A Torino è stata presentata la 31ª edizione di “Artissima – Internazionale d’arte contemporanea”, che aprirà i battenti dal 1° al 3 novembre negli spazi dell’Oval e a cui parteciperanno 189 gallerie provenienti da 34 Paesi nel mondo. Nell’occasione è stata annunciata anche la seconda edizione del Premio “Diana Bracco – Imprenditrice ad arte”, dedicato a galleriste emergenti che abbiano dimostrato un’attenzione alla ricerca e alla qualità artistica e una capacità di coniugare la crescita commerciale nel mercato dell’arte con una forte elaborazione culturale. Il Premio, del valore di 10.000 euro, vanta una giuria d’eccezione. “La valorizzazione delle donne nei vari ambiti della vita sociale, economica, politica e culturale, è da sempre al centro del mio impegno nella responsabilità sociale d’impresa, nelle istituzioni e nel mondo aziendale”, afferma Diana Bracco, mecenate e grande collezionista di arte contemporanea. “Da questo retroterra è nata l’idea di costruire con le nostre Fondazioni insieme ad Artissima un’iniziativa che valorizza la figura della gallerista come imprenditrice. Un Premio di cui sono molto orgogliosa, anche perché può essere di stimolo per la nuova generazione di galleriste, italiane e internazionali”.
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Gibellina è la "Capitale italiana dell'Arte contemporanea" per l'anno 2026, con il progetto "Portami il futuro".
Le motivazioni della giuria sono le seguenti:
«La prima capitale italiana dell’arte contemporanea, con la sua candidatura, offre al nostro paese un progetto organico e solido, consegnando all’Italia di oggi un esemplare modello di intervento culturale fondato su valori e azioni che riconoscono all’arte una funzione sociale e alla cultura lo statuto di bene comune.
Anche per la sua capacità progettuale nel riattivare il suo straordinario patrimonio di opere, coniugandone il presente, memoria e futuro, conservazione e valorizzazione, attenzione al locale e ambizione internazionale.».
«... Per il fatto di essere città pioniera di ciò che oggi definiamo rigenerazione urbana. Inoltre, per la capacità di essere insieme una città opera e una città da abitare. Per il suo progetto con il quale la città diventerà un grande laboratorio, dove le pratiche e l’energia dell’arte contemporanea saranno chiamate a condividere pensieri e soluzioni sui temi dello spazio pubblico, della comunità, del paesaggio, della sostenibilità, e del capiente concetto di eredità.».
Per il Ministro della Cultura Alessandro Giuli, "... la città vincitrice sarà all'altezza del titolo riconosciutole con un programma capace di valorizzare il proprio territorio coinvolgendo i giovani talenti di artisti contemporanei nazionali e internazionali, generando coesione, inclusione sociale, innovazione, crescita economica, benessere, individuale e comunitario".
Gibellina ha dimostrato di essere non solo un museo vivente, ma anche un esempio di come tradizione e tecnologia possano convivere per dare vita a una città proiettata verso il futuro.
Gli spazi e la geografia dei luoghi hanno una loro psicologia legata alla memoria delle persone che li hanno abitati.
Conoscerne la storia, custodirli e trasmettere il rimbombo dei ricordi e delle emozioni è compito di ognuno di noi.
Geolander.it
Digital Twin di Gibellina: immagine di un luogo
https://lnkd.in/dk5SSSkH#Gibellina#CapitaleArteModerna#DigitalTwin#InnovazioneCulturale
Il prossimo 6 maggio, presso la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo a Torino, verrà presentato il volume "il segno dell'arte nelle imprese - Le collezioni corporate italiane per l'arte moderna e contemporanea", promosso dal Gruppo Tecnico Cultura di Confindustria .
Le collezioni corporate costituiscono il perfetto connubio tra arte e impresa, in quanto si aprono al pubblico mostrando la mission dell'azienda detentrice della collezione e ponendo la stessa nel ruolo di player culturale del Paese.
La mappatura delle collezioni è imponente e in Italia ne vantiamo diverse tipologie: dalle opere site specific alle raccolte di respiro museale.
Da anni mi occupo dello studio e monitoraggio del fenomeno delle Corporate Collection, in un contesto in cui sempre più vi è attenzione all'arte, non solo intesa quale asset class in chiave di investimento, ma anche come vocabolario usato dalle aziende, fuori dal proprio core business, che si traduce, molte volte, in strategie mirate di CSR (Corporate Social Responsibility).
Un evento interessante per capire la stretta relazione tra cultura e impresa, in quella che può definirsi una narrazione dei singoli brand attraverso il linguaggio dell'arte.
#fsrr#torino#confindustria#corporatecollection
Sono anni che affermo che il sistema tradizionale di galleria in Italia è fallito, assolutamente insostenibile per chi con la Cultura desidera fare Impresa a differenza di filantropi e mecenati (sacrosanti) ma che perseguono l’ <utile culturale>.
Ciò non significa che non si può fare impresa in questo ambito, c’è un mercato dell’arte e della cultura, ma sono necessarie nuove regole, nuove strategie e ciò non vale solo per le ‘Gallerie’ ma per tutto il Sistema Arte: Fiere, curatori, artisti, uffici stampa e soprattutto Musei.
In particolare le Fiere devono smetterla di dare solo Medaglie, Coppe e Vip Card ed ergersi ormai a Comitati Scientifici di Selezione ma devono fare MERCATO soprattutto.
I musei (in Italia l’unico museo nazionale di arte contemporanea è il Maxxi di Roma) poi tanti musei regionali che non hanno soldi e non acquistano quasi nulla di contemporaneo.
Iva al 23%, nessun sostegno pubblico.
Infine il Curatore ormai un Sopravvissuto al proprio tempo e a se stesso troppo spesso imposto dal sistema come gli uffici stampa che ti pubblicano su riviste, social e altro che ormai leggono solo artisti e curatori.
Crisi in cinese significa Cambiamento.
Tutto cambia tranne il Cambiamento.
#artroom#change#NewProject#mercatoarte#Arte#galleriadarte
Qualche riflessione dopo la classifica di Finestre sull'Arte fatta coi voti di oltre 100 esperti (quindi niente best of e top 10 a sentimento, ma l'unica classifica di qualità sulle mostre che al momento sia dato trovare). Due punti base su cui riflettere: 1) confermiamo che, almeno su antico e moderno, il nostro paese è in grado di allestire mostre importanti e di respiro internazionale, e oltretutto sono sparse sul territorio. Lo avevo già scritto in diversi editoriali, il voto degli addetti ai lavori dà conferme inequivocabili; 2) Sul contemporaneo c'è tantissimo lavoro da fare, perché il contemporaneo non regge il passo dell'antico. Tante mostre premiate, e alcune massacrate: in particolare, la giuria ha bastonato il futurismo a Roma e Ai Weiwei a Bologna.
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Interessante questione posta dalla decisione della GNAM di Roma di non accettare più comodati di opere di terzi in deposito al museo. Il problema non è da poco dato che, spesso, il comodato risulta essere una forma di magazzinaggio per chi ha una collezione e per varie ragioni non sa dove sistemarla. Il fattore dirimente, comunque, dovrebbe essere la capacità di capitalizzare il deposito per il bene comune esponendo le opere in comodato. Purtroppo questo spesso non avviene e quindi il museo ci perde vista la cura che comunque deve essere garantita alle opere con costi specifici a spese del museo e, quindi, del contribuente.
Gnam ha una ricca collezione grazie alla sua storia e quindi si può permettere, forse, di restituire tutto. Forse bisognerebbe ripensare le modalità del comodato per trovare la corretta relazione tra opere affidate, qualità e coerenza artistica delle stesse e durata dei teemini di concessione.
Ci sono momenti in cui l’arte ci sorprende, rivelandosi non solo come estetica da contemplare, ma come un potente mezzo di espressione. Unisce tradizione e innovazione, trasformando materiali semplici in storie straordinarie.
Martina Mura, vincitrice della Coppa Luigi Nocivelli 2023, ne è un esempio: con i suoi semi, umili e simbolici, intreccia natura, memoria e immaginazione, tracciando nuove coordinate artistiche.
La sua storia ci invita a riflettere: come possiamo portare creatività e bellezza nella nostra quotidianità? Come possiamo creare spazi dove le idee possano crescere e fiorire?
Una domanda aperta, ispirata dall’arte, per ricordarci quanto sia importante coltivare il pensiero creativo ogni giorno.
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• Quando un'impresa produce significati
Il 27 novembre, presso la sede del Gruppo Cassa Depositi e Prestiti, abbiamo avuto il piacere di accogliere gli artisti vincitori del Premio Caputo per l’arte contemporanea. È stato un momento di confronto autentico e stimolante, reso ancor più significativo dalle riflessioni condivise da Olga Vattimo (Accademia di Belle Arti di Napoli), Salvatore Amura e Riccardo Conti (Valore Italia), oltre che dal collega Bruno Petricciuolo (Gruppo CDP).
Questi dialoghi mi hanno portato a maturare una convinzione: il Premio Caputo non è solo mecenatismo d’impresa. È qualcosa di più profondo e necessario. È il tentativo di ridare sostanza a parole come collaborazione e collettivo, riportando l’arte a una dimensione etica e civile, oltre che estetica. Perché, in fondo, l’arte — proprio come la farina, soggetto ispiratore del premio — è un atto primordiale: ed entrambe, senza l'intervento saggio e sensibile dell'uomo, sarebbero polvere.
Ma veniamo a loro, agli artisti. Chi sono oggi gli artisti? Non i bohémien dei caffè parigini di inizio Novecento, e neppure erranti idealisti. No, gli artisti di oggi sono qualcosa di diverso. Ascoltandoli, ho visto ricercatori di senso, progettisti dell’invisibile, ingegneri sensibili, architetti dell’immaginazione, economisti visionari. Sono portatori di saggezza e lungimiranza, e operano non solo con il cuore, ma anche con la testa e con le mani. Hanno più competenze che trasformano in archetipo: le loro opere.
Il cuore simbolico del Premio Caputo, promosso dalla storica azienda campana Caputo - Il Mulino di Napoli, è proprio questo: mostrare che un’impresa non deve limitarsi a produrre beni o a costruire narrazioni di marketing per la vanagloria social. Può fare di più. Può produrre significati. Può lasciare un’impronta di permanenza nel tempo. E così, il Mulino Caputo ha deciso di associare la propria memoria all’arte, stabilendo un legame profondo tra l’antico e il contemporaneo, tra l’artigianato e la creazione artistica, tra la sacralità del pane e l’essenza stessa del presente. Non ha solo sostenuto l’arte: ha prodotto tempo. Tempo per sé, per la propria identità, e tempo per la cultura collettiva.
E allora la domanda viene spontanea: Perché un mulino diventa mecenate d’arte? Lo fa per comunicazione? Per stile? Per obbligo?
No, lo fa perché può. E perché deve. Ma non nel senso imposto dall’esterno. Lo fa come cultura d’impresa, che genera valore per tutti. E in questo scambio — tra farina e idee, tra pane e immaginazione — non si produce solo arte. Si produce futuro.
CDP Cassa Depositi e PrestitiSalvatore AmuraBruno PetricciuoloElena ShneiwerSabrina Fiorino
Claudia canalini
Alessandra Colonna
Francesca Passarin
VALORE ITALIA Impresa Sociale
Poco più di un anno fa chiudeva la mostra di Domenico Notarangelo che ho curato al MAXXI di Roma.
Per anni Notarangelo è stato scambiato per reporter, fotografo di scena, semplice appassionato, giornalista, addirittura un politico che usava la macchina fotografica per storicizzare contesti sociali.
Trasformare la percezione che il pubblico aveva di quelle foto, me compreso, in quella corretta di opere d’arte da collezione viene dalla passione ma è una professione. L’ho tirato fuori - come avrebbe fatto ogni bravo collega - da quella interpretazione semplicistica e riduttiva e l’ho rimesso dove deve stare, tra gli artisti senza partito, senza politica e senza i filtri della comunicazione. Tra gli artisti che trasmettono nuovo senso.
Tra gli artisti utili al mondo.
Infatti i veri collezionisti lo hanno comprato.
Inquadrare, è il caso di dirlo, i valori invisibili di quelle società di metà ‘900, e di quelle straordinarie persone, per farne emergere il senso e la preziosità che hanno per noi oggi, e farlo diventare fruibile ai sensi e alla visione di noi contemporanei, è un vero e proprio lavoro, e non lo possono fare tutti. Va detto per etica ed estetica, non per cosmetica.
Oggi è scoppiata la moda della cultura ma c’è gente che da 25 anni si sforza di far comprendere il pensiero divergente degli artisti maggiori, di trasmettere una valenza che pure si vedrebbe a occhio nudo, e su questo si fanno progetti, mica talk: l’arte di qualità, quella di ricerca che contiene conoscenza e percorsi intellettuali dirompenti, resta per sempre. Basti guardare le città d’arte o i grandi artisti che segnano l’immaginario collettivo e individuale in modo indelebile.
Mentre le fiction, le quinte sceniche, la moda, i trend, la comunicazione pubblicitaria e soprattutto la bellezza sono tutte cose che nascono e muoiono ciclicamente. E non lasciano traccia.
Collezionare vuol dire avere una storia precisa fatta per immagini a cui attingere ogni attimo per avere informazioni emotive e cognitive profonde e immortali.
Il resto è moda e morirà come ha sempre fatto.
Sempre mantenendo viva la relazione fra Creatività e Arte, mi domando se siete interessati a conoscere le nomination de l'Oscar dell’arte 2024. Il meglio dell’anno secondo la redazione di ArtsLife
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Come si viveva nel Cinquecento in una delle città più popolose dell’Europa moderna? Quali sentimenti animavano gli uomini? A chi si chiedeva protezione? Quale era il ruolo delle donne? Quali libri si leggevano, quale musica si ascoltava?
A queste domande e anche a molte altre risponde la mostra Il Rinascimento a Brescia. Moretto, Romanino, Savoldo. 1512-1552, di Fondazione Brescia Musei che ha la curatela di Roberta D’Adda, Filippo Piazza e Enrico Valseriati e vuole restituire al pubblico di oggi lo spirito di un’epoca.
Troppo spesso il Cinquecento bresciano di Moretto (1498 circa – 1554), Romanino (1484/1487 – 1560) e Savoldo (1480 circa – post 1548) è stato raccontato come un episodio isolato, confinato nella storia dell’arte. Questa rassegna dimostra come e perché la pittura raggiunse risultati sorprendenti, facendosi linguaggio precursore di maestri come Moroni e Caravaggio e divenendo base della straordinaria tradizione della cosiddetta pittura della realtà.
Il Cinquecento a Brescia è eccentrico, tormentato da tensioni religiose e dai drammi della guerra, tra il lusso delle famiglie nobiliari di una città ricca e potente, l’operosità di molti e il fermento culturale.
In mostra vedremo dipinti, oggetti, libri, armi, strumenti musicali che diventano testimoni di un periodo che si apre con il brutale Sacco della città nel 1512, la crisi sociale, economica, morale che ne consegue e prosegue con la rinascita, colma di inquietudine così come di un desiderio di un nuovo tempo di pace e prosperità.
Brescia nel 1506 è una città di circa 60.000 abitanti, tra le venti città più popolose del continente europeo, più di Roma e più di Madrid; è uno dei centri nevralgici della Repubblica di Venezia in terraferma, un grande emporio commerciale e produttivo. Questi dati non solo danno conto della convergenza di interessi esistenti su Brescia, uno dei maggiori centri economici, sociali e culturali dell’Europa del tempo, ma fanno meglio intendere cosa significò il 1512 quando le truppe francesi, condotte da Gaston de Foix, saccheggiarono la città uccidendo circa 8.000 uomini e donne, incendiando e distruggendo. Ne scrive Patrizia Lazzarin