Balarm

Balarm

Della Sicilia. Questa isola è lunga sette giorni [di cammino], larga quattro giornate; montuosa, irta di rocche e di castelli, abitata e coltivata per ogni luogo. Essa non ha altra città famosa e popolosa che quella che chiamano Palermo, ed è la capitale dell’isola. Sta [proprio] sulla spiaggia, nella costiera settentrionale. Palermo si compone di cinque quartieri, non molto lontani [l’un l’altro], ma sì ben circoscritti che i loro limiti appaiono chiaramente. [Il primo è] la città grande, propriamente detta Palermo, cinta d’un muro di pietra alto e difendevole, abitata da’ mercanti. Quivi la moschea gâmi [1] che fu un tempo chiesa dei Rûm; nella quale [si vede] un gran santuario. Ho inteso dire da un certo logico che il filosofo de’ Greci antichi, ossia Aristotele, giaccia entro [una cassa di] legno sospesa in cotesto santuario, che i Musulmani hanno mutato in moschea. I Cristiani onoravano assai la tomba di questo [filosofo] e soleano implorare da lui la pioggia, prestando fede alle tradizioni [lasciate] da’ Greci antichi intorno i suoi grandi pregi e le virtù [del suo intelletto]. Raccontava [il logico], che questa cassa era stata sospesa lì a mezz’aria, perché la gente ricorressevi a pregare per la pioggia, o per la [pubblica] salute e [per la liberazione di tutte] quelle calamità che spingon [l’uomo] a volgersi a Dio e propiziarlo; [come accade] nei tempi di carestia, morìa o guerra civile. [Per vero] io vidi lassù una [cassa] grande di legno, e forse racchiudea l’avello.

L’[altra città] che ha nome ’Al Hâlisah’ [2], è cinta anch’essa d’un muro di pietra, ma non tale che sia simile al primo [da noi descritto]. Soggiorna nella Hâlisah il Sultano con i suoi seguaci: quivi non mercati, non fondachi; v’ha due bagni, una moschea gâmi, piccola, ma frequentata; la prigion del Sultano; l’arsenale [di marina] e il dîwân [3]. Ha quattro porte a mezzogiorno, tramontana e ponente; a levante un muro senza porte.

Il quartiere dello Harat ’as Saqâlibah [4] è più ragguardevole e popoloso che le due città anzidette. In esso il porto; in esso parecchie fonti, le acque delle quali scorrono tra questo quartiere e la città vecchia: tra l’uno e l’altra il limite non è segnato se non che dalle acque. Il quartier che si chiama Harat ’al Masgid [5] […] è spazioso anch’esso; ma difetta d’acque vive, per cui gli abitanti bevono dai pozzi.

[Scorre] a mezzogiorno del paese un grande e grosso fiume che s’appella Wâdi ’Abbâs, sul quale sono piantati molti mulini; ma [l’acqua di esso] non si adopera per l’[irrigazione degli] orti, né dei giardini.

Grosso è ’Al Harat ’al gadîdah [6] il quale s’avvicina al Quartiere della moschea, senza separazione, né intervallo: neanche ha mura il quartiere degli Schiavoni. La maggior parte dei mercati giace tra la moschea di Hbn Siqlâb e questo Quartier nuovo: per esempio, il mercato degli oliandoli, che racchiude tutte le botteghe de’ venditori di tal derrata. I cambiatori e i droghieri soggiornano anch’essi fuor le mura della città; e similmente i sarti, gli armaiuoli, i calderai, i venditori di grano e tutte quante le altre arti. Ma i macellai tengono dentro la città meglio che cinquanta botteghe da vender carne; e qui [tra i due quartieri testé nominati] non ve n’ha che poche altre. Questo [grande numero di botteghe] mostra la importanza del traffico suddetto e il grande numero di coloro che lo esercitano. Il che si può argomentare ugualmente dalla vastità della loro moschea; nella quale, un dì ch’era zeppa di gente, io contai, così in aria, più di settemila persone; poiché v’erano schierate per la preghiera più di trentasei file, ciascuna delle quali non passava il numero di dugento persone.

Le moschee della città, della Hâlisah e de’ quartieri che giacciono intorno la [città fuori le mura, passano il numero di trecento: la più parte fornite d’ogni cosa, con tetti, mura e porte. […]

[In vero] io non ho visto tanto numero di moschee in nessuna delle maggiori città, foss’anco grande al doppio [di Palermo], né l’ho sentito raccontare se non che da quei di Cordova [per la loro patria]; per la quale città io non ho verificato il fatto, anzi l’ho riferito a suo luogo non senza dubbio. Lo posso affermare bensì per Palermo, perché ho veduta con gli occhi miei la più parte di [queste moschee]. […]

Giaccion su la spiaggia del mare molti ribât [7] pieni di sgherri, uomini di mal affare, gente da sedizioni, vecchi e giovani, ribaldi di tante favelle, i quali si son fatta in fronte la callosità delle prosternazioni per piantarsi lì ad acchiappare l’elemosina e sparlar delle donne oneste. La più parte sono mezzani di lordure o rotti a vizio infame. Ripararono costoro nei ribât, come quegli uomini da nulla che sono, gente senza tetto, [vera] canaglia.

Ho detto della Hâlisah, delle sue porte e di quanto c’è lì [da notare]. Venendo ora al Qasr [8] propriamente chiamato Palermo, dico ch’è questa la città antica. Delle sue porte, la principale è la Bâb ’al bahr [9], così chiamata perché vicina al mare.

La città, [di figura] bislunga, racchiude un mercato che l’attraversa da ponente a levante e si chiama ’As simât [10]: tutto lastricato di pietra da un capo all’altro; bello emporio di varie specie di mercanzie. Scaturiscono intorno a Palermo acque abbondanti, che scorrono da levante a ponente, con forza da volgere ciascuna due macine; onde son piantati parecchi mulini su que’ rivi. Dalla sorgente allo sbocco in mare sono essi fiancheggiati di vasti terreni paludosi, i quali, dove …[mancano le pp. successive]

Ibn Hawqal, un mercante di Bagdad vissuto nel X secolo ed autore di un’opera a carattere geografico, tradotta da Michele Amari

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