Che mondo sarebbe senza biodiversità?

Che mondo sarebbe senza biodiversità?

di Lucia Venturi , Direttrice Fondazione Bioparco di Roma

Che mondo sarebbe senza biodiversità? Un pianeta come tanti nell’immensa galassia della Via lattea. Ciò che infatti rende diverso il pianeta Terra è proprio la grande diversità di specie vegetali e animali che lo caratterizza, ma questa nostra peculiarità è messa gravemente a rischio proprio da una specie che lo abita: l’uomo, che sempre più dimostra di essere poco “Sapiens”.

 

A causa delle scelte che l’uomo ha fatto e continua a perpetrare, infatti, questa enorme biodiversità della terra è messa gravemente a rischio, con una perdita che nel corso degli ultimi decenni sta viaggiando in maniera esponenziale.

A livello globale, secondo l’ultimo rapporto IPBES46 presentato ad aprile 2023 a Roma, circa 1 milione di specie (un quarto di quelle conosciute) è a rischio di estinzione. Di queste, il 50% potrebbe estinguersi entro la fine del secolo; nel Mediterraneo, considerato il secondo più grande hotspot di biodiversità al mondo, la IUCN (International Union for Conservation of Nature) ha esaminato 6.000 specie in 34 stati del bacino, e almeno il 20% di queste è minacciato di estinzione.

Nello stesso rapporto si legge che il 9% di tutte le specie di mammiferi allevati per l’alimentazione o l’agricoltura sono ormai arrivate all’estinzione e rischiano di estinguersi il 25% delle specie animali e vegetali, il 40% degli anfibi, il 33% dei coralli e dei mammiferi marini e il 10% degli insetti. La biomassa dei mammiferi terrestri viventi si è impoverita ed è ormai rappresentata da esseri umani (36%) e animali domestici (58%) piuttosto che da animali selvatici (la cui biomassa è invece diminuita dell’82%). Infine, negli ultimi cento anni l’abbondanza media di specie autoctone nella maggior parte degli habitat terrestri si è ridotta del 20%.

 

Un quadro davvero preoccupante che dovrebbe indurre a provvedimenti immediati per invertire la rotta ed intervenire sui fattori responsabili della perdita di biodiversità e sulle cause che li hanno innescati.  Su scala globale, i principali fattori di perdita di biodiversità animale e vegetale sono la distruzione, la degradazione e la frammentazione degli habitat, a loro volta causate sia da calamità naturali che – soprattutto – da profondi cambiamenti del territorio condotti ad opera dell'uomo, a partire dai cambiamenti climatici, l’inquinamento, il sovrasfruttamento delle risorse naturali e l’immissione di specie aliene.

 

È sempre più evidente come crisi climatica e perdita di biodiversità siano fortemente correlati. A dicembre 2022, a Montreal, si è cercato di valutare queste interconnessioni in occasione della Conferenza delle Nazioni Unite sulla biodiversità. Qui i 196 membri dell’ONU hanno raggiunto un accordo e siglato un documento che pone 4 obiettivi e 23 target da raggiungere entro il 2030 per arrestare e invertire la perdita di biodiversità, il taglio di 500 miliardi di dollari annuali di sussidi governativi dannosi per la natura, il dimezzamento degli sprechi alimentari, la concessione di maggiori diritti alle comunità indigene per la tutela della natura. Inoltre si è posto l’obiettivo di ridurre l’utilizzo dei fertilizzanti, dell’inquinamento derivato dalla plastica e di rigenerare almeno il 30% degli ecosistemi degradati, con la mobilitazione di risorse pubbliche e private per almeno 200 miliardi l’anno entro il 2030. Ma il 2030 si sta avvicinando e ancora non vi sono molti segnali incoraggianti.

 

Cosa possiamo fare? Continuare a spingere affinché si abbiano gli strumenti adeguati per raggiungere questi obiettivi, mobilitando allo stesso tempo le coscienze perché il problema non sia lasciato solo agli addetti ai lavori, intervenendo così sui tanti fronti necessari, ognuno per la propria parte.

 

Anche gli Zoo, che nell’immaginario collettivo rappresentano ancora una “collezione di animali esotici”, hanno invece un ruolo importante per la conservazione della biodiversità, in particolare quella genetica, indispensabile per mantenere in vita specie che a causa dell’erosione degli habitat, dei cambiamenti climatici che portano a siccità ed alluvioni e del prelievo indiscriminato per vari usi, troppo spesso non legati alla sopravvivenza delle popolazioni indigene ma a scopo commerciale, rischiano l’estinzione. La pesca e la caccia eccessive possono infatti aggravare situazioni già a rischio per la degradazione degli habitat. Le specie più minacciate in questo senso sono, oltre quelle la cui carne è commestibile (tipicamente la selvaggina e il pesce, ma in Africa e Asia anche scimmie e scimpanzé), anche quelle la cui pelle e le cui corna, tessuti e organi hanno un alto valore commerciale (tigri, elefanti, rinoceronti, balene, ecc.).

 

Al Bioparco di Roma, dove da qualche mese ho assunto il ruolo di Direttrice, sono molte le specie presenti a rischio di estinzione inserite nella Red List della IUCN. L’impegno sta nella partecipazione attiva a progetti di conservazione nazionali e internazionali sia ex-situ sia in-situ all’interno dell’European Association of Zoos and Aquaria (EAZA) di cui la struttura fa parte.

La conservazione in-situ è finalizzata alla tutela delle specie nel loro habitat naturale e include attività che spaziano dalla protezione di interi ecosistemi, all’educazione, alla formazione e all’addestramento della popolazione locale (ad esempio in attività anti-bracconaggio) fino alla ricerca scientifica per la raccolta di dati utili alla pianificazione delle azioni da mettere in campo. 

Il Bioparco sostiene economicamente diversi progetti di conservazione in natura contribuendo in modo sostanziale alla tutela di specie e habitat minacciati in diverse aree geografiche del pianeta: ad esempio Save the Rhino International e il Komodo Survival Program.

La conservazione ex-situ si basa sull’applicazione di programmi di gestione in cattività delle specie a rischio di estinzione fra cui l’EEP (Eaza Ex situ Programme), attraverso la cooperazione tra le strutture zoologiche e ha tra gli obiettivi l’educazione e la sensibilizzazione, la  raccolta di fondi da destinare a progetti di conservazione in natura, e l’attuazione di progetti di ricerca scientifica. Il Bioparco coordina il progetto per il Lichi del Nilo, un’antilope africana particolarmente minacciata di estinzione.

Uno degli aspetti fondamentali della conservazione ex-situ e dei programmi EEP è la riproduzione in cattività di specie minacciate di estinzione, che si svolge secondo precisi standard per evitare accoppiamenti fra consanguinei al fine di mantenere uno stock di animali per eventuali progetti di rilascio in natura.

È il caso della Zebra di Grevy o delle Tigri di Sumatra, solo per fare un esempio, che si sono recentemente riprodotte in cattività e che rappresentano specie ormai sull’orlo di estinzione in natura.

 

Con lo stesso obiettivo sono stati realizzati altri programmi di conservazione ex situ, che hanno già ottenuto l’obiettivo del rilascio in natura, una volta che le minacce presenti nel loro habitat sono state rimosse e dove il ruolo del Bioparco è stato quello di garantire la riproduzione in ambiente protetto: è il caso dell’Euprotto sardo (Europroctus platycephalus) un piccolo tritone endemico della Sardegna, particolarmente minacciato di estinzione. Un altro progetto di conservazione ex situ in corso è quello che riguarda la Lucertola delle Eolie (Podarcis Raffonei), tra i vertebrati più minacciati di estinzione del territorio italiano e sicuramente il primo tra i rettili, inclusa tra le specie criticamente minacciate nella Lista Rossa dell’IUCN. Si tratta di una specie endemica esclusiva delle Isole Eolie attualmente presente in sole quattro stazioni geograficamente isolate tra loro.

Un contributo importante, anche se certo non sufficiente, per la conservazione delle specie e per la salvaguardia della biodiversità, che dimostra che anche gli Zoo possono fare la loro parte.

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