CONFESSIONE DI UNA SOMMELIER ATIPICA: No, non giro con il tastevin al collo e non uso paroloni incomprensibili per impressionare gli ospiti.
Sarò anticonformista, ma credo che la degustazione debba essere un momento di scoperta gioiosa, non un esame di enologia.
Perché far sentire inadeguato chi non riconosce “la nota terziaria del terzo passaggio”?
La verità? Il vino è una delle esperienze più democratiche che esistano. Non serve un super palato o un vocabolario da Oxford per apprezzarlo. Serve solo la voglia di lasciarsi sorprendere.
Ed è qui che entra in gioco il metodo: tecnicamente ineccepibile (si, certo i protocolli tecnici li conosco!) ma tradotto in un linguaggio che parla a tutti. Perché il vino racconta storie: di terreni, di famiglie, di tradizioni.. e queste storie meritano di essere comprese, non solo ascoltate.
Il risultato? Sale degustazione dove le risate si mescolano alle analisi sensoriali. Clienti che partono intimoriti e finiscono per scoprire che si, anche loro sentono quel profumo di sottobosco.
Produttori che vedono i loro vini raccontati in modo nuovo, accessibile, ma sempre rispettoso.
Questo approccio non è un vezzo: è una scelta precisa. Perché il vino è cultura, è patrimonio, è eccellenza. E la cultura cresce solo quando viene condivisa, capita, amata.
Non quando resta chiusa in un’élite.
P.S. E si, ogni tanto uso ancora qualche parolone. Ma solo quando serve davvero😉
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Sommelier Federale Svizzero
9 mesiCiao Paola, voglio partecipare anch'io ad una degustazione nella tua Tastingroom