Bones and All
l primo film americano di Luca Guadagnino è stato preceduto, purtroppo, da un battage comunicativo - pubblicitario enorme.
Prima di vederlo al cinema ho iniziato a pensare a film come “Solo gli amanti sopravvivono” di Jim Jurmush, messa in scena artistico ipnotica di vampiri, gli esclusi che si cibano di sangue e al road movie “Nomadland” di Chloè Zhao, dove gli outsider erano dei nomadi in furgone.
Ovviamente nulla di tutto questo è stato raccontato da Guadagnino.
Non so definire l’atmosfera in cui ci catapulta l’amato regista, ma non è quella del semplice road movie, né quella del coming of age tanto decantata nelle recensioni e nemmeno quella di una romantica storia d’amore.
Parlo di atmosfera ma posso definirlo stile.
La protagonista è Maren (la bravissima Taylor Russel) che, abbandonata dal padre per il suo essere antropofoga, vaga per gli Stati Uniti degli anni ‘80 in cerca della madre. Nel suo peregrinare incontra diversi personaggi, che più o meno saranno incisivi nella sua presa di coscienza interiore. Una parte molto importante è occupata dall’aiuto e dell’amore che le riversa Lee, un Timothée cannibale ai margini come lei.
Il film è tratto dal romanzo Fino all’osso di Camille De Angelis e da questo Guadagnino riesce a creare un’opera molto equilibrata tra poesia e quell’horror che però stento a definirlo tale, perchè horror non è.
Qualche volta la sua mano però tentenna, non amalgama così in profondità le scene, ma quasi fosse più un limite della sceneggiatura.
Le cause di questo stato di dipendenza dalla carne umana non sono raccontate, per fortuna. Come per fortuna non dobbiamo cercare elucubrazioni metaforiche a questa fame, collegandola alla fame di vita.
Detto questo, ho bisogno di vederlo una seconda volta.
Solo e unicamente al CINEMA, ovviamente.