Alla ricerca dell’acca perduta

Alla ricerca dell’acca perduta

Molti si sono già arresi da tempo nell'impari sfida sull'uso corretto del congiuntivo, e un altro numeroso stuolo di amanti dell’italico idioma è in procinto di deporre le armi del grammaticalmente corretto in fatto di inversioni fra il verso e la preposizione. Del resto, dov'è il problema? È fin dalle scuole elementari che ci ripetono a ogni piè sospinto che l’acca è muta!

Per altro verso, è anche nota la disinvoltura di quel tale, evidentemente molto facoltoso, che ai tempi della lira si vantava di scrivere sugli assegni “mi(g)lione” e nessuno si rifiutava di incassarglieli.

Nel tempo è così cresciuta a dismisura una notevole trascuratezza circa l’uso della sintassi, tanto che, grammar nazi a parte, si fa sempre meno caso all'appropriatezza del verbo, dell’avverbio, della punteggiatura, per non parlare dell’apostrofo che viene appiccicato per lo più a caso tutte le volte che si “scontra” con gli articoli indeterminativi.

Non potendo più addossare la responsabilità delle scritture maldestre al noto T9, ecco allora dilagare i messaggi vocali che, pur non riuscendo a mascherare i vari “se avrei”, rappresentano comunque una vera e propria manna dal cielo per una buona fetta di popolazione refrattaria alle nozioni fondamentali della morfologia lessicale.

Chi parla male, pensa male e vive male. Bisogna trovare le parole giuste: le parole sono importanti!”, è l’ammonimento di Nanni Moretti in “Palombella rossa”. Difficile dargli torto.

Infatti, il nostro pensiero ha a disposizione solo una strada per rivelarsi agli altri: la sua trasformazione in un linguaggio. Va da sé che gli errori di trasduzione dovuti al disconoscimento delle regole grammaticali finiscono per inficiare il livello qualitativo di qualsiasi idea.

A questo punto, mi sembra già di vedere una levata di scudi a sostegno del fatto che “è importante la sostanza”, a prescindere dalla forma utilizzata per esprimerla. Certo, ma solo se ci troviamo in contesti del tutto particolari, dove il risultato conta più di qualsiasi altra cosa. Per essere chiari, se inviamo un messaggio di aiuto per segnalare un imminente pericolo, sicuramente i nostri interlocutori metteranno i vari “un(‘)altro”, “(a) vinto”, “non c(i)elo dicono” in secondo piano.

Ma, per fortuna, non viviamo in uno stato di perenne emergenza. Al contrario, siamo immersi in una fitta rete di relazioni (“I mercati sono conversazioni”, è la prima delle 95 tesi del Cluetrain Manifesto) in cui le abilità linguistiche determinano in larga parte il successo delle strutture concettuali che vengono condivise.

Per dire, se il verbo rappresenta la parte energetica di una frase, è facile comprendere come l’utilizzo in questa forma con la “a” o con la “o”, senza l’apposizione della “taciturna” acca, trasformi completamente il pensiero che si voleva rendere intellegibile.

Un operaio conosce 100 parole, il padrone 1000. Per questo lui è il padrone”. Sono passati quasi settant’anni da quando don Lorenzo Milani ha pronunciato questa frase. Nonostante il mondo sia profondamente cambiato da allora, quelle 900 parole continuano a fare la differenza.

Tuttavia, sarebbe troppo sbrigativo addossare tutta la responsabilità alla scuola, specie a quella primaria. Ogni agenzia educativa, e dentro ci metto a pieno titolo anche la formazione aziendale post-diploma, ha un compito irrinunciabile: insegnare che studiare serve. Perché semplicemente fa vivere meglio tutti, noi e gli altri.

Con le parole definiamo la nostra identità (chi siamo e come agiamo), descriviamo il mondo (quello che ci circonda e quello che immaginiamo), ci poniamo gli interrogativi che ci fanno crescere (le domande che stanno alla base dell’apprendimento).

(Im)pari opportunità?

Ai tempi dell’insegnante della scuola di Barbiana, il marchio di fabbrica del ciclista professionista era il celeberrimo “Mamma, sono arrivato uno!”, senza che nessuno avesse un granché da ridire. Anzi, la mancanza di basi scolastiche veniva interpretata come un segno inequivocabile di assoluta dedizione a quella specifica attività sportiva.

Oggi, la società è diventata molto più liquida e, soprattutto, tutte le dimensioni professionali si trovano inevitabilmente a fare i conti col cosiddetto valore aggiunto. Per essere chiari, non esistono più mestieri in cui l’istruzione è fondamentale e altri in cui si può benissimo farne a meno.

Sì, è tutta colpa della grammatica

Albert Einstein parlava dell'impossibilità di “risolvere un problema con la stessa mentalità che l’ha generato”, come a sostenere l’esistenza di un campo di soluzioni limitato dalle stesse parole che si hanno a disposizione.

Non avere grosse preoccupazioni circa l’utilizzo o meno dell’ormai famigerata acca, ci riporta esattamente a questo punto. Se molto prima del cosa, non ci poniamo il problema di come comunichiamo, continueremo ad avere notevoli difficoltà a sintonizzarci con il mondo, a stabilire una relazione intenzionale efficace, ad ascoltare per capire e non solo per rispondere.

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