Candele per un anniversario: mini-racconto, in onore dell´8 marzo
8 marzo: candele per un anniversatio

Candele per un anniversario: mini-racconto, in onore dell´8 marzo

Buon 8 marzo!

Noi donne abbiamo attraversato una lunga penombra. Vi offro un mini-racconto, ispirato dalla memoria di come andavano le cose in famiglia, nell´Italia degli anni ´60. E sembra ieri.

Per il loro terzo anniversario, Anna si era fatta la permanente. Finito di cucinare, indossò la camicetta con le maniche a giro arricciate, soddisfatta come quando l’aveva provata in negozio. Infine, ispirata da una foto che aveva visto su Grazia, accese tre candele a centro tavola, tozze ma solide come il suo matrimonio.

Capitava di martedì. L’indomani, Giulio avrebbe preso il ferry delle sei per il suo giro di vendita in campagna, come diceva lui. Per Anna, la campagna era un’altra cosa: trasferitasi a Venezia per seguire suo marito, che la gente come loro si parlasse in dialetto, le dava ancora un certo, segreto, fastidio.

Fosse quel che fosse, due calici di Amarone – costato la bella cifra di cinquemila lire – li aspettavano nella sala da pranzo illuminata dai candelabri come a Natale. E c’era il profumo di zenzero delle candele, per svegliare e riscaldare quello che la commessa della Standa le aveva detto sottovoce.

Giulio era stato dal barbiere, i suoi capelli biondo rame sapevano ancora di brillantina; a tavola, si infilò il tovagliolo nel colletto della camicia da garibaldino che si metteva solo in certe occasioni.

«Ti metti il bavaglino?» osservò Anna con un sorrisetto. «Come i bambini…» aggiunse sottovoce. 

Giulio la guardò interdetto: «Xe la camisa de mio nono, no la se pol portar in tintoria».  

Lei sospirò. 

Quando passarono al secondo, Anna – la guancia su una mano e la forchetta infilata tra le dita come la matita rossa di una maestrina – inorridì a vederlo trangugiare una bistecca che a lei era sembrata dura come una colpa e non aveva più toccato. «L’ho cotta troppo» le sfuggì, come le era già sfuggito il sorriso.

Giulio rispose a bocca piena: «Se pol magnar, no sta´a preocuparte». Poi finì quello che aveva nel piatto senza dire molto, buttò giù l’ultimo sorso e si stirò: braccio sinistro alzato e pugno chiuso, che sembrava un comunista.  

«Hai già sonno?» chiese Anna, piagnucolosa come la piccola fiammiferaia scalza. Si morse la lingua: le era scappato un tono che suo marito non poteva soffrire. Però ebbe l’impressione che lui non ci facesse caso.

Giulio strascicò poche parole: «So´ straco Anaa, doman se lavora». Poi, arricciò la faccia in uno sbadiglio. Lei fece una smorfia triste e, una dopo l’altra, soffocò la fiamma delle candele, così stizzita da non sentirne il bruciore. «Allora vai a dormire


» mormorò, desolata come la fiammiferaia quando l'ultimo fiammifero si spegne.

Ines Fabbro

ex dirigente in università pubbliche

3 anni

@sono onorata che tu lo dica. 🙏

Ines Fabbro

ex dirigente in università pubbliche

3 anni

Sempre belli i tuoi squarci sulla vita. Non credo sia cambiato molto dagli anni '60 in certe case. L'invisibilità di molte donne permane. Anna fa tenerezza.

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