C’è un modo infallibile per demotivare le persone…
…ed è ripetere costantemente il mantra “Tutti sono utili, nessuno è indispensabile” o la variante politicamente corretta “Nessuno è necessario, ognuno è indispensabile”.
La prima volta che mi scontrai con questa frase avevo 25 anni e già allora mi suonava come uno dei soliti slogan da bancarella, retaggio di quei tanti paradigmi ammuffiti che le persone accettano acriticamente come dogmi.
Assieme alle innumerevoli metafore-spazzatura del grigio linguaggio aziendalese, questo “dogma” – che io chiamo ‘mantra del livellamento verso la mediocrità’ – mi è sempre apparso come uno dei più pericolosi.
Ora, prendete uno qualsiasi degli autorevoli testi di Management che avete nella vostra libreria e sfogliate le prime dieci, massimo venti pagine: sono pronto a scommettere una cena da Bottura che troverete questo concetto.
Magari scritto in modi diversi, con relativo “spiegone” – ma il succo rimane quello lì: sei utile (forse) ma non credere di essere indispensabile poiché sei sostituibile in qualunque momento e probabilmente da qualcuno che sa fare il lavoro anche meglio di te.
Sgombriamo il campo da eventuali ipocrisie: è vera, questa affermazione, in un contesto aziendale o, più in generale, in un sistema organizzativo?
Certo che lo è, non potrebbe essere altrimenti. Nessuna organizzazione o sistema può permettersi di dipendere da un solo elemento.
Ma la domanda è un’altra: gestire un’organizzazione sulla base di questa idea è utile e produttivo per il sistema stesso e per gli individui che ne fanno parte?
Personalmente, credo di no. Può diventare limitante per quel sistema e di certo è avvilente per gli individui che ad esso partecipano attivamente.
Si tratta di un’idea che appartiene alla sfera più deleteria della burocrazia, lontana anni luce da una dimensione meritocratica, la quale è, per definizione, individuale e non collettiva.
Ti invito, per un momento, a immaginare il tuo primo giorno di lavoro in una nuova azienda.
Varchi la soglia d’ingresso, pieno di entusiasmo e aspettative per la nuova avventura, pieno di una rinnovata voglia di fare, di esprimerti, e il Responsabile HR (o chi per lui), mentre ti accompagna a fare il giro degli uffici per presentarti ai futuri colleghi, la butta lì: “Ricordati che qui in azienda siamo tutti necessari ma nessuno è indispensabile…”.
(Succede, succede, lo sappiamo bene, e se hai colto un sottinteso fantozziano tipo “Caro inferiore…”, sappi che non sei molto lontano dalla verità).
Buon modo per iniziare, vero?
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Eppure è questo che ancora oggi si respira nella stragrande maggioranza delle aziende, quasi che il livellamento verso la mediocrità e l’omologazione fossero VALORI assoluti e non negoziabili: “devi essere uguale agli altri – guai se ti differenzi”.
(Hai l’impressione che, estendendo la visuale, stia accadendo la stessa cosa anche nella società occidentale?)
Il risultato di tutto ciò credo sia abbastanza evidente.
Nel gestire le strutture che mi sono state affidate nell’arco della mia carriera, la domanda che mi ponevo continuamente era questa: “Che cosa posso fare per sviluppare i talenti e le competenze legate all’unicità di ogni mio collaboratore, in modo che possa trarne benefici tanto la persona quanto l’organizzazione?”
Quanti leader hanno, oggi, il coraggio di sfidare i paradigmi?
Sono fermamente convinto che a sopravvivere nel prossimo lustro saranno quelle aziende in grado di differenziarsi all’esterno ma soprattutto al proprio interno, quelle, cioè, in grado di valorizzare davvero le differenze tra le persone all’interno di ogni livello (ambiente, comportamenti, capacità, competenze, valori e identità) e costruire il team sulle tensioni che ogni differenza necessariamente crea - e non livellando tutti verso la mediocrità.
Le tensioni sono energia neutra: sta a noi trasformarle in energia positiva e quindi in “forza”.
La squadra è una, certo, ma è fondamentale fare in modo che anche le singole individualità si esprimano pienamente.
Il concetto è semplice, persino banale, ma quanti sono davvero disposti a mettere in discussione i dogmi e sfidare l’omologazione?
Quando siamo NECESSARI, diamo il meglio delle nostre competenze ma quando ci sentiamo INDISPENSABILI diamo il meglio di noi stessi.
La differenza tra i due stati mentali (e le conseguenze sui risultati) è enorme.
Ricercare l’eccellenza significa perseguire l’unicità individuale, non la convalida all’omologazione collettiva.
Dottore in Scienze e Tecniche Psicologiche - Executive, Career & Personal Coach Professionista AICP/ACSTH ICF
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