#1 Break Even Point
Quando esci dal mondo dell’università, sei una bomba a orologeria. Non vedi l’ora di esplodere, di mettere in pratica tutta quella teoria, di riscattarti da quegli anni trascorsi a fare incubi sui professori, tutte le ore passate seduta alla tua scrivania anche quando fuori c’è il sole, perché sai che in fondo andare a studiare al parco è una scusa che ci si racconta in tanti. Quando la soddisfazione più grande è dedicare ogni argomento a un diverso colore di evidenziatore e, per i più fortunati, collezionare le gradazioni degli Stabilo a punta sottile dal blu al rosso. È una corsa all’ultimo esame; più che un piano organizzativo è un piano di battaglia.
La prima laurea la festeggi meglio del compleanno dei 18 anni e quando scrivi i ringraziamenti sulla tesi ti senti in dovere di citare anche la maestra della prima elementare perché, col suo occhio di riguardo, ti ha indirizzato verso gli studi scientifici, che sin da piccola senti di amare e, dentro di te, sai che saranno parte fondamentale della tua vita.
I due anni di specialistica volano, puoi guardare le matricole con un senso di compiacimento; sai che stai raggiungendo il tuo obiettivo e in fondo sei invincibile, devi solo allacciare la cintura di sicurezza perché sta per iniziare l’atterraggio, il sobbalzo finale delle ruote sull’asfalto sarà premiato dall’applauso liberatorio dei viaggiatori oramai sollevati.
La seconda laurea è voler arrivare alla fine. È pendere dalle labbra del professore che sta per proclamarti Dottore Magistrale in Ingegneria Gestionale; è sbattere commossa il tacco sul pavimento quando non ci credi che sei arrivata al tuo obiettivo senza andare fuori corso, è piangere guardando piangere i tuoi genitori più stanchi di te, è l’applauso di chi ti guarda. È percepire l’ammirazione degli sconosciuti per il tuo, solo in pochi sanno quanto sudato, voto di laurea.
Poi inizi. Il primo giorno in azienda ti senti spaesato, un po’ fuori luogo, outfit deciso il giorno prima in videochiamata con mamma, i capelli a posto.
I colleghi ti guardano un po’ incuriositi, iniziando a fare i primi pronostici su quanto durerai, lo stress ti ammazzerà, “in fondo sono studenti, non sono abituati alla vita vera”. Vieni affiancata per un lavoro che non era proprio quello che avevano detto sarebbe stato, ma va bene così, l’importante è iniziare a sentirsi parte di un meccanismo. L’affiancamento è interrotto da cause di forze maggiori, quindi tocca a te. Inizi a studiare sugli appunti degli altri, ti parlano di “modus operandi” piuttosto che di vere e proprie procedure, sei cortese e disponibile, impari velocemente nomi e qualifiche; “chiamami pure se hai bisogno io ci sono”. Impari a bere quel pessimo caffè, dicono che svegli. Quei 37 cent, che spesso sono CHI ME LO OFFRE?, diventeranno una prassi inevitabile alle 8.00 con i colleghi. Lamentarsi alla mattina dell’imbevibile caffè, le risposte sarcastiche e sconsolate al tuo raggiante buongiorno mattutino, le battute sull’inizio di un nuovo giorno, di una nuova settimana. Tutto rassicurante come la coperta di Linus.
Ricordo la prima riunione, un po’ impaurita sulla soglia della porta, dovevo iniziare a compilare documenti sul gestionale. Quel gestionale che mi avrebbe accompagnato, da quel momento in avanti, senza più lasciarmi. In un’azienda che senti avere il dovere di migliorare, pensi di essere investita da responsabilità. Pian piano inizi a macinare, inizi a capire e inizi a pensare, inizi ad avere le tue idee, flash di nozioni sentite quando eri tra banchi all’università e allora riesumi libri, slide, appunti. Riprendi a studiare. E, a questo giro, con un altro spirito.
Senti gli ingranaggi che iniziano a muoversi quando ti svegli prima che a svegliarsi sia l’azienda e sai che sta andando a dormire quando le donne delle pulizie si raccontano a bassa voce, per non disturbarti, dei loro mariti svogliati al posto di gridare ricette nei corridoi come la settimana prima, quando non si erano accorte della tua presenza.
Fai fatica. Ti scontri con una realtà che per certi versi vuole restare nella propria gestione familiare, hai paura che la tua caparbietà possa essere scambiata per arroganza, il tuo impegno in presunzione.
Non è vecchio contro nuovo, non è passato contro presente. Si vorrebbe solo che lo “spreco di soldi” diventasse investimento a lungo termine, lo “spreco di tempo” analisi di mercato, benchmarking e ottimizzazione della gestione, “spreco di carta” diventasse consuntivazione commesse, analisi dei WIP e Pianificazione dei Fabbisogni; “spreco di ingegno” sia R&D e customer satisfaction.
Il tutto è più della somma delle singole parti. È offrirsi per dare un valore aggiunto.
Uno studente che esce dal mondo dell’università si sente una bomba ad orologeria. Non tappategli le ali. Ha la grinta di chi ha amato i suoi studi, la tenacia di chi ha lottato anche nei momenti di scoraggiamento, l’energia di chi ha dovuto dare un esame per poi ridarlo ancora e perché no, anche una terza volta.
E per di più, se è uno studente fuori sede, ha la determinazione di chi vuole inorgoglire la propria famiglia e premiarla per gli sforzi fatti, non solo economici, ma anche emotivi e ha il coraggio di chi ha dovuto confrontarsi con interminabili momenti di solitudine.
“Fai quello che ami e non lavorerai un solo giorno della tua vita”
Facility e Maintenance Manager presso Gruppo Cedacri
5 anniVerissimo!!!
Senior Production Planner
7 anniIl mio discorso era tutt'altro che un inno alla laurea come ottenimento di un pezzo di carta o raggiungimento di una votazione fine a se stessa! Penso che, invece, a dettarmi è stata la voglia di dimostrare l'amore per la conoscenza e il desiderio continuo di miglioramento..