Assicurazione e clausole claims made: la parola di nuovo alle Sezioni Unite Cassazione Civile, sez. III, ordinanza 19/01/2018 n° 1465

Assicurazione e clausole claims made: la parola di nuovo alle Sezioni Unite

Cassazione Civile, sez. III, ordinanza 19/01/2018 n° 1465

È stata nuovamente rimessa alla Sezioni Unite una questione afferente alle ormai note clausole “a richiesta fatta” presenti nella maggior parte delle polizze assicurative. 

In particolare, la rimessione riguarda due aspetti estremamente significativi per il contratto di assicurazione complessivamente considerato: 1) l’ammissibilità di una definizione pattizia di sinistro e 2) la meritevolezza della clausola che escluda la risarcibilità delle richieste postume.

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Prima di analizzare l’articolato quadro giuridico, esaminiamo la fattispecie concreta da cui ha avuto scaturigine l'ordinanza in commento.

La fattispecie

L'attrice è proprietaria di beni contenuti nel magazzino della convenuta. Il braccio di una gru del cantiere edile vicino all'edificio si abbatte su quest’ultimo, danneggiando le merci ivi presenti. La società proprietaria dei beni, quindi, conviene in giudizio la società titolare del magazzino e quella che gestisce il cantiere edile. A sua volta, l’impresa edile cita il fabbricante del braccio meccanico, il quale chiama in manleva l'assicurazione.

La compagnia assicuratrice rifiuta di offrire la copertura per le seguenti ragioni.

Tra il costruttore della gru – responsabile del danno – e l'assicurazione sono state concluse due distinte polizze, rispettivamente nel 2002 e nel 2003. Ambedue recano una clausola claims made in virtù della quale l’assicuratore deve tenere indenne l’assicurato per i danni il cui risarcimento sia richiesto durante la vigenza del contratto. Ebbene, la compagnia assicurativa sottolinea che l'evento di danno si è verificato nel 2002, durante vigenza del primo contratto (il quale prevede una franchigia esigua), ma la richiesta risarcitoria è stata formulata nel 2003, durante l’efficacia del secondo (la cui franchigia supera i 150 mila euro). Secondo l’assicuratore, quindi, deve applicarsi l’ultima polizza in ordine di tempo, giacché la richiesta risarcitoria è stata proposta durante il suo periodo di efficacia. Inoltre, essendo la franchigia superiore al danno arrecato, la società assicuratrice si rifiuta di coprire il danno.

In primo grado, il giudice dichiara nulla la clausola claims made ex art. 1341 c.c. e condanna l'assicurazione a manlevare il convenuto. In sede di gravame, invece, la clausola viene considerata valida e non vessatoria, in quanto volta a meglio descrivere l'oggetto del contratto, e la domanda di garanzia dell’assicurato è rigettata. Si giunge così in Cassazione.

Definizione pattizia di sinistro e contratto assicurativo

Come emerge dalla lettura della fattispecie, è dirimente stabilire cosa si intenda per sinistro, anzi, più precisamente, se le parti possano stabilirlo convenzionalmente. Nel caso di specie, infatti, nel regolamento contrattuale il sinistro viene fatto coincidere con la richiesta risarcitoria, sia per il pagamento dell’indennizzo che agli altri fini. In buona sostanza, secondo la polizza stipulata tra le parti, sinistro non è la causazione del danno a terzi da parte dell’assicurato, ma la circostanza che il danneggiato abbia formulato una domanda risarcitoria.

La differenza non è di poco conto.

Se per sinistro si intende quanto sopra, infatti, deve applicarsi la polizza vigente non al tempo del danno, ma quella esistente al momento della richiesta.

Nella fattispecie in esame, quindi, in un caso, l’assicurato risulta privo di copertura (essendo la franchigia altissima), mentre nell’altro è manlevato dalla richiesta risarcitoria.

Le due questioni rimesse alle Sezioni Unite: il sinistro e la richiesta postuma

In relazione alle questioni sopra esposte, l’ordinanza in commento propone le seguenti soluzioni:

1) alle parti non è concesso definire come “sinistro” circostanze diverse dal fatto di danno; in particolare, nell'assicurazione contro i danni, il sinistro è quello previsto dall'art. 1882 c.c. e nell'assicurazione della responsabilità civile, quello definito dall'art. 1917, c. 1, c.c.;

2) sono immeritevoli di tutela ex art. 1322 c.c. le clausole claims made che facciano dipendere il risarcimento del danno in base alle condizioni contrattuali vigenti al momento in cui il terzo danneggiato chieda all'assicurato di essere risarcito e non già in base alle condizioni contrattuali vigenti al momento in cui l'assicurato ha causato il danno.

Analizziamo partitamente le due questioni.

1) Contratto assicurativo e sinistro: ruolo dell’autonomia negoziale

L’ordinanza in commento, mercé un’analitica digressione in materia, precisa che per sinistro debba intendersi l’“evento di danno” sia semanticamente che normativamente. Così emerge dalla lettura delle norme del codice civile, del codice della navigazione, dalle leggi speciali, oltre che dalle direttive comunitarie[1]. In ambito assicurativo, un’analisi sistematica delle disposizioni porta a ritenere che il sinistro sia un evento avverso, pregiudizievole per l’assicurato e non voluto, connesso alla nozione di rischio. 

Torniamo ora alla questione originaria, vale a dire se sia ammissibile una definizione pattizia di sinistro. Ebbene assicurato ed assicuratore sono liberi di scegliere quali rischi assicurare ed entro quali condizioni, ma «non hanno, invece, la facoltà di pattuire che per “sinistro” debba intendersi un evento privo dei caratteri di incertezza, possibilità, dannosità, indesiderabilità». Se così non fosse, nulla distinguerebbe l’assicurazione dalla scommessa[2]. Pertanto, il sinistro deve coincidere con un evento che costituisca l’avveramento del rischio assicurato o si snatura l’essenza stessa del contratto assicurativo, trasformandolo in altro.

Quanto sopra vale per l’assicurazione contro i danni (art. 1904 c.c.), ma può estendersi anche a quella per la responsabilità civile[3] (art. 1917 c.c.) di cui rappresenta un sottotipo. Il quesito che si ripropone è se le parti possano elevare a rango di sinistro un fatto diverso dal danno come, ad esempio, la ricezione di una richiesta di risarcimento. La risposta del giudicante è negativa giacché, diversamente opinando, si giungerebbe a conseguenze paradossali[4]. Ad esempio, se si ammette la clausola che qualifica come sinistro la richiesta di risarcimento formulata dal terzo, si fa dipendere l’obbligazione dell’assicuratore da un evento non dannoso[5]. Una simile circostanza deroga all’art. 1882 c.c. secondo il quale il sinistro rappresenta un fatto pregiudizievole. Inoltre, l’assicurato deve avere un interesse contrario al verificarsi del danno. Ma se per sinistro si intende la richiesta risarcitoria, paradossalmente egli ha interesse a che tale richiesta sia formulata, in caso contrario perderebbe la copertura assicurativa.

Concludendo, nel contratto di assicurazione della responsabilità civile l'autonomia negoziale delle parti non è illimitata. I contraenti «non possono attribuire la qualifica di "sinistro" ad un evento che non sia pregiudizievole per il patrimonio dell'assicurato, ed al cui avverarsi l'assicurato non abbia un interesse contrario. Se lo facessero, quel patto mai potrebbe qualificarsi "assicurazione", ma sarebbe un contratto di altro tipo, la cui validità sarebbe da vagliare caso per caso, e che comunque in quanto contratto non assicurativo non potrebbe mai essere stipulato da un assicuratore, a pena di nullità, ex art. 11, comma 2, cod. ass..»

2) Meritevolezza della clausola atipica “a richiesta fatta”

Sulle clausole claims made è già intervenuta la Suprema Corte a Sezioni Unite[6]statuendo – in estrema sintesi – che[7]:

  • non sono vessatorie ex art. 1341 c.c. in quanto delimitano l'oggetto del contratto e non la responsabilità dell'assicuratore;
  • pur non essendo vessatorie, potrebbero non realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico ai sensi dell'art. 1322 c.c..  
  • Pertanto, si rende necessaria una valutazione, caso per caso, compiuta concreto e non in astratto, considerando: a) se la clausola subordini l'indennizzo alla circostanza che sia il danno, sia la richiesta di risarcimento da parte del terzo avvengano nella vigenza del contratto; b) la qualità delle parti; c) la circostanza che la clausola possa esporre l'assicurato a “vuoti di garanzia”.

Le questioni ora sottoposte al vaglio dei giudici sono ulteriori rispetto a quelle già esaminate. Il Collegio ritiene che debba sempre e comunque considerarsi immeritevole di tutela la clausola clausola claims made nella parte in cui escluda il diritto dell'assicurato all'indennizzo quando la richiesta di risarcimento gli pervenga dal terzo dopo la scadenza del contratto. La meritevolezza, infatti, non si esaurisce nella liceità del contratto, anche perché non tutto ciò che è lecito è anche onesto (non omne quod licet, honestum est). Il vaglio di meritevolezza, quindi, deve investire non solo il contratto in sé, ma il risultato da esso perseguito, che deve essere conforme ai princìpi di solidarietà, parità e non prevaricazione che il nostro ordinamento pone a fondamento dei rapporti privati. Ad esempio, in virtù dei prefati principi, si è ritenuto immeritevole il contratto finanziario che garantiva alla banca vantaggi certi e nessuna prospettiva di lucro per il risparmiatore[8].

Secondo il pregevole iter argomentativo dell’ordinanza, sono considerati immeritevoli di tutela ex art. 1322 i contratti o i singoli patti che perseguono quale scopo:

a) l’attribuzione di un vantaggio ingiusto e sproporzionato ad una parte senza contropartita per l’altra;

b) l’indeterminata soggezione di uno dei contraenti rispetto all’altro;

c) l’imposizione ad una parte di comportamenti contrari al superiore dovere di solidarietà costituzionalmente previsto.

La clausola claims made, quindi, va valutata alla luce dei criteri su esposti.

Ebbene, la pattuizione che escluda le richieste postume appare immeritevole di tutela, giacché avvantaggia ingiustamente e senza contropartita l’assicuratore (a). Una clausola siffatta riduce il periodo effettivo di copertura assicurativa, escludendo la garanzia per i danni avvenuti in prossimità della scadenza, poiché verosimilmente la richiesta risarcitoria avverrà a contratto ormai scaduto. Inoltre, l’esclusione della richiesta postuma pone l’assicurato in una condizione di soggezione indeterminata (b). La prestazione dell’assicuratore, infatti, non solo dipende da un evento futuro ed incerto ascrivibile alla colpa dell’assicurato, ma anche ad un ulteriore evento, futuro ed incerto, dipendente dalla volontà del terzo: la richiesta risarcitoria. Ciò conduce ad un paradosso: l’assicurato ha interesse a ricevere la richiesta di risarcimento in contrasto con il principio per cui il rischio assicurato deve essere non voluto. Inoltre, nel momento in cui l’assicurato causa il danno, se attende la richiesta del terzo, rischia di perdere la copertura assicurativa, ma se la sollecita viola l’“obbligo di salvataggio” ex art. 1915 c.c. Clausole siffatte inducono l’assicurato a tenere condotte contrarie ai doveri di solidarietà (c). Infatti, se l’assicurato, consapevole del danno cagionato, si offre di ripararvi, senza attendere la richiesta risarcitoria, l’assicuratore può rifiutare l’indennizzo.      

Infine, stante la distanza temporale tra il danno e la richiesta risarcitoria, l’assicuratore viene a trovarsi in una posizione di vantaggio, potendo modulare le condizioni del contratto in base al proprio tornaconto. Nel caso in oggetto, ad esempio, il danno cagionato dalla caduta della gru sul magazzino era avvenuto nel 2002, mentre la richiesta danni nel 2003. Pertanto, l’assicurazione ha avuto la possibilità di modificare le condizioni contrattuali a proprio vantaggio, aumentando la franchigia e portandola da 4 mila a 150 mila euro. Un incremento quantomeno sospetto, verificatosi dopo l’avveramento del sinistro, ma prima della richiesta danni.

Conclusioni

In conclusione, l’ordinanza in commento, mercé un percorso argomentativo approfondito ed analitico, chiede alle Sezioni Unite se siano corretti i seguenti principi:

a) «nell’assicurazione contro i danni non è consentito alle parti elevare al rango di "sinistri" fatti diversi da quelli previsti dall'art. 1882 c.c. ovvero, nell'assicurazione della responsabilità civile, dall'art. 1917, comma primo, c.c.;

b) nell'assicurazione della responsabilità civile deve ritenersi sempre e comunque immeritevole di tutela, ai sensi dell'art. 1322 c.c., la clausola la quale stabilisca che la spettanza, la misura ed i limiti dell'indennizzo non già in base alle condizioni contrattuali vigenti al momento in cui l'assicurato ha causato il danno, ma in base alle condizioni contrattuali vigenti al momento in cui il terzo danneggiato ha chiesto all'assicurato di essere risarcito».

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(Altalex, 1° febbraio 2018. Nota di Marcella Ferrari)


[1] L’ordinanza fa riferimento alla Direttiva 2009/103/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 settembre 2009 “Concernente l'assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli e il controllo dell'obbligo di assicurare tale responsabilità”

[2] Nella scommessa il rischio è creato artificialmente, mentre nell’assicurazione il rischio è effettivamente esistente.

[3] Nella responsabilità civile il bene esposto al rischio è il patrimonio dell’assicurato e non un bene determinato come nel caso dell’assicurazione contro i danni. Non a caso, una è detta “assicurazione di patrimoni” e l’altra “assicurazione di cose”.

[4] Si rinvia all’ordinanza in cui sono elencate esaustivamente 6 conseguenze paradossali dovute al considerare il sinistro come coincidente con la richiesta risarcitoria.

[5] L’obbligazione risarcitoria, infatti, sorge in capo al danneggiante dopo la causazione del danno e non quando il danneggiato gliene chieda conto

[6] Corte Cass, S.U., 6 maggio 2016 n. 9140

[7] Tra le altre statuizioni della Corte a Sezioni Unite si ricorda che: non sono nulle le claims made, nella parte in cui consentono la copertura di fatti commessi dall'assicurato prima della stipula del contratto e non rendono nullo il contratto di assicurazione per inesistenza del rischio, ai sensi dell'art. 1895 c.c.

[8] Si rinvia alla lettura integrale dell’ordinanza ove sono indicate varie fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immeritevoli di tutela singole clausole contenute in diverse tipologie contrattuali.

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