25 novembre: è ora di cambiare le cose

25 novembre: è ora di cambiare le cose

Oggi, 25 novembre, è la giornata internazionale contro la violenza sulle donne. E più che mai, quest'anno, questa data assume una valenza sempre più importante ed eloquente.

Non solo per la concomitanza con il purtroppo noto e triste omicidio di Giulia Cecchettin, che per settimane ha tenuto in sospeso prima e fatto esplodere la rabbia e lo sconcerto popolare dopo. Non è solo per questo.

Ma anche perché nell'anno solare in corso i femminicidi sono stati ben 106. Un numero che fa rabbrividire, un numero che esula da ogni spiegazione logica e valutazioni fredde e distaccate.

Non prendiamoci in giro. Un femminicidio, così come un omicidio preso per quel che è, è uno strappo nella società che non si può rimarginare. E questi strappi, di anno in anno, sono sempre di più e sfaldano irrimediabilmente le maglie della società, mettendo in discussione la salute del nostro stato di diritto.

Perché in questo stato, il carnefice è quasi sempre (o quasi) salvato davanti all'altare del garantismo, mentre le vittime sono quelle che soccombono.

Non si contano i casi di donne che hanno denunciato comportamenti violenti ed abusivi dei loro partner e sono stati completamente sottovalutati o addirittura inascoltati dalle autorità. Non si contano altresì le volte in cui chi minacciava le proprie ex partner, scontando una fugace ed irrisoria pena, ha attuato una vendetta letale oppure sfregiando il loro volto con l'acido; alcuni hanno addirittura rotto il braccialetto elettronico.

Elena Cecchettin, sorella di Giulia citata pocanzi, ha detto tutto quello che bisognava dire: “I 'mostri' non sono malati, sono figli sani del patriarcato,” affermazione che ha suscitato un enorme levata di scudi ed alcuni commenti poco edificanti da parte di personaggi folkloristici e al limite dell'assurdità.

Alla sola ipotesi di fare un esame di coscienza, non tanto perché colpevoli personalmente di questo o quel fatto, ma perché sapendo che il mondo maschile è fatto in una determinata maniera, nessuno o comunque un numero molto esiguo e residuale di persone ci hanno messo la faccia e la voce contro questi comportamenti.

La cultura del patriarcato non è niente di così peregrino, non è un qualcosa da manifestarsi in maniera per forza violenta o tonitruante; è un automatismo socioculturale introiettato e perpetuato nei secoli con atteggiamenti molto spesso anche sottili ed impercettibili, spesso anche di riflesso e non voluti. Questo è il problema. La si vede nelle piccole cose (nella possessività eccessiva, nell'oggettificazione iper sessualizzata della figura femminile, ecc.) e dalle piccole cose si arriva a quelle più grandi: la negazione della propria libertà personale, della possibilità della propria identità individuale.

L'amore è, se possibile, la forma più profonda e grande di libertà. Un amore che limita la libertà degli uni e degli altri non è un rapporto d'amore sano, è una prigione.

Anche il ruolo delle famiglie e dei genitori ha la sua certa importanza, il numero di giovani ragazzi che si macchiano di questi reati è ormai considerevole, e porta necessariamente a pensare quanto sia fondamentale insegnare che nella vita possono esistere i rifiuti, una donna possa esprimere un suo lecito diniego in una avance o semplicemente il desiderio di chiudere un rapporto.

Manca proprio una scala di valori, manca una cultura dei sentimenti.

Gli uomini si sentono colpiti nell'onore e nell'orgoglio quando qualche altro uomo si scusa per ciò che accade, perché giustamente, come uomo dotato di coscienza e di senso comune, si vergogna per ciò che accade. Accusandolo di opportunismo, financo di utilizzarlo come mezzo per “rimorchiare” sul web o fuori dal web. Senza la capacità di critica e di autocritica, una società non ha futuro.

Quella maschile in particolare.

Gira sovente nel web uno slogan “not all men” (non tutti gli uomini) urlato a gran voce da tante persone che sentono un bisogno spasmodico di chiamarsene fuori.

Eppure i dati danno torto a questa analisi. 106 donne sono state uccise nell'arco di un anno solare; altrettante sono vittime di violenza domestica e psicologica, la più recente proprio ieri in quel di Portogruaro (VE) mentre guardavano il notiziario. Una coppia di coniugi ha avuto una discussione sul caso Cecchettin, e al difendere la ragazza, la moglie ha fatto andare su tutte le furie il marito, dopo averla colpita con un pugno sull'addome. Non pago, ha cercato persino di accoltellarla.

E c'è ancora qualcuno che nega che non esista una cultura del patriarcato!

Non possiamo certo dire che tutti gli uomini sono assassini, ma che ci sia un problema sociale molto grave da risolvere è pleonastico e lapalissiano.

Questa riflessione non vuole essere un processo senza appello agli uomini. Non c'è bisogno di processare nessuno, se non i criminali che si macchiano di questi reati orribili, con la categorica garanzia che scontino ogni giorno di pena, con l'ergastolo. Fine pena mai. Perché chi commette certi reati non è redimibile, non è reintroducibile nella società, non ha possibilità e ne deve averne di essere “redento” sia ristabilita una buona volta la garanzia della certezza della pena.

In definitiva, non sia questo giorno solo di mere riflessioni, di indignazioni che si andranno a smarrire nelle sabbie del tempo e dell'oblio. Non sia questo giorno l'appuntamento annuo su cui piangere le prossime vittime.

È ora di fare, muoversi, a partire dallo stato introducendo educazione affettiva, sessuale e civica sin dalle scuole dell'infanzia. La mia personale vicinanza va alle donne e a tutta la società civile che oggi è scesa in piazza al Circo Massimo con il collettivo femminista “Non una di meno”. Sia questo non solo un giorno di ricordo, ma un giorno di lotta e rivolta, ma non nel senso arcaico del termine. Lottare e rivoltarsi con determinazione contro uno stato di cose ingiusto ed inaccettabile. Mai più. E dobbiamo fare di tutto affinché non siano solo parole.

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