Aziende di trasporto, caporalato e responsabilità ex D.Lgs 231/2001 in capo alla Società datrice di lavoro
In alcuni recenti interventi in sede di convegni, webinar, articoli e corsi, sovente ho tentato di illustrare come nell’ambito del comparto logistico e del trasporto sia sempre più crescente la contestazione dei reati di caporalato ex art. 603 bis c.p., con conseguenti implicazioni in ambito penalistico sia per le figure aziendali coinvolte, che per la società datrice di lavoro in ragione della responsabilità amministrativa ex Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231.
Più volte ho raccontato, con l’intento di sensibilizzare le imprese di settore che pur spesso ritenevano le indicazioni come estremamente prudenti e come tali eccessive, dell’idea del reato di caporalato come una fattispecie che, per il percepito comune, è molto distante dalle dinamiche di un’azienda che opera nel comparto del trasporto; in realtà, soffermandosi a riflettere, è agevole comprendere come tale approccio non sia affatto corretto.
A sostegno di questa tesi sovviene un avviso di chiusura delle indagini preliminari recentemente emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino in danno del legale rappresentante dell’azienda, di un preposto di fatto di una filiale della società e alla società stessa.
Il provvedimento trae origine dal suicidio di un conducente che la Procura ritiene legato ad ipotesi di vessazioni, umiliazioni e ritmi di lavoro eccessivi impostigli dall’azienda, tali da provocargli un alto livello di stress che lo avrebbe spinto al gesto estremo.
Lungi dall’argomentare in questo ambito tesi difensive o censure in merito all’operato degli inquirenti, che saranno evidentemente frutto di una difesa nelle sedi appropriate, ciò che conta evidenziare in questa sede sono le tesi e i risvolti giuridici che possono trovare applicazione concreta in casi del genere.
Con riferimento al Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale rappresentante della società datrice di lavoro, allo stesso vengono contestati il reato di caporalato ex art. 603 c.p. per avere asseritamente, tra le altre, omesso di predisporre un Documento di valutazione dei rischi (DVR) che contenesse un’adeguata valutazione dei rischi da stress lavoro-correlato e per non avere impedito che il personale viaggiante non rispettasse pause e riposi normativamente e contrattualmente previsti, per avere permesso l’utilizzo di veicoli senza l’inserimento della scheda tachigrafica, per non avere impedito l’omesso rispetto dei riposi settimanali del conducente nonché i riposi intermedi, e per non avere impedito pressioni affinché gli autisti sforassero il normale orario giornaliero di lavoro.
In ragione di quanto sopra, viene altresì contestato al legale rappresentante il reato di omicidio colposo derivante da altro reato, per non avere previsto nel DVR il rischio di molestie o comportamenti vessatori sul luogo di lavoro, i rischi per la salute derivanti da carichi di lavoro usuranti con orari di guida eccessivi e dei pericoli connessi all’età del lavoratore, prossimo al compimento dei 60 anni, e per non avere adeguatamente formato il preposto di fatto, in tal modo consentendo pratiche illecite nell’interesse e a vantaggio dell’azienda.
Al preposto di fatto vengono invece contestati i medesimi reati in quanto autore materiale delle condotte vessatorie nei confronti del lavoratore poi deceduto, per averlo umiliato e sottoposto a condizioni degradanti, negandogli i permessi, costringendolo a prestazioni di lavoro supplementari e approfittando del suo stato di bisogno dovuto dalla necessità di mantenere la famiglia nonostante lo stato ansioso depressivo da cui era affetto e dall’oggettiva impossibilità di trovare altro lavoro a causa dell’età. Ciò, con la contestazione dell’aggravante di avere commesso il fatto con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.
E da ultimo, la stessa Società datrice di lavoro viene indagata per violazione del D.Lgs. 231/2001 essendo le condotte sopra descritte commesse dal suo legale rappresentante e dal preposto di fatto nell’interesse e a vantaggio della Società per massimizzare i tempi di consegna delle merci e in tal modo incrementare il numero di consegne effettuate e in assenza di adozione di Modello di Gestione e Controllo.
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Dai capi di imputazione formulati, è agevole constatare alcuni aspetti salienti della questione
In primo luogo, la normativa antinfortunistica assurge a ruolo primario nella vicenda: il fatto di non avere correttamente previsto in sede di DVR la tipologia di rischi e condotte poi effettivamente verificatesi, la circostanza di non avere adeguatamente tutelato il personale conducente consentendogli il rispetto della corretta tempistica di riposo e di turni non eccessivi di guida assurgono quali elementi fondanti per la responsabilità nella causazione dell’evento suicidario.
Quanto poi al ruolo del Presidente del Consiglio di amministrazione, viene censurata la sua inerzia nel non avere controllato e impedito che il preposto di fatto potesse assoggettare la vittima a condotte contrarie alla legalità: assume pertanto rilievo fondamentale il puntuale e approfondito controllo periodico di tali attività dei sottoposti da parte del legale rappresentante, evitando anche atteggiamenti inerti, omissivi o compiacenti.
Non può poi non considerarsi come, in base al principio di effettività, viene indagato anche il soggetto individuato come preposto di fatto (dunque in assenza di sua nomina formale), per il quale viene anche rilevata la mancanza di formazione obbligatoria: anche da questo punto di vista, pertanto, sussiste il rimprovero di una carenza organizzativa alquanto significativa all’interno dell’azienda indagata.
Ed ancora, vengono elencati una serie di elementi rinvenuti nella concreta esecuzione della prestazione che la Procura riconduce a quelli essenziali per la sussistenza del reato ex art.603 bis, tra i quali il mancato rispetto dei tempi di guida, il mancato inserimento della scheda nel cronotachigrafo, ripetute richieste di turni supplementari: tutti elementi che, mediamente, fanno al più pensare all’esposizione a rischi sanzionatori in ambito di controlli su strada o di temi giuslavoristici, ma non a risolti penali.
Da ultimo, viene nuovamente sottolineata la fondamentale importanza della preventiva adozione del Modello di Gestione e Controllo ex D.Lgs. 231/2001, quale conferma dell’attenzione della società alla compliance e alla legalità, nonché quale sistema di monitoraggio atto a prevenire condotte illecite commesse nell’interesso o a vantaggio della società stessa. Sul punto, appare anche evidente come una specifica conoscenza delle dinamiche di settore possa meglio consentire una precisa analisi del rischio ed un più analitico risk assessment, nonché migliori procedure di monitoraggio, tali da rendere maggiormente efficace il Modello stesso in termini di protezione Il presente contributo tende pertanto ad evidenziare come condotte che possono sembrare molto lontane dal poter assurgere quali elementi di responsabilità, sono invece foriere di gravi conseguenze se non correttamente previste, valutate e gestite sia dall’imprenditore che dai suoi delegati. Sarà sicuramente interessante verificare se questo orientamento della Procura di Torino tenderà ad estendersi, ma sicuramente alcuni elementi tratti dall’avviso di conclusione delle indagini debbono spingere necessariamente gli operatori di settore ad attente riflessione e valutazione.
Avv. Germano Margiotta