Bloccati nel limbo: possiamo davvero ignorare il cambiamento climatico?
"La verità è che stiamo distruggendo la vita".
È così che comincia "The Climate Limbo", corto presentato nel 2019 al Festival CinemAmbiente di Torino.
L’opera prodotta da Dueotto Film e realizzata da Francesco Ferri, Paolo Castelli ed Elena Brunello, in 40 minuti condensa con straordinario cinismo tutte le più drammatiche conseguenze del cambiamento climatico.
Lo spettatore sin dall'inizio è immerso in un’atmosfera cruda attraverso il suono inquietante delle sirene - metafora della brutalità dell’intervento umano - e attraverso riprese psichedeliche e confuse che evidenziano l’inspiegabilità della questione di fondo: come può, l’uomo, distruggere la vita sul pianeta senza rendersene neanche conto?
Siamo abituati a pensare che le persone abbandonino i propri Paesi d’origine solo per fuggire da povertà o guerre, invece sono sempre più numerosi coloro che sono costretti a lasciare la propria terra a causa del cambiamento climatico. Tra il 2008 ed il 2014 si stima che siano stati almeno 184 milioni. Le testimonianze di Queen, donna nigeriana fuggita dal suo Paese a causa dei danni del petrolio sull’ambiente, e di Rubel, giovane costretto a lasciare il Bangladesh per le inondazioni, pongono l’accento sulla questione dei rifugiati climatici, troppo spesso trascurata. Rubel ama il Bangladesh, ma un’alluvione gli ha portato via ogni cosa e Queen non sarebbe mai scappata lontano dalla sua famiglia. La Convenzione di Ginevra del 1951 regola i diritti degli immigrati, eppure non contempla il cambiamento climatico tra i motivi che danno diritto all’asilo, perché non è un agente di persecuzione.
Nel corto, le voci di tre agricoltori italiani raccontano come il problema della perdita di biodiversità li preoccupi assiduamente, così come lo scioglimento dei ghiacciai sulle Alpi, che sarà presto un dramma per Paesi che, come l’Italia, per far fronte ai periodi di siccità, contano sulle scorte idriche provenienti proprio dai ghiacciai.
Consigliati da LinkedIn
Lo scorso febbraio, la Commissione Europea ha presentato la strategia di adattamento ai cambiamenti climatici che ci ha messo una volta per tutte davanti a un assunto ben preciso: il cambiamento climatico procede a ritmi inarrestabili. Non si può più fermare, ma solo contenere.
Più del 40% della popolazione mondiale vive nei primi 80 km dalla costa, Italia inclusa. Ma ad alcuni scettici, quella della fusione dei ghiacciai e dell'innalzamento del livello del mare sembra ancora una favola di fantascienza ambientata in un futuro molto lontano.
Bisognerebbe chiedersi se sia il caso di continuare a starsene con le mani in mano o se invece sia arrivato il momento di cominciare a gettare le basi per un futuro diverso e sostenibile. Un futuro in cui possano tornare a crescere i fiori.
Se finora un approccio comunicativo di tipo catastrofico non è servito a convincerci che il problema riguarda tutti e il presente, non solo continueremo a inseguire gli effetti del cambiamento climatico senza ridurne l'effettiva portata, ma i nostri figli o nipoti potrebbero essere i prossimi a lasciare la propria terra, perché non esisterà più.
Per uscire dal limbo bisognerebbe portare avanti azioni concrete e massive, ma al momento sembrano preoccuparsene solo Greta Thunberg e i suoi seguaci.
"Siamo solo un pezzo della catena, non siamo onnipotenti".