Agile Company - Parte 1
Identikit dell’Agile Company.
Il mondo sta cambiando più velocemente che mai. Le organizzazioni lottano per rimanere competitive, i clienti sono più smaliziati, hanno aspettative più alte, le persone che abitano le organizzazioni pretendono chiarezza, vogliono assumersi delle responsabilità, partecipare come attori e non più come soggetti passivi alla creazione di valore e perseguono un senso di scopo.
Per tutto questo, e non solo, il termine “agile” è a tutti gli effetti entrato a far parte del vocabolario di aziende e professionisti e i leader moderni hanno compreso che l’agilità è un obiettivo da perseguire per far fronte alle nuove sfide.
Ma non sempre è chiaro cosa significa davvero “essere agili”, come affrontare la transizione, cosa fare, quali passi seguire, a quali dimensioni fare attenzione e cosa aspettarsi.
Rispondere alla domanda: “Ma come è fatta un’organizzazione agile?” può essere un esercizio piuttosto impegnativo.
Non pretendo certo di avere la risposta ma posso provare a fare un po' di chiarezza e stimolare una riflessione su alcuni aspetti che ritengo centrali quando si parla di agilità:
Hierarchies VS Networks.
Trasformarsi in un’organizzazione agile passa necessariamente da un ripensamento del nostro modello organizzativo che, tipicamente, si traduce nella transizione da una struttura puramente gerarchica ad una struttura a rete (con tutte le sfumature di grigio intermedie che troviamo tra un estremo e l’altro e di cui parleremo tra un po').
Hierarchies.
La STRUTTURA GERARCHICA, nata e diffusasi nello scorso secolo, è il modello organizzativo più comune: è altamente probabile che anche tu stia lavorando in una azienda organizzata in questo modo.
In una struttura di questo tipo l’organigramma è la forma utilizzata per rappresentare visivamente i livelli di autorità, le dipendenze, chi risponde a chi, chi è responsabile di cosa e via discorrendo.
Attorno alla struttura e ai diversi ruoli sono organizzati tutti i processi aziendali: pianificazione, budgeting, personale, marketing, vendite, ecc.
Regole, policy e processi creano prevedibilità, facilitano il coordinamento e riducono il carico cognitivo, poiché le persone trovano risposte pronte a situazioni note e di routine.
In fondo l’obiettivo è di eliminare le anomalie, standardizzare i processi, risolvere problemi a breve termine e perseguire l'efficienza.
In un certo senso, parafrasando John Kotter, lavorare in un’azienda strutturata con un modello gerarchico in questo modo è un po' come viaggiare in un’auto con il “pilota automatico”: siamo tutti idealmente posizionati come ingranaggi in una macchina che lavora in modo costante, automatico e prevedibile.
Tutto molto comodo ma… peccato che questo tipo di organizzazione rende di fatto impossibile perseguire l’innovazione e il cambiamento. Qualsiasi nuova opportunità verrà interpretata come “rumore” o “disturbo” e, nel migliore dei casi, verrà ignorata perché non in linea con l’obiettivo principale: mantenere l’equilibrio del sistema.
Siamo talmente abituati a questo tipo di organizzazione che, semplicemente, pensiamo sia l’unica possibile.
Ma è davvero così?
Networks.
Se il modello gerarchico poteva garantire efficienza, efficacia e redditività un secolo fa, nel mondo VUCA (acronimo di Volatility, Uncertainty, Complexity e Ambiguity) digitalizzato e interconnesso che abitiamo oggi è semplicemente illusorio e anacronistico sperare di prosperare senza essere in grado di adattarsi e trasformarsi rapidamente.
È necessario un design più appropriato che decentralizzi radicalmente l'autorità in modo formale e sistematico in tutta l'organizzazione.
Le RETI rientrano in questa categoria. Configurazioni in cui l’autorità è decentralizzata, persone e gruppi agiscono come nodi indipendenti, si collegano trascendendo i confini istituzionali delle strutture funzionali a cui appartengono, lavorano insieme per un obiettivo comune e collaborano volontariamente spinte dalla condivisione di valori e principi e dal senso di appartenenza.
Nella rete risiede l'intelligenza collettiva. Un network di persone, con le loro inter-connessioni, è di solito più creativo e più innovativo rispetto ad una struttura fondata su un'autorità centrale.
Senza contare che le strutture gerarchiche degenerano facilmente nella deriva dei silos: feudi impenetrabili nei quali non si condividono obiettivi, manca totalmente la prospettiva sistemica e spesso non si parla nemmeno la stessa lingua.
In questi contesti le responsabilità e gli obiettivi sono compartimentalizzati e il flusso di lavoro è rallentato e reso inefficiente da numerosi hand off formali tra gruppi diversi, processi lenti e burocratici, cicli infiniti di approvazione e comunicazione basata per lo più sullo scambio di documenti ed email.
In una struttura a rete:
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Specialization VS Generalization.
Il Knowledge Work richiede certamente specializzazione (approfondimento, verticalizzazione), ma l'innovazione richiede generalizzazione (ampliamento, trasversalità).
Le economie di specializzazione rendono la divisione funzionale la più comune. Ma l'innovazione ci impone di fare cose che non abbiamo mai fatto prima e di adattarci rapidamente e quindi è incompatibile con l’iperspecializzazione verticale tipica dell'organizzazione puramente funzionale.
Efficiency VS Effectivity.
Possiamo accontentarci della sola efficienza se operiamo in contesti prevedibili e mercati stabili ma dobbiamo puntare all’efficacia quando ci muoviamo in ecosistemi complessi, iper competitivi e instabili.
Centralization VS Decentralization.
Exploration VS Exploitation.
Eccoci arrivati al nodo della questione.
Le aziende (tutte le aziende) vivono costantemente in bilico tra due scelte apparentemente inconciliabili:
Forse la soluzione sta nel mezzo ed è quella di aiutare le nostre organizzazioni a raggiungere un “equilibrio ambidestro” in grado di far convivere le due anime di Exploration e Exploitation.
Duncan (1976) ha per primo utilizzato il termine “ambidestrismo” per riferirsi ad organizzazioni in grado di “progettare strutture duali che possano facilitare le fasi di avvio e attuazione del processo di innovazione”.
Venti anni dopo, Tushman e O’Reilly aggiungono che un’organizzazione, per potersi considerare ambidestra, debba contemporaneamente cogliere le opportunità offerte dall’Exploration e dall’Exploitation.
Puntare all’equilibrio ambidestro è l’antidoto al cosiddetto “Paradosso di Icaro” per cui un’azienda, dopo aver raggiunto il successo, tende con il tempo a stratificare certe routine e ingessare i propri processi fino a diventare vittima della propria inerzia strutturale e culturale e incapace di innovare.
Conclusioni (per ora…).
Fortunatamente abbiamo a disposizione diversi strumenti con cui riempire la nostra “cassetta degli attrezzi” per bilanciare le strutture organizzative garantendone il controllo e l’efficienza senza sacrificarne l’agilità:
Se sei curios* e vuoi capire come sfruttare al meglio questi strumenti ti conviene rimanere sintonizzato e non perderti la 2^ Puntata di questo articolo.
Ti aspettiamo! 😊
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5 mesiCondivido pienamente l’esigenza di affrontare efficacemente i cambiamenti e quindi il dover adattare lo schema aziendale che si sta usando al contesto, mi domando come questo si possa applicare all’azienda "Scuola" che sforna continuamente progetti ma che si oppone intrinsecamente al cambiamento, nella didattica, nell’uso della tecnologia e nei processi.