Benvenuti su radio Facebook. 1970 e siamo già sui social.

Benvenuti su radio Facebook. 1970 e siamo già sui social.


Hai presente quando hai la sensazione di avere un DeJaVu? Tanta gente che comunica nell’etere, sull’internet...nell’eternit insomma?

Persone che iniziano a raccontarsi un po’ di cose per niente interessanti, ma ipnotiche come alcune televendite dei coltelli che segui in heavy rotation alle due di notte quando non riesci a prendere sonno.

Questo è stato il mio primo impatto con la rivoluzione social. Sono su facebook dal 2008 e ci lavoro dal 2010 circa. Poi ho creato i miei account su twitter e instagram ed ho tentato di ricostruire a cosa afferiva quella mia sensazione di già vissuto. All’improvviso un’illuminazione. Il tentativo c’era già stato ed era anche riuscitissimo. Le community, la condivisione di uno spazio inesistente...era uno spazio che avevo già frequentato. Ecco. Ho capito. La fioritura primigenia delle community era stata la radio privata. Il programma radiofonico con il suo spazio etereo condiviso che faceva confluire le voci di moltitudini che spesso non avevano niente di davvero interessante da dirsi.

Ogni radio privata, ogni trasmissione aveva il suo gruppo social. Gli ascoltatori trovavano voce e spazio, ma con un moderatore: il DJ.

E’ iniziata con le dediche, un po’ come quando condividi una canzone da YouTube su Facebook, poi con le telefonate, antesignane dei post. Lì potevi lanciarti in citazioni colte, opinioni banali. Poi i programmi politici, quelli di Radio Popolare, Radio Radicale e a tutt’oggi la rassegna stampa di RadioTre. Potevi chiamare e commentare, chiedere, infierire ed inveire.

Eccola, è la radio, il social ante litteram. Ha precorso i tempi e continua a sopravvivere brillantemente in parallelo alla rivoluzione dei nuovi media.

Le “shit warm” di Facebook e Twitter non sono forse quelle che abbiamo già vissute con Radio Radicale che apriva la propria segreteria telefonica senza moderazione e moderatori. Quando leghisti e terroni si sfanculavano sul nulla, su una contrapposizione inesistente. Era l’inizio dell’odio intangibile. Quando tutto questo era “On Air” eravamo attaccanti alla radio, la portavamo in bagno, la ascoltavamo nelle camere da letto e stiamo continuando così. Solo che la radio in bagno, in camera da letto, in cucina è diventata un soprammobile stanziale. Però è il nostro smart phone la protesi che abbiamo dietro mentre le orecchie sono impegnate nell’ascolto della radio. L’interazione è più semplice, lo scrivo, lo dico, lo affermo, lo sputtano su Facebook, sì, su Facebook, non alla radio. E siccome ho libero accesso a Facebook, anche se non ho nessuna autorità, nessuna autorità riconosco a chi mi vuole vendere qualcosa, a meno che...non faccia pubblicità anche alla radio.

Risultato? Il grosso della pianificazione di Amazon viaggia su Radio e Televisione. Vuoi vendermi prodotti su internet utilizzando la televisione e la radio? Allora forse è vero che il mezzo un po’ nobilita il messaggio. Perché dove tutti possono far sentire la propria voce - una vera voce autorevole è difficile da far emergere.

Ergo: viva la radio, mamma dei social, delle community, degli haters. A questa mamma buona e democratica abbiamo fornito due mammelle nuove da cui nutrirsi e rigenerarsi: i social ed il web. Vi sfido a trovare un programma che non citi un twit o un post, ma quando lo fa diventa booster per far crescere follower di una social generation che non sa da cosa tutto questo abbia preso il via. Purtroppo anche tra gli addetti ai lavori che un’analisi seria sull’autorevolezza del media la fanno raramente.

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