Capelvenere
Arrivo a Napoli la sera prima di partire per Berlino.
Sono quattro anni che non prendo un aereo.
Il mio autoconfinamento nell'Antica Grande Lucania scricchiola, penso.
Vado a mangiare qualcosa. C’è molta folla.
E’ bellissimo il frastuono delle parole intorno.
Non se ne staglia una sopra le altre. Stanno tutte nel groviglio della moltitudine.
Vivo nel silenzio dei boschi e del mare. Faccio bagni e cammini alla controra, controtempo. Vivo fra cale e serre, plaje e tratturi.
Luoghi senza più gente. Senza abitanti.
La Lucania è fra le terzine delle terre più disabitate d'Italia.
Vivo nel suo vuoto. Nel niente di voci e nel nulla dei passi, ma quando sento i miei fratelli intorno amo la loro voce, il loro chiasso. Lo respiro. Lo accolgo.
Mi protegge, quasi.
Nel frastuono si avvicina intanto un cantastorie con la chitarra. Fa le serenate, le dediche ai tavoli delle coppie. Mi vede. Sono solo. Mi fa intendere con pochi gesti che non importa, che mi farà lo stesso una serenata, che non vuole soldi.
Inizia e chiude il pezzo con un ritornello: "…e pe’ champagne ce sta' l’acqua e mare, e pe’ champagne ce sta' l’acqua e mare".
Sono le 22:08 del 2 ottobre 2023.
Nel frastuono e nel canto, la terra trema. Sentiamo tutti nitidi il movimento. E’ un solo breve istante. Fra i tavoli passa la paura napoletana. Il silenzio dura pochi secondi. La paura napoletana si mette a cantare più forte. Più intensamente.
Fra il silenzio, il tremolio e il chiasso di ritorno, vedo la vita, la fede, la morte, il canto degli uomini adagiati su una crosta che potrebbe liberarsi di loro da un momento all’altro. E in due battiti di ciglia potrebbe stappare "o champagne comme l'acqua e mare".
I Campli Flegrei ballano da giorni.
Scrivo tutto questo mentre sono seduto e vedo dall’ala sinistra dell'aereo sparire il Golfo e Capri laggiù. Sono quattro anni che non prendo un aereo.
Domani sera al Klick di Berlino aprirò il reading di Lucus, il libro che ho scritto nel confino lucano e parlerò della Riforestazione Umana d'Appennino.
Non avrei mai immaginato che un libro scritto nella più profonda solitudine e con la voce del bambino pastore di capre sarebbe stata causa di questo volo.
Vedo ancora Napoli laggiù.
E’ davvero un cratere di mare.
Una cala di zolfo e magma che vive nell’eterno sentore di una dipartita.
E canta, canta, canta la mia città, la mia madre tellurica a sud, mia caduca madre.
Canta e scrive e balla e ride e crea, inventa, da sempre.
E bestemmia e prega, a modo suo.
E cosa dovrebbe fare di più?
Napoli sparisce dalla vista.
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Chiudo gli occhi e il taccuino.
Non amo volare. Amo camminare a piedi. Chiudo gli occhi.
Rivedo mia madre.
Chiudo gli occhi e me ne vado fra le stelle, fra i rami dei pioppi, sopra al ciglio dei tratturi raffermi, come il pane, le serre, le ische, le conche, i pianori assenti di cammino.
Mia madre la vedo.
Mia madre che torna con ciuffi di capelvenere in mano.
La vedo bene. Posso quasi toccarla.
Un trionfo di bianco in mezzo ad un tramonto d’arancio.
Siedo sul gelso. Lei non mi vede.
Da qui pare una bambina frettolosa di mostrare i fiori a sua madre.
La spio a dovere da quassù.
I capelvenere le coprono il viso poiché li alza ad ogni passo per rimirarli.
Fanno il gioco delle stelle di Natale.
Le filande in fiamme fra le mani dei bambini.
Innocue luci dell’infanzia.
Lucciole incendiate dal brillare gentile delle notti della vita prima.
La vita prima che finisca nel giorni dei mestieri, quando può ancora essere qualsiasi cosa. Qualsiasi cosa.
Eccola mia madre coi capelvenere che gioisce nel tempo.
Stanca nelle mani, nei polsi.
Attenta a proteggere quel mondo tutto suo, quel bouquet bianco di bambina contadina che il vento le soffia fra le mani.
Occhi azzurrini nel canto della mia vita di partenze.
Mia madre laggiù nel quadro degli anni e io seduto sul gelso porpora che mi insanguina le ginocchia e mi fa rivivere senza una strada da prendere e mi fa planare e planare.
Scrivo a mente, senza più pensare.
Resto a guardare mia madre.
Resto a contemplarla ancora nel chiuso degli occhi di questo istante mentre se ne va con i capelvenere in mano, mentre se ne andrà come ogni madre.
Come ogni madre bambina.
Riapro gli occhi.
L’aereo tocca Berlino.
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1 annoChe collage poetico di situazioni reali,di ricordi e di emozioni. Ora so anche che cosa è il capelvenere: dovevo andare fino a Berlino per scoprirlo in un chiosco asiaticodi una stazione della metropolitana.
► Trovo le PAROLE GIUSTE per farti vendere di più ● Scrittura Potente ● Comunicazione efficace --> narrazione | Vivo per raccontare
1 annoGrazie per la tua poesia Franc Arleo 🙏🏼❣️ la mia Anima Selvatica ti vede... 👁️ ti voglio bene sempre 💙
Store Manager, retail manager, visual manager
1 annoDa napoletana grazie assai