📰 1 oMaggio per i lavoratori dell'Editoria Qualcuno pensa che, come rappresentante di un Editore (nella mia veste imprenditoriale o manageriale), non dovrei mettermi a parlare oggi 1 maggio. Vi garantisco che mi è stato detto. 🤷♂️ Allora mi permetto di omaggiare (1 oMaggio) chi nel settore ci lavora o vorrebbe lavorarci... senza molte occasioni, soprattutto tra i giovani. Qualcosa che, per scelta e necessità, abbiamo deciso di fare per il rilancio della nostra testata e con un occhio a quello che sta succedendo a Il Sole 24 Ore, al Financial Times etc. Il settore è 'vittima e carnefice' di incessanti mutamenti tecnologici e trasformazioni nelle abitudini dei consumatori. La sostenibilità economica delle imprese editoriali diventa fondamentale per il mantenimento della qualità dell'informazione e per la creazione di opportunità lavorative nel settore. Il confronto tra il Comitato di Redazione e l'Editore del Sole 24 Ore evidenzia le sfide nel bilanciare gli interessi editoriali con quelli finanziari e rappresenta un esempio delle dinamiche che coinvolgono il setore in generale (nell'articolo ne parlo riprendendo i fatti). L'importanza di avere imprese solide e sostenibili non può essere sottostimata, poiché esse non solo garantiscono la continuità aziendale, ma offrono anche maggiori opportunità di creazione di posti di lavoro, inclusi quelli nel campo del giornalismo. E il giornalismo di qualità richiede investimenti significativi, non solo in termini di risorse finanziarie, ma anche umane e con profili di supporto spesso sottovalutati dai giornalisti stessi. Festa dei Lavoratori assume un significato ancora più profondo, perché non si parli solo del contributo dei lavoratori, ma rifletta anche su come aprire il mondo del lavoro a coloro che attualmente ne è tagliato fuori. Nel giornalismo, questa necessità è particolarmente evidente, poiché un settore forte e dinamico non solo offre opportunità per i giornalisti, ma coinvolge anche una vasta gamma di professionisti, tra cui produzione, tecnici, commerciali e altro ancora. Il mio augurio è che il 1 maggio ci porti a considerare non solo il presente, ma anche il futuro del lavoro, con un focus particolare sulla creazione di opportunità per tutti, soprattuto per coloro che aspirano a entrare nel settore del giornalismo (un po' meno per quelli che si arroccano su modelli passati a discapito di chi ci mette i soldi e produce). Qui l'articolo 👉 https://lnkd.in/dkupuPkG - Sono Matteo Cerri. Su LinkedIn e dalle colonne di Millionaire scrivo principalmente di esperienze imprenditoriali, storie di italiani all’estero e di rigenerazione dei piccoli comuni italiani con ITS ITALY®. Nella mia newsletter aperiodica ‘Esco quando voglio’ parlo di quello che mi pare e piace. Per iscriverti alla newsletter: https://lnkd.in/enPRAK_B - #Giornalismo #Media #Lavoro #Sostenibilità #FestaDeiLavoratori #Innovazione #Sole24Ore #WSJ #FT
Post di Matteo Cerri
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Esatto Osvaldo! Purtroppo però questo modus operandi non si limita soltanto alle classifiche di Forbes o a qualche guida culinaria, la stessa metodologia, da tempo immemore, viene pedissequamente applicata per assegnare posizioni di rilievo nel mondo del lavoro. Vi basterà infatti avere la possibilità di frequentare taluni atenei, pagando ovviamente rette da capogiro, per avere la certezza di occupare posizioni di rilievo (con condizioni economiche altrettanto privilegiate). Ovviamente vi sarà qualcuno che obietterà: "il percorso universitario di questi atenei è esemplare e difficilissimo quindi le posizioni sono più che meritate"! Lascio a voi alimentare la discussione nei commenti...avrete certamente incontrato casi o esempi sopra citati.
Executive & Social Recruiter | HR Manager | Community Manager | Giornalista | Editore | TedX Speaker | Accetto nuovi collegamenti solo se accompagnati da due righe di presentazione
LA SINDROME DI FORBES Trovo sempre molto divertente leggere i commenti e le congratulazioni degli Zerbini Professionisti quando qualcuno si vanta sui social (o si fa mediare da scarsissime agenzie di stampa) di essere stato/a inserito nelle classifiche di Forbes. Sono gli stessi (consulenti speranzosi, fornitori, dipendenti di quei personaggi) che nella penombra dei buffet dei convegni che contano sghignazzano quando si parla delle stesse classifiche, perché tutti sanno come quelle classifiche vengono compilate. Si prendono 4 o 5 specchietti per le allodole (lo sportivo dell'anno, il mega imprenditore, il brand più cool, gratis) e gli si affiancano una serie di figli di papà, di manager in cerca di visibilità, di egocentrici bulimici e di chi in generale deve far rialzare un brand in caduta libera (a cui si chiede un "obolo") Diventano "i manager dell'anno", "under30 che cambieranno il futuro" (e che spariscono nel soffio di 6 mesi), "le donne più influenti", "gli innovatori del secolo" e altri titoli del tutto aleatori e senza alcun criterio se non quello di aver pagato per stare lì dentro. Lo scrive in un articolo pubblicato ieri sul Fatto Quotidiano, Selvaggia Lucarelli (potrete anche storcere la bocca, ma è l'unica giornalista in Italia che ha fatto saltare il Pentolone Ferragni e che ha il coraggio di ribaltare l'informazione mainstream delle grandi narrazioni aziendali...) che, con dovizia di particolari, stalkerando e facendo domande dirette e molto precise al direttore del giornale e al curatore dell'ennesima classifica, li mette all'angolo e rivela il "modello Forbes", questa volta declinato sui ristoranti che contano. Che tutti conoscono, ma di cui non bisogna parlare. Perché, come scritto nella lettera degli avvocati (anzi, della "boutique legale") che tengo gelosamente appesa in cucina, "si diffama la testata giornalistica". Dopo questo articolo ci sarà ancora qualcuno disposto a raccontare di essere in qualche classifica di Forbes o a condividere articoli di questa rivista? Grazie a Elena Farinelli, Andrea Valente, Edoardo Binda Zane, Filippo Saini e tutti coloro che mi hanno segnalato l'articolo.
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Ottimo post , condivido parola per parola ciò che è scritto
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LA SINDROME DI FORBES Trovo sempre molto divertente leggere i commenti e le congratulazioni degli Zerbini Professionisti quando qualcuno si vanta sui social (o si fa mediare da scarsissime agenzie di stampa) di essere stato/a inserito nelle classifiche di Forbes. Sono gli stessi (consulenti speranzosi, fornitori, dipendenti di quei personaggi) che nella penombra dei buffet dei convegni che contano sghignazzano quando si parla delle stesse classifiche, perché tutti sanno come quelle classifiche vengono compilate. Si prendono 4 o 5 specchietti per le allodole (lo sportivo dell'anno, il mega imprenditore, il brand più cool, gratis) e gli si affiancano una serie di figli di papà, di manager in cerca di visibilità, di egocentrici bulimici e di chi in generale deve far rialzare un brand in caduta libera (a cui si chiede un "obolo") Diventano "i manager dell'anno", "under30 che cambieranno il futuro" (e che spariscono nel soffio di 6 mesi), "le donne più influenti", "gli innovatori del secolo" e altri titoli del tutto aleatori e senza alcun criterio se non quello di aver pagato per stare lì dentro. Lo scrive in un articolo pubblicato ieri sul Fatto Quotidiano, Selvaggia Lucarelli (potrete anche storcere la bocca, ma è l'unica giornalista in Italia che ha fatto saltare il Pentolone Ferragni e che ha il coraggio di ribaltare l'informazione mainstream delle grandi narrazioni aziendali...) che, con dovizia di particolari, stalkerando e facendo domande dirette e molto precise al direttore del giornale e al curatore dell'ennesima classifica, li mette all'angolo e rivela il "modello Forbes", questa volta declinato sui ristoranti che contano. Che tutti conoscono, ma di cui non bisogna parlare. Perché, come scritto nella lettera degli avvocati (anzi, della "boutique legale") che tengo gelosamente appesa in cucina, "si diffama la testata giornalistica". Dopo questo articolo ci sarà ancora qualcuno disposto a raccontare di essere in qualche classifica di Forbes o a condividere articoli di questa rivista? Grazie a Elena Farinelli, Andrea Valente, Edoardo Binda Zane, Filippo Saini e tutti coloro che mi hanno segnalato l'articolo.
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L’isteria è servita. Gli urlatori in esercizio permanente sono senza voce. Certo, nessuno dà loro retta. Forse per questo continuano a voler dire la loro. Che teneri. Ti vien la voglia di accarezzare i loro volti distrutti dal pianto e dire con voce paterna “Non è successo niente, hai solo fatto un brutto sogno, dai che ti cambio la maglietta che sei tutto sudato”. Si, l’argomento è Forbes. La rivista macina utili e guadagni. E’ una macchina da soldi e fatturato. L’idea dei 25 chef è nelle sue corde. Ogni mese esce un numero speciale pieno zeppo di nomi illustri e pubblicità. I migliori 50 manager, le 100 donne più influenti, le 50 startup e via dicendo. Imprenditorialmente sono dei giganti. Certo, la fama arriva dalla edizione americana, è la rivista che stilla la classifica più ambita, quella dei più ricchi al mondo (no, la classifica sui salvatori del pianeta non c’è, anche perché nessuno ha tempo per carrieristi facili e fandonie). Dunque, chi urla contro la scelta dei 25 più influenti, qualsiasi cosa significhi influenti (spoiler: nulla)? Sbraitano gli esclusi. Non parlo degli chef, a loro importa poco. Per la cronaca, c’erano tutti alla premiazione: manco alla Michelin vedi così tanti. Mi riferisco agli esclusi fra gli addetti ai lavori. Già vedo alcuni, paonazzi: “Non mi hanno chiamato. A me! A me, che do del tu a tutti e mi faccio dei selfie in pantaloncini corti con ognuno di loro”. Vedete il rosso sangue del loro volto? Sì, esatto, stanno per scoppiare. Certo, fa un po' a botte che i 25 siano stati scelti da una rivista di ricette per zie arzille con dei bigodini e per pallide giovani donne che cercano la pace interiore senza riuscirci. Forbes e Cucina Italiana insieme sa di ossimoro, da una parte la rivista dei ricchi, dall’altra quella delle ricette semplici in cinque minuti, ovviamente niente carne e tanta verdurina cruda che fa bene alla pelle delle lettrici. Due volte l’anno la sfoglio per vedere quante pagine pubblicitarie ne possa avere ancora: quasi nessuna, le aziende si sono spostate altrove, d’altronde per leggere di involtini a base di melanzane non c’è bisogno di acquistare una rivista, le aziende cercano altro. Tornando alla frustrazione nemmeno così tanto nascosta degli esclusi: tranquilli, Forbes non ha la pretesa di sostituire la Michelin. Nemmeno i 50 best. Semplicemente fa parte del loro dna inventare dei numeri speciali con l’unico scopo di monetizzare al massimo la situazione. Non importa chi ha scelto i 25, poteva essere anche la prima che passava per strada. Tanto i nomi quelli sono. E’ solo una questione di brand, e gli esclusi dalla votazione stanno con gli occhi fuori dalle orbite per questo motivo: volevano vedere il proprio nome abbinato al Forbes, considerandosi in linea con il target della rivista. Appunto, lo credono loro. E ora cià che dobbiamo cambiarvi di nuovo la maglietta, perché state sudando ancora. #food #chef #cucina #ristorante #forbes #premi #affari #business #classifiche
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🤵 Giulio Baldoni, con il suo sorriso di trionfo, guarda soddisfatto il giornale: l’immagine della sua azienda, la Gomplus, campeggia in terza pagina, proprio accanto ai titoli importanti del giorno. Finalmente un successo che spera faccia tacere le voci di chi lo dava per finito! Un annuncio per mostrare al mondo che la Gomplus sta assumendo e che lui ha ancora tutto sotto controllo 💪 💼 Giulio, uomo abituato a lavorare con le proprie mani, sa cosa vuol dire costruire da zero. La Gomplus era nata dal nulla, solo grazie alla sua forza di volontà e all’intuizione vincente di produrre bottiglie in plastica riciclata prima che chiunque altro ci pensasse. 🙄 Ma ora è in difficoltà. Gli anni del boom sono lontani, i giovani non fanno più la fila per lavorare in azienda, e la concorrenza è diventata agguerrita. Ormai si parla di “employer branding”, strategie che a Giulio suonano strane. Ma senza una buona comunicazione, lo sa, rischia di perdere tutto 📉 📲 È così che si affida a Maura, una giovane specialista di marketing, che ha una proposta semplice quanto potente: un articolo a effetto per una rivista locale, che parli della necessità della Gomplus di assumere nuovi dipendenti, facendo passare un’immagine di prosperità e stabilità. "L’azienda va forte!" sembra urlare l’articolo, ma la verità è più complessa. 🎩 Dietro l’apparente sicurezza di Giulio si nasconde la paura di non essere più all’altezza. Ma la verità è che il mondo del lavoro è cambiato e, per competere, servono strategie nuove, che non può più ignorare. E se le condizioni di lavoro non sono quelle che i giovani si aspettano, chi è davvero il responsabile? ✨ Sarà davvero solo una questione di impegno o Giulio dovrà accettare che la realtà dei fatti è cambiata e i vecchi metodi non funzionano più? Un employer branding costruito per apparenza reggerà? Di questo parla il capitolo "Employer Branding" del mio libro "Lavoro di Merito". #EmployerBranding #LavoroDiMerito #Imprenditoria #Lavoro #Società #Giovani #Competitività #StorieDiLavoro #risorseumane
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Un pensiero che mi porto avanti da tempo e che oggi vorrei sviluppare con un esempio: Penso che la gente (parola che non amo), meglio le persone, gli individui, siano molto diverse da come si raccontano, abbiano desideri diversi da quelli che si sentono quasi in dovere di esprimere per sentirsi "a la page", evoluti e progressisti (non in senso politico, ma nel senso di allineati a quel concetto che nuovo sia sinonimo di buono e figo). Penso che invece a tutti manchino delle cose, desiderino altro...e che questo non sia niente di quello che abbiamo tutti in abbondanza...banalità lo so, ma manca sempre quello che è diventato più raro, non quello che abbiamo a portata di mano in modo sempre più facile. Ecco l'esempio: avete visto le folle ai lati delle strade applaudire, sostenere e quasi commuoversi al passaggio dei trattori degli agricoltori?..non in Italia, ma in tutta Europa. Cosa c'è di più lontano da questo, della vita che viene raccontata e dei modelli super inflazionati che ci vengono proposti come fighi? Lo ho già scritto...dopo la sbornia, forse siamo arrivati all'hangover e limitandomi alla comunicazione inizierei ad interrogarmi su nuovi modelli, nuovi messaggi, nuovi testimonial, nuove esigenze da solleticare (che forse sono quelle giudicate "fuori moda", fuori dai trend e inaspettate), perché le persone si raccontano in modo diverso ed è facile prendere abbagli, molto "a la page", ma abbagli. Qualcuno che abbia il coraggio di cambiare paradigma, potrebbe avere grandi vantaggi anticipando e non inseguendo. https://lnkd.in/dFGEKmzx
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👨🎓 Avere la responsabilità di gestire risorse umane significa misurarsi con la storia, le attitudini e le ambizioni del singolo, tentando di incanalare al meglio il patrimonio di competenze e di motivazioni individuali all'interno delle dinamiche di gruppo che governano ogni organizzazione complessa: un'operazione, va da sé, in cui successo e fallimento sono vincolati a un ampio ventaglio di variabili, in primo luogo alla capacità del dirigente di farsi interprete delle aspirazioni del dipendente e all'impegno di quest'ultimo a raggiungere con determinazione gli obiettivi fissati. 🤦♂️ Una rappresentazione patinata, quasi da manuale, le cui premesse poco condividono con l'episodio che (sinteticamente, prometto!) voglio raccontare. 🔎 La mia storia è la storia di una giornalista che voleva continuare a fare la giornalista, ma che ha saputo vincere le proprie resistenze e che, dopo una vita "con la penna in mano" (immagine assai romantica, ma in verità la avevamo dotata di un pc di servizio 😜 ), si è lasciata convincere e ha intrapreso - era il mese di novembre del 2020 - una nuova avventura nelle vesti di responsabile dei canali #social di Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia: un ambito lavorativo relativamente nuovo, per lei; una sfida stimolante per tutti, con un team da ricostruire praticamente da zero e un potenziale, in termini di capacità di coinvolgimento della comunità regionale, ancora largamente inespresso. ❓ I risultati? 📢 Oggi, a tre anni e mezzo di distanza, celebriamo i primi 100.000 follower 💣 su #Facebook (contro i 36.000 di inizio 2021), cui si somma una crescita di contatti pari al 300% 💣 su #LinkedIn, al 75% 💣su #Instagram e al 72% 💣 su #X. 👉 Come? Creando contenuti di qualità, dialogando con gli utenti e proponendo una narrazione coerente, istituzionale ma al tempo stesso non ingessata nei formalismi spesso propri della pubblica amministrazione. 💪 Ah sì, quasi me ne dimenticavo: tutti risultati conseguiti "in organico", quindi senza ricorrere a sponsorizzazioni e interamente a costo zero. Che dire? Brava Carla Ciampalini (e, ovviamente, brave anche le tue "girls")! ❤️ #comunicazione #socialmedia #pubblicaamministrazione #regionefvg #fvg #friuliveneziagiulia #risorseumane
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CIALTRONI GENERAZIONALI. Il settimanale francese L’Express, a differenza del collega italiano, quando costruisce le storie di copertina colpisce sempre nel segno. Sarà che per loro scrivono giornalisti di qualità ed esperienza, sarà che ha una linea editoriale davvero anticipatrice, ma nella sua lunga storia non ricordo una cover destinata al metoo della pubblicità, ne’ una alla più importante influencer francese di insuccesso. La donna dell’anno non è la sorella di qualcuno, ma di solito chi ha fatto qualcosa di meritorio. Sarà per questo che loro, al modico prezzo di 11 euro a numero cartaceo, vendono 20 volte più dell’omonimo italiano. Questa settimana, per esempio, non hanno timori nel dichiarare che la disciplina del management, scienza umana quindi senza controprove di laboratorio, esprime in questi anni il suo momento di massima confusione. E non è un caso che ne parlino: anche in Francia, una generazione influenzata da woke e cancel culture (“una nuova sensibilità”, la definisce qualcuno in Italia) è riuscita a trasformare uno strumento di gestione delle risorse umane in un elemento di debolezza aziendale. Un fiorire di coach da social, di opinionisti senza storia, di pseudo esperti che con le loro newsletter influenzano negativamente chi, come classe dirigente, dovrebbe dare la direzione a chi, come lavoratori, dovrebbe “rendere ogni giorno ordinario lo straordinario”. Racconterò, nelle prossime settimane, quello che è evidente anche all’estero, ma in italia tutti vogliono minimizzare: una generazione di manager quaranta /cinquantenni ha messo l’asticella progressivamente sempre più in basso e cerca di nascondere le proprie inadeguatezze culturali e sociali, usando la rivoluzione digitale come scusa. In realtà, manca un modello innovativo di gestione del personale: la nuova sensibilità demotiva o allontana i collaboratori e frena le aziende. E i coach cialtroni, i motivatori social, i “personal brander”, i “growth manager”, dopo dieci, quindici anni di attività, ormai dimostrano che la devastazione operata rischia di bloccare la macchina dell’economia, se non si interviene in fretta. Nessun senso di rivalsa da parte delle generazioni più anziane. Ma è evidente che si è giocato con settori cruciali (il marketing, le HR, l’R&D), lasciando il pallino in mano a chi sa distruggere ma non costruire, sa raccontare storie ma non sa fare nulla, sa denigrare ma non progettare. Poi qualcuno dice che sono un nostalgico. Forse siamo rimasti in pochi a cercare di fronteggiare i cialtroni deliranti. Ma ne parliamo nelle prossime settimane…
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🚂 Riprendiamo un nostro vecchio format: le cartoline che inviamo dal nostro Binario 9 ¾ ONLIFE (qui il nuovo numero https://lnkd.in/df2C2dVH). 📝 Una cartolina a chi, tramite il suo scrivere, ci permette di riflettere. La prima di questa nuova serie la dedichiamo a Francesco Oggiano che sulla sua DIGITAL JOURNALISM - newsletter del network Newsletterati - ci chiede di fare attenzione a cosa sia attivismo o è virtue signaling, “in altre parole paraculaggine”. “I brand sono attivissimi a supportare lo stato attuale delle cose, recita una battuta su X. Battuta che riassume i miei dubbi sul chiamare brand activism alcune pratiche che magari possono rientrare nel normalissimo campo del marketing. Forse spesso è una questione di aspettative. È un fatto che ancora molti brand non siano un motore del cambiamento, quanto più un accompagnatore del cambiamento, che parte invece dai veri attivisti, quelli che rischiano qualcosa per le loro cause. Ed è un fatto che quello che noi chiamiamo attivismo sia solo un caro e vecchio “virtue signaling”: un'operazione delle aziende per farsi vedere belle, brave e buone”. Secondo voi?
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Oggi, tre anni fa esatti, usciva il primo numero de La Ragione che vedete in foto. Il 2 giugno 2021 - data simbolo scelta non certo a caso - cominciava un’impresa editoriale considerata da molti una follia per una robusta serie di ragioni. La scelta di non abbandonare la versione cartacea, oggi più che mai confermata nella sua dimensione in abbonamento per raggiungere a casa ciascun lettore innamorato dell’antico sfogliare le pagine. Il non essere schierati in una squadra o in un’altra, secondo lo schema tipico dei nostri tempi fra giornali, televisioni e radio. Ancora, la struttura più che snella, che poggia sul lavoro e la passione di un gruppo di professionisti che ne La Ragione hanno ritrovato anche un po’ di quell’entusiasmo sopito dalla troppa routine di altre esperienze. L’idea di provare a costruire uno spazio in cui non si urli. Privilegiare il pensiero, qualcosa quasi fuori moda. Eppure siamo qui, grazie a chi ha creduto in questo gruppo di lavoro, il chairman del gruppo Orlean Invest Holding Gabriele Volpi e il suo Ceo Gianpiero Fiorani. Siamo qui perché finanziano la nostra idea di informazione, commento, approfondimento, cultura e anche - lo sottolineo con forza - formazione. C’è l’orgoglio, infatti, della nostra Academy interna che ha permesso di formare il team di giovani giornalisti, ma anche content creator, reporter, movie maker, podcaster che giorno dopo giorno alimentano l’attività de La Ragione su app, sito, social, podcast, nelle tante attività live che abbiamo curato e continuiamo a sviluppare. In particolare nell’hub culturale milanese di Corso di Porta Ticinese. Grazie a voi, grazie a chi ci ha creduto, grazie a chi ci dice che nessuno ci legge… eppure ci legge. A chi ci segue in televisione in radio, negli spazi che tanti colleghi ci riservano quotidianamente al fianco delle più blasonate e antiche testate nazionali. Al netto dell’amicizia e dei buoni rapporti, se ciò accade è perché evidentemente La Ragione porta qualcosa di diverso nella scena di talk o dibattiti. Guardando indietro, vorremmo aver fatto tanto altro e non riusciamo a non pensare a ciò che è mancato, più che a ciò che si è realizzato. Lo prendiamo - a cominciare dal sottoscritto e da Davide Giacalone - come un impegno con noi stessi e ogni singolo lettore, su qualsiasi piattaforma, di ogni singola riga o pensiero che mettiamo a vostra disposizione. Buona Festa della Repubblica!
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Sono molto felice di presentare il 𝗠𝗮𝗻𝗶𝗳𝗲𝘀𝘁𝗼 𝗱𝗲𝗹 𝗡𝗮𝗿𝗿𝗮𝘁𝗼𝗿𝗲 𝗗𝗶𝗴𝗶𝘁𝗮𝗹𝗲 𝗖𝗼𝗻𝘀𝗮𝗽𝗲𝘃𝗼𝗹𝗲. È il risultato di un lungo lavoro ha coinvolto la nostra community online. Ringrazio gli amici di Virtual Land che hanno contribuito alla sua elaborazione. Ringrazio anche Gioele Ravizza e la redazione de Il piacere di raccontare che ne hanno seguito passo per passo lo sviluppo. Le storie connettono le persone ed è dalla connessione che si crea la comunità. La narrazione attribuisce un senso a ciò che facciamo e apre un futuro alle nostre speranze. Eppure oggi i social sembrano aver perso lo scopo originario di attribuire valore alla collettività. Dividono, anziché unire. Cresce il numero di coloro che li utilizzano oggi in modo distorsivo. Ci sono influencer che svolgono un ottimo lavoro per la collettività. Ma ce ne sono altri che utilizzano i social e il web come vetrina di sé, proponendo modelli irraggiungibili che alimentano la cultura dell’apparenza. Ma la vita non è soltanto apparenza. Ognuno di noi ha una storia da raccontare, esperienze e passioni da condividere. Abbiamo realizzato il Manifesto perché siamo convinti che chiunque pubblichi, esprima opinioni o condivida sui social e sul web debba assumersi una responsabilità. La narrazione può costruire ponti o erigere muri, promuovere la comprensione o alimentare conflitti. Il Manifesto vuole stimolare il dibattito su un tema oggi di importanza cruciale per la società civile. La campagna elettorale americana si è giocata anche sui social. I social influenzano la vita di tutti noi. Potete firmare il Manifesto a questo link: https://lnkd.in/djcZUFgr
Il piacere di raccontare lancia il 𝗠𝗮𝗻𝗶𝗳𝗲𝘀𝘁𝗼 𝗱𝗲𝗹 𝗡𝗮𝗿𝗿𝗮𝘁𝗼𝗿𝗲 𝗗𝗶𝗴𝗶𝘁𝗮𝗹𝗲 𝗖𝗼𝗻𝘀𝗮𝗽𝗲𝘃𝗼𝗹𝗲 , un decalogo per invitare tutti coloro che pubblicano e condividono contenuti online e sui social, a sottoscrivere un impegno nei confronti della collettività. Ogni storia ha un impatto e nel mondo digitale le conseguenze della narrazione possono essere virali e potenzialmente dannose. «Prima di pubblicare mi impegno a riflettere su ciò che voglio raccontare, i valori, le esperienze e le emozioni che desidero condividere» recita l'articolo 1 del 𝗠𝗮𝗻𝗶𝗳𝗲𝘀𝘁𝗼 che presentiamo oggi su LinkedIn, la più autorevole comunità professionale, per contribuire a diffonderlo e firmarlo. A pochi giorni dalla condivisione sul sito, oltre mille persone hanno già firmato il Manifesto, tra le quali autorevoli personaggi del mondo delle imprese e della cultura. Potete firmare il Manifesto a questo link: https://lnkd.in/djcZUFgr Grazie per la collaborazione! #ManifestoNarratoreDigitale #ManifestoPiacereDiRaccontare
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