APPARIRE,AVERE ,ESSERE
Ho sempre davanti ai miei occhi i volti degli operai della mia infanzia e dei tempi quando facevo attività politica; comunicavano serietà,fatica ,dignità,parsimonia; avevano corpi magri e asciutti,abbigliamento dignitoso e sempre funzionale ai luoghi frequentati. Era un piacere stare con loro.Alla Domenica qualche "mastro" si permetteva la civetteria del cappello e il cappotto di panno.Per godersi lo spettacolo bastava passare davanti la società operaia.Frequentavano i bar e trattorie come luoghi di scambi professionali e giusto per qualche caffè e per i dolci della domenica.Non ci bivaccavano;fatto che riguardava i poveri disgraziati.
Qualcosa è cambiato.Nei volti dei giovani e degli adulti ,di ogni genere ed estrazione sociale e di qualsiasi professione ,si leggono,oggi, i tratti di una vita disordinata,di un benessere malvissuto,di un edonismo intemperante e grossolano.Non c'è valore che regoli,che guidi,che filtri il flusso ininterrotto e provocato di desideri,di capricci,di piaceri,di consumi. Le esperienze si fanno comunque e ad ogni costo;gli oggetti si devono possedere a prescindere.Non c'è limite soggettivo ed economico che tenga.Non esiste spesso un problema di liceità.Tutto ha lo stesso valore.Tutto si puo' fare.La privazione,le rinunce,i sacrifici sono segni di impotenza,della condizione di "minorità" rispetto al resto del mondo e vanno pertanto evitati.
Le differenze sociali si giocano sulle possibilità d'acquisto,sulla fattibilità di un'esperienza.Si vuole la stessa cosa ,si ha lo stesso atteggiamento ,lo stesso orizzonte morale di riferimento.C'è come sempre chi puo' e c'è chi non puo' e quest'ultimo non è per nulla più affidabile, nè per qualità morali,nè per gusto,nè per rispetto degli altri.Semplicemente non puo'.Non è insomma un'alternativa. La comunicazione tra le persone si sviluppa sulle "cose",sugli oggetti.Si creano progetti d'acquisto e su questi ci si misura.Si è venuta a creare una socialità delle cose e dei consumi.Il possesso delle cose traduce materialmente il concetto di primato sociale,manifesta l'ampiezza delle possibilità di soddisfazione dei desideri,dei piaceri,dei bisogni,delle necessità.Sei quello che hai e ti puoi permettere.Non conta niente quello che sei.Non è facile dare valore a quello che sei e farlo diventare almeno un preciso ,solido principio di regolazione individuale .
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Ai fini del benessere ,della felicità individuale assume sempre più importanza quello che fai,il ruolo che rivesti ,il compito che svolgi .Non c'è spazio per chi è o si è fatto invisibile per uno dei tanti motivi della nostra esistenza.Avere e fare sono diventati i tratti costitutivi della corrente antropologia,i criteri di giudizio del valore e del significato di una persona. Ci si chiede che senso abbia parlare oggi di autenticità dell'esistenza, se ci siano vie di fuga per andare oltre la dimensione fattuale, consumistica della vita umana.La crosta dell'insensibilità e dell'indifferenza umana si è ispessita e indurita,come si è potuto constatare negli ultimi sventurati anni della pandemia, e l'irruzione dell'umano avviene nelle forme esclusive e temporanee del dolore,della morte e della tragedia.Momenti,perchè le fratture si ricompongono immediatamente.
Ci si dispera,si piange,ma non si cambia,non si rinasce,non si dà un nuovo inizio.Le cose hanno divorato l'umano che è in noi.Il lavoro,i ritmi del lavoro hanno divorato l'umano che è in noi. Speculare a questi dati mi sembra la dissoluzione delle forme di aggregazione "civile",che avevano lo scopo e l'ambizione di dare un contenuto pubblico,sociale alle singole ,individuali esistenze di ognuno di noi.Si fa fatica a fare emergere interessi collettivi e generali e a farli apprezzare come tali.
RAIMONDO GIUNTA