo e costante. Sempre uno a fianco all’altro: nei copy, nei comunicati stampa e negli articoli. Abbiamo letteralmente perso la testa per l’aggettivo “#iconico”. Siamo sicuri, però, che sia sempre usato in modo appropriato? Rispondiamo subito noi: no. Questo piccolo scritto, quindi, serve solo per andare alla radice della parola “iconico” per capire, in futuro, se quella voglia di farla uscire dalla penna sia giustificata oppure no. Necessario, quindi, partire dall’etimologia. La parola deriva dal termine latino iconicus, che a sua volta proviene dal greco antico εἰκονικός (eikonikós), che significa “relativo a un’immagine o rappresentazione” ma anche “essere simile”. Quest’ultimo deriva da εἰκών (eikṓn), che riporta a “immagine” o “figura”. L’#etimologia, dunque, riflette il significato originario legato alle immagini o simboli, spesso usato per descrivere qualcosa di rappresentativo o emblematico. La radice della parola, dunque, ci mostra il nucleo della questione: quando usiamo “iconico” non dobbiamo partire dall’oggetto che stiamo descrivendo ma dalla sua #rappresentazione. Rappresenta, per esempio, davvero un’idea, un movimento, un periodo storico, una comunità o una pratica in modo preciso? Chiaro che il concetto è molto ampio ma un bollitore in una stanza d’albergo non può essere iconico del settore dell’hotellerie (per fare un esempio surreale che non offende). La rappresentatività non solo deve essere acclarata ma deve anche essere immediata. Consideriamo, infatti, che prima del boom contemporaneo l’aggettivo “iconico” asseriva principalmente il mondo dell’arte riferendosi a sculture e pitture con un notevole grado di #somiglianza o corrispondenza formale con l’oggetto rappresentato. Questo vale anche in senso traslato come conferma l’enciclopedia Treccani che nella definizione di “iconico” specifica “relativo all’immagine o, più spesso, riferito a simboli conformi all’immagine del simboleggiato. In particolare segno iconico e rapporto iconico fanno riferimento al legame tra segno e oggetto significato”. Fuor di tecnicismo significa che una volta che avete individuato cosa rappresenti il vostro oggetto dovete assicurarvi che nel sapere collettivo il legame di rappresentazione sia immediato. È iconico se mi fa venire subito in mente quello che rappresenta. Il modello deve essere popolare quindi un automatismo universalmente immediato. Per intenderci: il #cartello dei lavori in corso è davvero iconico perché rimanda immediatamente a un concetto in modo similare e immediato. Anche se non particolarmente cool. In estrema conclusione potremmo dire che si inizierà a usare bene questo aggettivo quando si smetterà di utilizzarlo per darsi un tono che suona bene e come sinonimo stretto di “bello”, “di tendenza”, “celebre”, “esemplare” o “nostalgico”. Ricordatevi il cartello del cantiere: non lo è. 🪶 Alan Conti
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Condivido una interessante lettura sul concetto "forma è sostanza" che, analizzando il linguaggio del #Cerimoniale, mostra l'importanza di conoscere questo patrimonio di segni, simboli, gesti, espressioni, rituali e formule per poter gestire efficacemente le nostre interazioni comunicative e relazionali nelle occasioni formali, pubbliche e private. In ambito istituzionale e non solo, infatti, la "forma è sostanza". Ma per comprendere la forma bisogna capire la sostanza che la sostiene. Un percorso sui comportamenti dettati dal #Cerimoniale e dal #Protocollo per capire come essi stessi siano baluardo di un'etica, dove l’osservanza delle regole comunicative, istituzionali, di immagine e di comportamento trovano la loro massima valorizzazione.
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Linguaggio, linguaggi 💬 Chi ha dovuto preparare qualche esame di linguistica ricorderà senz'altro che "linguaggio" non indica solo la parola, ma anche altri sistemi che ci permettono di veicolare un messaggio; uno di questi è la #moda. Rimanendo sulla scia del post di venerdì, propongo questo articolo che parla della moda come linguaggio e dei suoi sviluppi. Buona lettura! 🤓 https://lnkd.in/dUTEktAz
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