Cafè Europa - Finalmente Stoccolma - Nr. 45
L’editoriale: finalmente Stoccolma
La fumata bianca è arrivata, finalmente, la scorsa settimana: la Svezia entra nella Nato dopo il via libera da parte di Budapest. L’Alleanza Atlantica aggiorna così il numero dei suoi componenti, dopo l’ingresso della Finlandia lo scorso anno. Un messaggio inequivocabile a Putin, che – a suo dire – aveva iniziato l’invasione dell’Ucraina proprio per l’espandersi dei confini della Nato. Il percorso di Helsinki e Stoccolma non è stato però in discesa, soprattutto quello svedese. Prima le resistenze della Turchia, con Ankara che ha postposto l’approvazione da parte del proprio provvedimento in seguito a proteste islamofobe tenutesi nella capitale svedese. Orbàn, invece, Primo ministro ungherese, ha tirato per le lunghe il dossier più per una presa di posizione che è ormai la sua tipica in ambito europeo: quella di bastian contrario, di provare in tutti i modi e con tutti i mezzi di mettersi di traverso e provocare gli altri leader europei in nome di un nazionalismo iper-accentuato. La Svezia nella Nato è però una di quelle notizie che, quando arrivano, significano un rafforzamento dell’atlantismo e un interrogativo sulla posizione di Putin. Con la guerra entrata nel suo terzo anno, sono molti i punti interrogativi, e non soltanto dal lato russo. I leader europei, infatti, continuano a discutere di pacchetti sanzionatori, del ruolo di un possibile nuovo Commissario europeo alla difesa e della possibile partecipazione di truppe europee al conflitto. E, come è d’uopo, su tutte queste tematiche a vincere sono i distinguo e le divisioni. Alla proposta della von der Leyen di avere un Commissario europeo alla difesa nel suo prossimo mandato al Berlaymont, hanno risposto sia Charles Michel che l’Alto Rappresentante Borrell, ricordando come la politica di difesa sia coordinata tra gli Stati membri e che la produzione industriale di munizioni sia dominio del portafoglio di Macron. In realtà, i rimpalli sul ruolo della politica di difesa europea nascondono un malessere più generale sullo stile gestionale della Presidente della Commissione che, arrivato al suo ultimo anno di mandato, può ora essere esternato. Esternazioni e distinguo che, però, non fanno bene all’Europa che si appresta a rinnovare le sue cariche e lo fa in un clima di incertezza che va ben oltre le rassicurazioni dei vari leader europei. Se, infatti, Ursula si garantirà giovedì la nomina ufficiale a candidato alla Presidenza della Commissione del Ppe, è pur vero che tutti sanno che i giochi verranno definiti dopo le elezioni e c’è chi ha iniziato a far serpeggiare il sospetto che la sua riconferma non sia poi così scontata. Nel frattempo, l’inquilina del piano più alto del Berlaymont ha fatto marcia indietro su tutto o quasi pur di garantirsi un supporto ampio di quella che delinea essere la sua futura maggioranza: Ppe, sì, ma con un occhio più spostato a destra dell’emiciclo. E quindi niente più riforme ecologiche, ma più industria, competitività e sostegno alle Piccole e Medie Imprese. Un’inversione a “U” che rischia di risultare tardiva e poco credibile. Gli assi nella manica del Ppe ci sono: in panchina siedono “bomber” del calibro di Mitsotakis e Plenkovic, Primi ministri rispettivamente di Grecia e Croazia che sarebbero pronti a subentrare se von der Leyen dovesse improvvisamente trovare resistenze ad una sua riconferma. Molto dipenderà dal voto di giugno e dalla composizione del nuovo Parlamento europeo. Se i voti si sposteranno decisamente a destra, come sembra dagli ultimi sondaggi, non è certo che l’annuncio di un’agenda politica a destra sarà sufficiente per confermare l’ex-ministra della difesa tedesca.
I Socialisti europei, nel frattempo, hanno eletto a Roma il loro candidato alla Presidenza della Commissione europea, il lussemburghese Nicolas Schmit, attuale Commissario al Lavoro. Una candidatura di servizio, dato che Schmit non ha alcuna possibilità di ambire alla poltrona più importante delle istituzioni europee. La sua candidatura, d’altra parte, è il sintomo di un sistema che non sta funzionando, quello dello Sptizenkandidaat, e che è stato forse definitivamente affossato nel 2019. La campagna elettorale che si apre questo mese con i Congressi dei principali partiti politici europei sarà molto “low profile”: i Socialisti, come detto, hanno un candidato più di servizio. Il Ppe ha l’attuale Presidente della Commissione che dovrà dividersi tra impegni istituzionali e campagna elettorale. I Liberali, in piena crisi causata dai numeri in discesa del partito di Macron, faticano a trovare un proprio candidato ma un nome uscirà comunque dal Congresso in programma per il 21 marzo nella capitale belga. Tra i tanti dubbi che asfaltano la strada verso le europee, la certezza è l’ancoraggio all’atlantismo, fortificato con l’adesione della Svezia. Finalmente.
Lavori in corso – L’agenda della settimana europea:
4-5 Consiglio ministeriale Giustizia e Affari Interni
7 – Consiglio ministeriale Competitività
Monday – Lunghe letture per una lunga giornata
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