10 domande a... Dalila Bellometti

10 domande a... Dalila Bellometti

“Esiste un curioso paradosso: quando mi accetto così come sono, allora posso cambiare.”

Carl Rogers

Il counseling è una branca complessa e ricca di sfumature. Spesso confusa con il coaching o la psicologia, è tutt'altra cosa rispetto alle altre due materie.

Secondo  la definizione del 1995 dell’EAC (Associazione Europea di Counseling) “il counseling è un processo interattivo tra il counselor e un cliente, o più clienti, che affronta con tecnica olistica temi sociali, culturali, economici e/o emotivi.

Può concentrarsi sulla modalità di affrontare e risolvere temi specifici, aiutare a superare una crisi, migliorare i rapporti con gli altri, agevolare lo sviluppo, accrescere la conoscenza e la consapevolezza di sé, permettere di elaborare emozioni e confini interiori.

L’obiettivo globale è quello di offrire ai clienti, con modalità da loro stessi definite, l’opportunità di condurre una vita più soddisfacente e ricca di risorse, sia come individui, sia come membri della società più vasta”.

L'ho sempre trovata una materia affascinante e, per questo, ho voluto intervistare Dalila Bellometti , una delle counselor più esperte e in gamba con cui abbia mai collaborato.

Adesso lascio a lei la parola e... buona lettura!

1. Cos’è il counseling? Che differenza c’è con il coaching e la psicologia?

 Il counselling rientra nel campo delle relazioni d’aiuto.

Un professionista counsellor supporta la persona in un momento difficoltoso di vita, per trovare le risposte giuste per come è lei in quel periodo.

Non interviene nel profondo della personalità, ma fornisce gli strumenti affinché la persona ritrovi le proprie risorse e le capacità che non vede a causa di un evento di vita, di lavoro.

C’è un progetto concreto, stabilito con il cliente, con la coppia, con il gruppo, riguardante un obiettivo che si vuole raggiungere, di benessere completo ed equilibrio emotivo, realizzato in un numero di sessioni definito.

La differenza con il coaching si trova sia nella preparazione del professionista, sia nel tipo di contratto che si stipula fra le due persone o fra il coach e il gruppo.

Il coaching viene definito dall’Associazione Italiana di coaching come “un rapporto commerciale di espressa natura contrattuale” svolto attraverso attività di sostegno e affiancamento per la realizzazione di obiettivi operativi del “coachee”.

Non può essere “di stampo psicologico o terapeutico e senza trattare problemi o disagi che possano riguardare la salute della persona. Il coaching è un metodo basato sull’apprendimento attivo…”

Quest’ultima parte di definizione chiarisce cosa sia il coaching: è una modalità di apprendimento che vede nel coachee la parte altrettanto attiva del coach.

Un supporto concreto e fattivo.

Tutte e due queste professionalità sono state inserite nella Legge 14 Gennaio 2013, n. 4 Disposizioni in materia di professioni non regolamentate, non hanno un albo e non c’è una prescrizione specifica sulla formazione, se non aderendo alle associazioni di categoria che garantiscono la serietà dei professionisti.

Lo psicologo ha un inquadramento legale specifico, risalente al 1989.

Inserito nelle professioni sanitarie, ha come obiettivo la valutazione di un disagio, analizzarlo e individuare la modalità di intervento più consona.

Redige diagnosi sullo stato interno di una persona, gruppo, comunità; può fare ricerca in questo campo, redigere programmi di intervento e prevenzione a livello sociale.

Come vedi sono tre professioni affiancate e riguardanti la persona con dei confini chiari sul proprio ruolo e come svolgerlo.

2. Come è nata la tua passione per il counseling?

Sorrido nel risponderti perché è nata con me.

Fin da bambina, volevo capire perché io mi comportassi in un dato modo e il perché del comportamento delle persone a me vicine. Alle quali non interessava proprio per niente!

Leggevo ogni cosa riguardasse il funzionamento della mente e a 14 anni mi innamorai di Lacan, perché affrontava la questione del linguaggio.

Volevo diventare una psicoanalista, per capire me stessa e aiutare gli altri a capirsi.

Al counseling ci sono arrivata per caso.

Il percorso accademico non faceva per me. Mi sono iscritta alla facoltà di Pedagogia una prima volta, su suggerimento di una mia insegnante che solo da poco ho visto quanto sia stata lungimirante perché diceva che insegnare era il mio dono. Ma non mi trovavo bene coi compagni, interessati ai voti, mentre a me piaceva la riflessione, la scoperta. E la lasciai.

Circa vent’anni dopo ci riprovai, iscrivendomi a Psicologia e dando i primi esami.

In quel momento, la mia ex insegnante con cui ero in contatto, mi parlò del corso di counseling, partito da poco in città. Dicendomi: “è il tuo corso, dai un’occhiata”.

E boom! Me ne innamorai, per la sua concretezza, la sua umanità e versatilità.

La mia psicoterapeuta mi disse poi di diventare psicologa, ma ho preferito formarmi come supervisore e specializzarmi nel lavoro online, circa otto anni fa, perché il counseling è concreto, creativo, con i piedi per terra come piace a me.

3. Quali sono state le motivazioni che ti hanno spinta a diventare la professionista che sei?

Penso di averti già in parte risposto nella domanda precedente, ma tutto si è approfondito man mano che facevo esperienza di lavoro concreto.

Un aspetto che tuttora mi affascina del counseling è il rispetto profondo per il cliente e la modalità non direttiva per affiancarlo, aiutandolo a trovare quella che è la soluzione migliore e costruttiva riguardo alla problematica per cui mi contatta.

Inoltre, l’impostazione della mia scuola di counseling è stata sulla relazione. La relazione è il fondamento della nostra vita, come esseri umani e come co-inquilini della Terra, insieme ad animali, piante e ogni essere vivente.

Questa impostazione è molto apprezzata dai miei clienti, che me lo rimandano ogni volta.

E mi sento libera di esplorare molteplici aspetti della creatività integrandoli nella pratica, come l’arte intuitiva, l’immaginazione, la scrittura.

Libertà, una motivazione forte che sento fin da bambina, libertà di essere sé stessi.

4. Quali (per)corsi hai seguito, per diventare la professionista che sei?

Ho prima frequentato il corso triennale di counselling a indirizzo intersoggettivo co-costruttivista presso l’Istituto di Psicologia Psicoanalitica di Brescia, con annesso tirocinio, presso il Centro Migranti della città e l’Associazione Casa delle Donne, dove sono rimasta per cinque anni, realizzando parecchi progetti e collaborazioni con le istituzioni del territorio.

Qui ho iniziato a fare formazione, alle volontarie, a medici di base, operatori sociali.

Dopo questi tre anni intensi, ho continuato presso la scuola per due anni con la supervisione di gruppo.

Poi ho deciso di lavorare come libera professionista con uno studio privato a casa.

Nel frattempo, ho frequentato corsi, seminari, aggiornamenti vari, fra i quali la formazione in counselling online, poi come supervisore online per diventare tutor online nella scuola di formazione dove mi ero specializzata.

Ho seguito, per alcuni anni, una collega che mi ha formato all’arte intuitiva, e lo scorso anno sono diventata terapeuta VIC di primo livello dopo il corso di formazione canonico ad anno scolastico.

In effetti, sono appassionata allo studio, all’approfondimento. E la continua supervisione da parte del mio supervisore.

Mi sono formata per la scrittura sul web, molto diversa dalla scrittura accademica a cui sono stata abituata nella formazione.

Sono curiosa: osservo, leggo, mi informo, perché il counseling è stare col cuore nel mondo, esserne parte attiva.

Una parte per me essenziale della mia formazione di questi vent’anni è stato il lavoro su me stessa: la relazione d’aiuto scorre su un filo molto delicato di rispetto equilibrato, perciò devo essere molto consapevole delle mie problematiche per essere efficace e rispettosa.

Quindi, finita la scuola di counselling, ho deciso di riprendere la mia psicoterapia personale, che avevo già intrapreso fra i 24 e i 25 anni, per circa due anni e mezzo, per approfondire e curiosare dentro me.

Cosa che, come ho detto, mi appassiona (e mi rende anche a volte insopportabile ai miei cari).

Il padre delle mie figlie dice che gliel’ho mescolato coi biscotti nel biberon!

5. Qual è stato il caso più “difficile” della tua carriera da counselor?

Uhm, sai che non lo so, nel senso che non ho avuto casi difficili.

Più che altro, problematiche che hanno sfidato i miei pregiudizi e stereotipi, questo sì.

Ricordo che, con una persona mi sono sentita messa in difficoltà a un certo punto del percorso, riguardo a un aspetto etico: per questa persona era più inaccettabile il tradimento che un amico faceva verso la futura moglie, rispetto al fatto che alcuni amici fossero dei soldati a pagamento, dei legionari.

Ho dovuto superare la mia fortissima parte pacifista, perché per me non c’era paragone. Mi ha proprio sfidata, ma con la mia supervisore sono riuscita ad affrontarla senza farlo ricadere sul cliente. Dura, molto dura.

Un altro esempio: una persona con cui ho lavorato per quasi tutto il percorso, soddisfatta e con risultati concreti nella sua vita, ma verso la quale nutrivo delle riserve.

Ho atteso, sono stata presente supportandola; improvvisamente, però, da messaggi entusiastici sul nostro lavoro, il giorno dopo ha iniziato a insultarmi e offendermi, denigrando tutto ciò che il giorno prima esaltava e aveva effettivamente raggiunto, come voleva.

Sono rimasta spiazzata, mi sono interrogata, mi sono confrontata anche con altri colleghi, e devo dire che mi ha messo in crisi come professionista.

6. C’è differenza nel percorso con un uomo e con una donna?

Ho lavorato con molte donne e con pochi uomini.

La differenza che ho trovato è nell’approccio alla vita, nella visione delle cose.

Ci tenevo al lavoro con uomini proprio per capire meglio il loro punto di vista, il loro modo di vivere gli accadimenti. Sono più diretti, senza giri di parole.

Ho fatto un breve lavoro con una coppia e questo è stato molto interessante, perché ho vissuto "live" la diversità nell'approccio.

Anche nell’osservazione di sé, gli uomini sono essenziali; ho avuto un cliente che scriveva molto sul suo taccuino, ma sempre senza fronzoli.

Eppure, ho trovato più fragilità nell’esprimere la propria mascolinità e, prima ancora, nel darsi il permesso di cercare un proprio modo di viverla, mentre per le donne fa parte del corredo mentale matrilineare, il cercare la propria caratteristica individuale.

7. Qual è la tua specializzazione nel counseling?

Direi la relazione, sia come formazione sia come passione, e ancora di più la relazione online.

Ho già detto di essere specializzata nel counseling e nella supervisione online, ma in questi ultimi due anni il web, come sai meglio di me, è cambiato in modo imprevedibile, è esploso e mi affascina.

Ho seguito un corso specifico sul blog e sulla scrittura, che ha spaziato nei vari aspetti tecnici, senza i quali non avrei potuto avere gli strumenti per comprendere e vivere in modo contestuale il mio lavoro online.

Sulle tecniche immaginative, e sull’aspetto della differenza culturale che lavorando online è quotidiano dato che lavoro anche in lingua inglese.

La creatività come strumento di comprensione di sé stessi appartiene alla mia pratica fin dall’inizio, e continuo nell’aggiornamento e nello studio.

8. Parliamo del percorso “#10settimane1vita”: di cosa si tratta?

Si tratta di un percorso della durata di 10 settimane, che si rivolge alle persone che si sentono confuse, o avvertono disagi fisici, come mancanza di sonno, difficoltà di concentrazione, nervosismo, senza che sia accaduto qualcosa di particolare e nonostante possano avere una vita soddisfacente.

O che nella loro relazione percepiscono che qualcosa non va ma non sanno capire cosa stia accadendo.

Ecco: ho pensato a queste persone perché è la mia stessa esperienza.

All’apparenza, la mia vita poteva dirsi perfetta, ma dentro sentivo che qualcosa non funzionava. Così ho approfondito la mia ricerca dentro me, facendo dei passaggi con scelte coraggiose e dolorose, ma che mi hanno portata dove sono adesso.

Quindi ho predisposto questo percorso in modo che arrivino in modo lineare dove vogliono arrivare, attraverso un cammino strutturato e mirato con fasi progettate ad hoc.

E, allo stesso tempo, con la libertà di trovare la loro autenticità, perché è quella che stanno cercando queste persone.

Ci dimentichiamo spesso che nella vita siamo in continuo cambiamento e nessuno ci prepara ad affrontare e vivere al meglio le trasformazioni naturali dovute agli eventi e al tempo che passa.

Li sfuggiamo finché possiamo, anziché fermarci e scegliere come viverli.

Queste persone cercano una relazione autentica con se stesse, e il percorso dà proprio questo: gli strumenti per chiarire, accogliere e amare la persona che si è, con la conseguente trasformazione secondo il proprio modo e il proprio tempo della vita indirizzandola secondo il proprio sentire profondo.

9. Cosa consiglieresti a chi, come cliente, approccia per la prima volta al counseling?

Innanzitutto, di non continuare a posticipare; chiedere aiuto è un atto di coraggio e di amore verso sé stessi.

Scegliere se si preferisce lavorare di persona in uno studio o se si vuole lavorare online, e in che modo.

Se si è sui social, seguire alcuni professionisti, osservare come si relazionano, cosa pubblicano e verificare la loro formazione professionale.

Leggere le testimonianze e le recensioni (se ci sono).

Di solito si offre una call gratuita per conoscersi; farla quando ci si sente pronti e osservare cosa si sente.

Se si preferisce di persona chiedere a conoscenti, amici, trovare il professionista attraverso il passaparola.

Tuttavia, essendo ogni esperienza unica, fare una prima conoscenza con la persona e ascoltare come ci si sente.

Occorre sentirsi capiti, rispettati nel proprio modo di essere. Se ci si trova bene si parte, ma se dovesse esserci qualcosa durante il percorso, parlarne col professionista, non tenere dentro le proprie perplessità.

Perché si è gli esperti di se stessi, è necessario sentirsi al sicuro con quella persona.

10. E cosa consiglieresti, invece, a chi vorrebbe lavorare sul campo?

A che vuole intraprendere la professione, suggerisco di fare ricerca sui corsi presenti nel territorio e leggere con attenzione cosa offrono e, soprattutto, se sono scuole di formazione riconosciute da un’associazione di categoria con una storia alle spalle.

Leggere il loro codice etico se rispondente ai propri valori e alla propria visione della professione.

Per una formazione occorrono corsi di almeno tre anni con basi solide, tirocinio incluso, e con un dato monte ore annuale.

Direi anche se non ancora fatto di intraprendere un percorso personale di counselling in modo da sperimentare come cliente cosa sia.

Entrare in gruppi sia di studenti in formazione che di colleghi già formati per entrare nell’ottica della professionalità.

Studiare e proporsi come volontari per imparare nel quotidiano cosa significhi avere a che fare con le persone, se già non lo si fa.

Seguire dei colleghi con esperienza, leggere i loro contenuti, partecipare a seminari, aggiornamenti, e leggere romanzi, guardare film, chiacchierare con le persone mentre sono al supermercato o in coda alla posta.

Per essere presenza nel mondo insieme agli altri e sentire cosa vivono.

Aggiungo di diffidare di corsi solo online e dove non ci siano role-play, formazione in gruppo e brevi. Non ti puoi formare in counseling da zero frequentando un corso di tre mesi.

Oppure, se si vogliono acquisire delle competenze di counseling da utilizzare nel proprio lavoro, ci sono dei corsi brevi specifici per questo, ma che non fanno della persona che li frequenta un counsellor.

Come non si diventa counsellor con un semplice esame all’università, occorre una preparazione specifica e accurata, che dia un chiaro riferimento etico e pratico sulla competenza specifica del ruolo.


Un doveroso p.s.: Chiara, grazie per avermi posto delle domande che mi hanno spinta a riguardare la mia storia professionale da una nuova prospettiva.

Sono onorata per questa intervista; mi hai dato l’occasione di fornire un quadro concreto di cosa sia il counseling.

E mi hai fatto sudare sette camicie per risponderti!

Ha diffuso informazioni di parte. Infatti anche lo psicologo svolge counseling...anzi: in Italia il counseling rientra gli atti tipici e riservati alla professione (declaratoria del Consiglio Nazionale Ordine degli Psicologi). Perché da come scrive, sembra che lo psicologo si occupa solo di patologia e disagio...e questo è falso. Incredibile come lei abbia citato nell'articolo proprio lo psicologo Rogers: uno dei principali autori nel counseling. Inoltre, con rammarico, proprio psicologi in Italia hanno formato counselor. Quindi: come mai secondo l'articolo lo psicologo non svolge counseling, ma al tempo stesso il counselor ne utilizza gli strumenti?

Ha diffuso informazioni di parte. Infatti anche lo psicologo svolge counseling...anzi: in Italia il counseling rientra gli atti tipici e riservati alla professione (declaratoria del Consiglio Nazionale Ordine degli Psicologi). Perché da come scrive, sembra che lo psicologo si occupa solo di patologia e disagio...e questo è falso. Incredibile come lei abbia citato nell'articolo proprio lo psicologo Rogers: uno dei principali autori nel counseling. Inoltre, con rammarico, proprio psicologi in Italia hanno formato counselor. Quindi: come mai secondo l'articolo lo psicologo non svolge counseling, ma al tempo stesso il counselor ne utilizza gli strumenti?

Katia Bovani

"Le tue parole, il tuo valore"- Editor, Ghostwriter, Formatrice Professionista e Writing Trainer

1 anno

"Il counseling è stare col cuore nel mondo, esserne parte attiva." Mi ha colpita questa frase. Anche se non avrebbe dovuto perché la Dalila che conosco tramite LinkedIn è proprio così: sta nel mondo, ne è parte attiva. E la condivido pienamente. Si tratta di una frase che racconta moltissimo della sua visione di professionista che, con la sua azione, sa di essere parte ed elemento della complessità in cui è inserito ed esercita tenendo presente quella complessità. Grazie, Chiara: con queste interviste ci fai conoscere l'uomo o la donna che vive dentro un profilo social.

Alessia Vannini

📚🖋 Un testo nel cassetto prende la muffa. Prepariamolo per la pubblicazione con il Metodo dal manoscritto al libro: valutazione editoriale, editing, correzione di bozze

1 anno

Bellissima intervista. L'ho letta con piacere e mi ha chiarito molto le idee che, sono sincera, prima avevo molto confuse su questa figura. Grazie.

Danilo Spanu

Founder e brand designer Banana Splint ➤ Progetto il tuo brand dalla D alla S (sì, faccio loghi 😉) ➤ Mi occupo di brand e personal brand su LinkedIn ➤ ho creato Furbes ➤ <2K contatti, ma conto di scendere

1 anno

L'episodio spiacevole che hai raccontato, Dalila, mi ha fatto tornare in mente un fatto analogo che mi è capitato anni fa e che mi ha lasciato altrettanto spiazzato, anche se non sono un counselor. Aiutare le persone, spesso, ci fa sentire bene perché sappiamo che stiamo dando energia positiva. A volte però, incontriamo persone che non apprezzano genuinamente quel gesto spontaneo e fanno del parassitismo. Ecco, con quelle, non voglio mai avere a che fare e quando le incontro e capisco l'antifona, le allontano immediatamente. Bellissima intervista, complimenti a te e alla mia socia Chiara. Forse, la più bella letta fino ad ora :)

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