Mio figlio Alessandro, 12 anni, apprezza andare per musei quando siamo in vacanza. L'estate scorsa abbiamo visitato una parte della Spagna (Barcellona, Valencia e Saragozza), a capodanno Firenze (con gli Uffizi) e in primavera Ravenna.
La sua disabilità fisica implica alcune limitazioni: aree inaccessibili, entrate spesso secondarie, spazi alle volte troppo stretti per la sua carrozzina. Questo problema di accessibilità è un dato di fatto e spesso è causa della "storicità" delle strutture museali.
Per poter visitare un museo dobbiamo sempre, prima di partire, informarci di ciò che possiamo o non possiamo fare. Non è semplice ma sicuramente fattibile.
Quello che trovo più spiacevole (ed è il contenuto di questo articolo) è il fatto che spesso è proprio la mostra (ma allarghiamo il pensiero pure a tutte le esperienze culturali, come ad esempio i concerti) a non essere accessibile. A non essere pensata per essere goduta da un pubblico più ampio, con esigenze diverse (chi in carrozzina, chi cieco, chi sordo...). Eppure basterebbe considerare i principi dello #universaldesign per far sì che molte più persone possano godere delle bellezze che la cultura ci può offrire.
Ma non solo. Oggi l'#innovazionetecnologica permette di aprire spazi e opportunità fino a ora impossibili da colmare. La tecnologia di stampa 3D permette di ricreare le opere in modo tale da poter rendere fruibile a persone non vedenti le opere d'arte (come al MANN di Napoli). E perché no? Un domani con droni a volo FPV si potrà raggiungere anche luoghi inaccessibili e poterli visitare in prima persona.
Ma il terzo punto è quello più importante. Si tratta di #empatia. Solo attraverso questa parola magica è possibile cambiare realmente lo status quo: "capacità di porsi nella situazione di un’altra persona" (fonte Treccani). Impariamo (e insegniamo) l'empatia per rendere più accessibile questo nostro mondo.