Ieri ho imparato una parola nuova. Una parola che non mi piace per niente, letta nel commento di Concita De Gregorio sulla morte di 2 ventenni per le complicazioni degli interventi di chirurgia estetica a cui si erano sottoposte.
Scrivo perché le parole mi colpiscono sempre tanto in relazione al lavoro che faccio, non per stigmatizzare le scelte individuali, non per aggiungere l'ennesima opinione non richiesta sul proliferare di presunti studi medici e professioni che lucrano sulle nostre fragilità, ma solo perché quella nuova parola si è affacciata per interrogarmi severamente, come professionista della comunicazione e anche come genitore.
Cosmeticoressia, alzi la mano chi la conosceva prima di trovarla qui o a pagina 17 di Repubblica in edicola ieri. Esiste una specializzazione psicoterapeutica all'ospedale pediatrico Bambino Gesù, per curare giovani alle prese con disturbi ossessivi derivanti dall'uso di prodotti cosmetici non adatti allo sviluppo della loro età.
In un altro articolo (Silvia Luperini-Venerdì di Repubblica-Luglio 2024) leggo che esiste una crema rassodante, Brazilian Bum Bum, che ha sbancato i retailer di tutto il mondo vendendo un barattolo ogni sei secondi, un barattolo ogni sei secondi, di un prodotto a base di guaranà dell'Amazzonia, noce di cocco, olio di cupuaçu, bacche di acaí che "aiuta visibilmente a levigare e rassodare la pelle", e che avrebbe conquistato le ragazzine di tutto il pianeta grazie a un golosissimo profumo di pistacchio e caramello. L'azienda è stata acquistata dalla francese L'Occitane nel 2021 e stando alle stime di The Business of Fashion "dovrebbe raggiungere il miliardo di dollari in quest'anno fiscale proprio grazie alla crema Bum Bum, tra i best seller del sito web di Sephora".
Io penso alla cosmeticoressia, e mi vengono in mente tutte le campagne di sensibilizzazione sull'autostima femminile che sono state firmate da diversi brand del largo consumo e anche dalle marche farmaceutiche che hanno fatto della bellezza naturale la loro cifra narrativa. Penso a tutte le promesse che abbiamo scritto, nella convinzione che stavamo bonificando l'immaginario collettivo dalle storture perfezionistiche che abbiamo ereditato dal passato.
Poi leggo che secondo uno studio pubblicato sul Social Psychological and Personality Science ogni giorno nel mondo vengono scattati circa 92 milioni di selfie. E che dopo il Covid la moltitudine di video call avrebbe moltiplicato il nostro rapporto con l'immagine riflessa, aumentando stress e inquietudini di fronte alle nostre webcam. Ed è qui che rubo a Roselina Salemi per Io Donna una citazione che inquadra perfettamente il contesto, come genitori e come professionisti/e: "Il problema non è l'aspetto fisico, è l'aver smarrito la propria identità, il recinto sacro dell'io, il luogo dal quale attingiamo l'energia, la fiducia, la speranza" (Amir Levine, psichiatra e neuroscienziato).
Mentre si muore di cosmeticoressia, si potrebbe provare a ripartire da qui?