ATS: l’assistente virtuale che legge meglio dei selettori (o almeno ci prova)
Nel mondo delle Risorse Umane, l’Applicant Tracking System (ATS) è l’asso nella manica di ogni selezionatore, o almeno dovrebbe esserlo. Questo sistema promette di velocizzare la selezione, filtrando tra centinaia di curriculum quelli che sembrano più allineati alle richieste. Parola chiave dopo parola chiave, l’ATS ci dice chi, in teoria, risponde meglio ai criteri di ricerca. Suona perfetto, no? Finalmente, un modo rapido per scremare le candidature senza dover sorbirsi CV che parlano di passatempi o di lauree mai richieste.
Il problema, però, è che gli ATS – per quanto utili – non sostituiscono del tutto il giudizio umano. Perché se è vero che sono bravissimi a riconoscere le parole chiave, non sono altrettanto bravi a interpretare le competenze, il contesto o, più semplicemente, il buon senso. In altre parole: “correttezza delle parole chiave” non equivale a “pertinenza del candidato”. E il dramma inizia proprio quando i selettori danno un’occhiata fugace ai risultati dell’ATS e decidono che basta e avanza.
Immaginate la scena: il sistema scorre e filtra, suggerisce e “sconsiglia”. Ma il selettore, ahimè, non sempre è lì a verificare se i candidati selezionati siano davvero quelli che possiedono le competenze ricercate o se, semplicemente, hanno infarcito il CV con tutte le parole giuste. “Se ha superato l’ATS, sarà sicuramente qualificato!” Questo sembra il mantra del giorno. Il risultato? Talenti che, pur non avendo usato le parole esatte, possiedono le competenze e il potenziale, restano fuori. E i CV più scaltri, quelli che hanno capito come infilare le keyword perfette, avanzano alle fasi successive senza problemi.
Il paradosso è che, invece di diventare un alleato, l’ATS finisce per trasformarsi in una barriera per i talenti autentici. È il caso di quel candidato con un’esperienza notevole in un ruolo affine, ma che non ha mai usato “project management” in quella precisa sequenza, o di quell’esperto di settore che preferisce parole complesse e descrizioni sofisticate rispetto ai termini tecnici più banali. L’ATS, leggendo alla lettera, si perde tutta questa ricchezza. E se il selettore non è lì a colmare questa lacuna, il sistema rischia di fare scelte discutibili.
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L’ATS, se usato bene, può effettivamente liberare il selezionatore dalla fatica di visionare ogni singolo CV irrilevante, consentendogli di concentrarsi su quelli che, almeno in apparenza, potrebbero essere più pertinenti. Ma solo con un minimo di intelligenza e attenzione critica si può distinguere tra chi ha abilmente inserito tutte le keyword giuste senza reale contenuto e chi, magari con un CV meno “perfetto”, ha l’esperienza e il potenziale ideali per la posizione.
Alla fine, un ATS non può e non deve sostituire il giudizio umano. I selezionatori, anziché limitarsi ad accettare ciecamente i suggerimenti del sistema, dovrebbero leggere “oltre” le keyword e cercare di capire davvero il profilo che hanno davanti. La parola chiave perfetta non garantisce il talento giusto, così come l’assenza di una keyword non equivale a una mancanza di competenze. Sta ai selettori ricordarlo e non trasformare uno strumento utile in una trappola per il talento.
Forse è giunto il momento di smettere di affidarsi passivamente alle macchine e di formare i professionisti delle risorse umane a usare l’ATS in modo critico. La tecnologia è un mezzo, non il fine, e come ogni buon strumento richiede un pizzico di intelligenza e discernimento per essere davvero utile.