Atomi e Bit, Vino e Web

Atomi e Bit, Vino e Web

La dicotomia tra mondo reale e mondo virtuale, quando si parla di vino, sembra ancora più evidente di quanto non appaia per altri argomenti.

Reale + Virtuale = Smartphone

Cominciamo subito a dire che questa dicotomia, questa divisione, ormai non esiste più. Poteva essere vero negli anni ’90, quando l’interazione tra persone era limitata ai newsgroup e ICQ o MiRC e si navigava in Internet solo da desktop. L’avvento dello smartphone, ed in generale dei dispositivi mobile, ha completamente cambiato quel mondo (di appena 20 anni fa), perché ormai è tramite questi oggetti che interagiamo con tutto il resto del mondo, anche se a costo della nostra privacy. Il discorso è lungo e complesso, e sono stati scritti numerosi saggi sull’argomento. 

Fatto sta che mentre all’epoca delle chat room era facile celarsi dietro ad un nickname, oggi non lo è più, soprattutto dopo che alcune grandi piattaforme come Facebook, Instagram o WhatsApp hanno iniziato a scambiarsi i dati. 

Ad essere cambiata è la nostra interazione sociale, non solo social. E’ sempre più frequente, dopo essersi scambiati opinioni su un gruppo di fB o su un blog, condiviso un reportage su Periscope o commentato un evento in live streaming, che accada di incontrarsi con il nostro interlocutore quando capita di trovarsi nella stessa città. E’ l’evoluzione, in forma globale, delle vecchie ‘cene di chat’ degli anni ’90.

Il tutto passa, quindi, dalla interazione, che vuol dire agire insieme: le persone, non solo i giovani Millennial, si muovono più frequentemente, e quindi aumenta la possibilità di incontrarsi anche casualmente. 

Divisione o Disuguaglianza?

Il concetto di Digital Divide, ossia la barriera tra chi naviga con i Mb e chi naviga con i Kb, tra chi usa le nuove piattaforme e chi è rimasto a Facebook, sta andando velocemente (si spera), in soffitta. Oggi invece occorre parlare di Digital Inequality, la disuguaglianza digitale, che indica la barriera tra chi utilizza la tecnologia e chi no, anche se potrebbe farlo. In realtà se ne parla già da oltre dieci anni.

E’ chiaro, e questo è il punto centrale, che un conto è produrre pezzi di ricambio inviando un file ad una stampante 3D, ed un altro è produrre vino, un conto è trasferire bit ed un altro trasferire atomi.

Eppure già adesso, se ci pensate, noi prendiamo atomi e diamo in cambio bit, e questo accade ogni volta che facciamo un acquisto online di un bene materiale: un paio di scarpe, un frigorifero, una bottiglia di vino. 

Abbiamo visto i computer uscire da grandi stanze climatizzate per entrare in armadi, passare poi sulle scrivanie per finire quindi sulle nostre ginocchia e infine nelle nostre tasche. Ma non finisce qui. Nei primi anni del prossimo millennio le coppie di gemelli della vostra camicia o i vostri due orecchini potranno comunicare tra loro attraverso satelliti collocati su orbite basse o possedere più potenza di elaborazione degli attuali Pc. (Nicholas Negroponte, Essere Digitali, 1995)

Il processo di produzione industriale, però, non può essere completamente calato sul processo di produzione del vino, perché il suo sapore ed il suo odore comprendono anche le tradizioni e la sapienza artigianale (sia dove esiste realmente sia dove esiste solo nella comunicazione, ossia ancora una volta, nei bit) del vignaiolo. 

Non sto parlando di fare il vino usando il replicatore di Star Trek, ma dell’intero processo che, dalla vite, porta a riempire il mio bicchiere del vino adatto ad un buon pranzo. 

Accesso al Digitale

E questo processo riguarda aspetti che, oggi, possono essere aiutati e migliorati grazie alla tecnologia, quelle tecniche di cui avete già letto in altri post, ossia il monitoraggio dello stato del vigneto, la conoscenza di come i cambiamenti climatici stiano incidendo sulle produzioni, la difesa del proprio marchio contro le contraffazioni, la conoscenza dei propri clienti.

Il sociologo Jan Van Dijk affermava (The Handbook of Internet Politics, Routledge, London and New York, 2008) che la Digital Inequality è composta in realtà da quattro aspetti differenti: la mental access, ossia l’avversione verso la tecnologia, la material access, la possibilità di accedere alla tecnologia, lo skill access e l’usage access, ossia la capacità di usare le tecnologie e di sfruttarne il potenziale. 

Il mondo del vino deve quindi, prima di tutto, superare ognuno di questi quattro aspetti. Deve innanzitutto perdere quella naturale repulsione verso tutto quel che ‘odora’ di macchine e tecnologia. Deve chiedere che la propria cantina sia cablata con una rete a banda larga (o ultralarga che sia), così da poter ad esempio controllare quanto accade nel vigneto anche se è a migliaia di km di distanza per partecipare ad una fiera in Australia. Limitarsi allo storytelling verbale è diventato velocemente obsoleto, la comunicazione deve essere dinamica e, possibilmente, interattiva. 

Le scelte che facciamo su come gestire i dati, saranno importanti quanto lo furono le decisioni sull’impiego della terra durante l’era agricola, o sull’impiego della fabbrica durante l’era industriale. Abbiamo una ristretta finestra temporale prima che si instauri un insieme di norme che sarà pressocché impossibile sovvertire. ( Alec Ross, Il nostro futuro, Feltrinelli 2016)

Una nuova frontiera per il vino

E deve acquisire, con risorse interne o tramite consulenze specialistiche, quelle conoscenze che gli o le consentano di usare al meglio tutte quelle diavolerie che gli hanno fatto installare, per potersi creare i propri report (lui o il settore marketing, esterno o interno che sia) per capire chi e dove stia bevendo il proprio vino, o usare un drone con una GoPro installata per una vista dall’alto dei propri terreni. 

Non lo deve fare perché va di moda, ma lo deve fare perché il mondo del commercio e dello scambio di beni e servizi si sta muovendo sempre più velocemente in questa direzione, dovrà farlo perché prima o poi si renderà conto che le aziende che padroneggiano queste Disruptive Technologies gli stanno portando via fette di mercato sempre più ampie, anche se fanno un vino di qualità minore. Perché lo sanno comunicare meglio e perché riescono a dare, insieme agli atomi del vino, anche bit di servizi ai propri clienti.

La frontiera del mercato del vino, a mio avviso, è prendere le varie fasi della produzione e commercializzazione del vino e capire come migliorarle con l’uso di tecniche avanzate, non solo cercare di vendere 1 1 0 bottiglie in più.

Chi non si sarà voluto adeguare, rischierà di doversi sottomettere alle regole disegnate da qualcun altro.


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