"Appuntamento con" - Nicoletta Boldrini
Ho conosciuto Nicoletta Boldrini grazie a un seminario di aggiornamento professionale, "Social media marketing a 360°", organizzato da Nadia Zabbeo (Digysit) e Roberto Gerosa (SocialDaily), a cui abbiamo partecipato come relatrici. Nicoletta era salita sul palco per prima e aveva parlato del rapporto complesso social media vs azienda italiana.
Tra un tweet e l'altro abbiamo iniziato a seguirci sul web, seguendo gli stessi eventi dedicati alla tecnologia, all'intelligenza artificiale e al web in generale.
Ciao Nicoletta mi piacciono molto le kw che hai usato nel tuo profilo LinkedIn: "Entusiasta – Mente aperta – Flessibile – Lavoro di gruppo – Determinata – Concentrata sugli obiettivi". Se dovessi metterle in ordine di priorità quale sceglieresti?
Direi in assoluto determinata, come prima scelta, ed entusiasta come seconda parola chiave. Rappresentano bene due tratti distintivi del mio carattere (cocciutaggine e ottimismo) che si riflettono direttamente sul mio modo di lavorare
Ti occupi spesso di industria 4.0 e recentemente nel #MSForum2017 ho sentito una frase di Vincenzo Esposito, direttore di Microsoft, che mi ha colpito: 'Essere agili nel capire le tecnologie fa la differenza nel business'. Secondo te quanto conta la velocità?
Nell’ultimo decennio la velocità di esecuzione è diventata uno dei capisaldi dell’innovazione di business, senza di essa non si può più nemmeno parlare di capacità competitiva. Se un’azienda ha un’idea dirompente, ma arriva sul mercato sei mesi dopo un concorrente, che potrebbe anche essere una piccola startup sconosciuta, potrebbe ritrovarsi senza alcuna possibilità di guadagnare fette di mercato. La velocità diventa un tema importantissimo anche sul fronte della capacità reattiva, non solo della spinta innovatrice. Penso, per esempio al tema ‘caldissimo’ della lotta Taxi contro Uber: se le società di Taxi fossero state più reattive nel ‘prendere spunto’ da Uber per offrire alla clientela servizi migliori (prenotazione via app, riconoscimento dell’autista come servizio di sicurezza, pagamento diretto via app, ecc.) non si troverebbero oggi a dover difendere il proprio modello di business; anzi, a parità di servizi (e magari con prezzi leggermente inferiori), avrebbero potuto sfruttare il concetto delle licenze regolari comunicandolo ai cittadini ed alla clientela come un vantaggio rispetto alla concorrenza.
Questo caso, a mio avviso, è emblematico della sofferenza nella quale si trova oggi il nostro paese, in grandissimo ritardo sul piano dell’innovazione delle imprese e della digitalizzazione della Pubblica Amministrazione. Il tema dell’Industria 4.0 potrebbe rappresentare una fertile occasione di accelerazione, a patto che le aziende ci credano e inizino ad investire seriamente in tecnologia (sapendo di poter contare su incentivi, super-ammortamenti e formule creditizie previste nel Piano Nazionale Industria 4.0).
In un recente post su Pulse hai parlato di ‘smart simplicity’ e hai portato come esempi le aziende Netflix e Spotify. Pensi che questo modello sia già applicato o applicabile in Italia?
In quell’articolo ho focalizzato l’attenzione sul ‘paradosso della produttività’ generato dal fatto che la tecnologia, seppur nata concettualmente per liberare l’uomo da determinate incombenze semplificandogli la vita (e il lavoro), in realtà è spesso stata una ‘trappola’ (nelle economie più avanzate, per esempio, l’avanzata tecnologica non ha seguito una crescita della produttività). Per superare questo paradosso, l’approccio smart simplicity invita a sfruttare migliori forme collaborative tra persone (mediante nuove tecnologie) con l’idea che mettere a fattor comune le intelligenze di tutti diventa un fattore differenziante anche a livello competitivo. Ho citato Netflix e Spotify perché hanno fatto della collaborazione e condivisione due importanti capisaldi sia per l’organizzazione interna sia per il modello di erogazione dei propri servizi. Stiamo però parlando di startup, nelle quali sono assenti storie gerarchiche e la crescita, partendo da zero, è decisamente più facile. In questo momento vedo un po’ difficoltosa l’applicazione di questi concetti alle strutture aziendali italiane anche se si intravedono diversi segnali positivi, a partire dalla crescita dello smart working come approccio lavorativo e alla nascita di ‘ecosistemi’ di aziende che fanno rete per condividere idee, risorse e capitali per innovare sul mercato.
Nel tuo blog hai affrontato un tema molto caldo di questo periodo: il timore che l'AI prenda il sopravvento e le macchine scavalchino 'l'uomo anche sull'ultimo granello di potere, quello che consentirà loro di programmare sé stesse e di decidere autonomamente'. Qual è la tua posizione e quali consigli ti senti di dare ai giovani che si affacciano al mondo del lavoro?
Personalmente credo che non manchi molto a quel tipo di scenari, forse una ventina d’anni o poco più. Sono entusiasta e preoccupata a giorni alterni: da un lato penso che le nuove frontiere tecnologiche ci forniranno risposte e soluzioni che inseguiamo da sempre come esseri umani (per esempio nello studio dell’Universo o nel campo della ricerca medica); dall’altro penso che un mondo basato su algoritmi possa avere un’incidenza così massiva sulla vita delle persone da lasciare spazio a condizionamenti e manipolazioni economiche, politiche e sociali tutt’altro che etiche.
Ai giovani posso solo suggerire di ‘non sedersi’, di guardare sempre lontano e di non avere paura puntando eventualmente a migliorare le proprie doti personali (le competenze tecniche cambiano in fretta e si imparano sul campo).
Sempre sul tuo blog ho letto questa frase che mi è piaciuta molto: 'io questo faccio, racconto l'innovazione'. Quale pensi sia il ruolo del giornalismo nella nostra società che sta vivendo un cambiamento epocale?
Penso che il giornalismo abbia lo stesso ruolo di un tempo, quello di informare il lettore. Il problema è che ci si è dimenticati dell’obiettivo iniziale ma, per fortuna, tutte le ‘politiche servili’ (che in alcuni casi sono degenerate addirittura in reati) stanno venendo a galla e riporteranno un po’ di dignità pubblica a chi ha sempre fatto correttamente questo mestiere.
Viviamo nell’epoca dell’over-informazione, bombardati da fonti e modalità di produzione delle notizie completamente nuovi contro i quali non c’è nulla da fare. Il giornalismo ha il dovere di distinguersi, tornando ad essere ciò per cui è nato: una fonte autorevole di comunicazione e informazione.
Secondo te, come potrebbero combattere le fake news i social media come Facebook e Twitter? La piattaforma 'First Draft' a cui si sono uniti con tanti editori tra cui CNN, The NYT, Franceinfo, etc potrà essere un valido aiuto?
Il tema delle fake news è ampissimo, in campo giocano forze molto potenti come il nuovo modo di fare politica, le modalità di fruizione dei contenuti che privilegiano video, immagini e contenuti brevi, oltre al fatto che in mezzo a miliardi di contenuti quotidiani la ricerca di visibilità passa inevitabilmente dal ‘sensazionalismo’ per poter catturare il pubblico. Non sono certa che spetti ad aziende come Facebook o Twitter il compito di combattere il fenomeno, penso piuttosto che soggetti come questi debbano farsi promotori di una corretta ‘cultura dell’informazione’. La piattaforma First Draft potrebbe rappresentare una svolta, in questo momento aiuta gli utenti a capire come riconoscere una notizia falsa e come diventare lettori più attenti, in futuro potrebbe diventare la piattaforma dove far ‘transitare’ le notizie giornalistiche. Facebook ha avviato una collaborazione con i siti di fact checking Politifact e Snopes per ‘bollare’ le notizie false o dubbie che circolano sul social network; penso che la strada intrapresa sia corretta, ma servirà una lunga fase di ‘tuning’ (il primo ‘bollino’ di notizia dubbia è stato messo su un sito di satira, che gli utenti conoscono e riconoscono chiaramente come tale).
Che cosa è cambiato nella tua professione di giornalista dall'inizio della tua carriera?
Potrei rispondere semplicemente con un ‘tutto’. Ho iniziato nel 2000 e se qualcuno mi avesse detto che sarei diventata una blogger avrei persino pensato ad un'offesa. In questi lunghi anni è cambiato il modo di cercare le fonti (Twitter per esempio è un bacino di fonti giornalistiche incredibile!), il modo di scrivere e di rivolgersi ai propri lettori (che oggi cercano un contatto empatico), si sono moltiplicate le occasioni di ‘visibilità’ e condivisione/interazione con il pubblico. Le trovo delle ottime opportunità per dimostrare in modo trasparente cosa voglia dire ‘essere’ un giornalista.
Simo Pozzi
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Futures & Foresight - pratica, facilitazione e formazione di Futures Studies, Strategic Foresight, Futures Literacy | Giornalista e divulgatrice (focus su impatti delle tecnologie emergenti) | Parola chiave: possAbilità
7 anniGrazie mille Simonetta!