Come il marketing inventò il rosa
I colori condizionano la percezione dei prodotti, dei marchi e delle persone, è assodato
Nell'universo del marketing il colore rappresenta uno strumento primario per presentare come alla moda i prodotti oppure differenziarli (o anche renderli obsoleti).
In tutti i comparti di mercato, dalle automobili all’abbigliamento, ai prodotti di largo consumo, etc… il colore rappresenta il codice più appariscente per (di)mostrare la novità e la diversità.
Esiste poi un ambito in cui il colore ha rivoluzionato completamente la scelta dei prodotti da indossare e utilizzare: quello della differenza di genere che oggi ha inizio a partire dal concepimento, molto tempo prima della nascita.
Solo quando il sesso del nascituro è conosciuto si possono infatti programmare i primi regalucci, rigorosamente blu per i maschietti, e rosa per le femminucce.
Colori, per così dire, “predestinati”.
Ma da quando questi colori sono stati selezionatiti per indicare il genere, dal momento che né la psicologia, né la biologia hanno mai supportato la tesi della diversificazione?
Chiaro come il sole: è tutta colpa del marketing, come ci informa la scrittrice Jo Paoletti, nel suo “Pink and Blue”.
Dall’alba dei tempi i bambini e le bambine sono stati vestiti con gli stessi abiti e lo stesso colore, ed infatti i bambini, anche per praticità, indossavano la gonna.
Solo successivamente, una volta cresciuti, i bambini portavano i pantaloni corti e col passaggio alla pubertà, quelli lunghi.
Fino alla fine dell’800 il colore dell'abbigliamento era indistintamente dal genere il bianco, sia perché più facile lavare, bollire e sterilizzare sia perché era più economica la loro gestione privi della distinzione maschio-femmina.
All’inizio del 1900 il colore per i maschi fu (oggi diremmo paradossalmente) definito quello rosa, mentre quello per le femmine il blu (che nell’Europa cattolica era associato alla Vergine Maria).
Durò poco. Negli anni '20 prese forma un “cartello” per la promozione dei prodotti all’insegna del marketing ed i negozi statunitensi cominciarono a suggerire l’inversione dei colori, rosa per le femmine, blu per i maschietti.
Siamo ancora all’inizio.
Un’ulteriore spinta all’associazione del colore rosa con la femminilità, già nel periodo della formazione dell’identità e dell’immagine del se nell’infanzia, iniziò con la diffusione della bambola Barbie prevalentemente vestita di rosa.
Anche la produzione di prodotti di largo consumo e di articoli semidurevoli colorati contribuì ad approfondire la diversità nell’utilizzo dei colori dell’arcobaleno nella targetizzazione dei beni.
A partire dagli anni '80, con l'esaurimento dei movimenti della contestazione (hippie, femminismo …) che rifiutavano i ruoli legati al genere, i colori di riferimento, rosa per le femmine e blu per i maschi, si stabilizzarono.
Questo espediente di marketing riuscì ad aumentare le vendite dei prodotti per l’infanzia non solo perché non consentiva lo scambio di vestiti nel caso di nascite incrociate ma di innalzare il prezzo dei prodotti destinati al target femminile adulto, come abbiamo già scritto nel nostro articolo “la tassa rosa”
Buon 8 marzo a tutte le donne!
Assistant Store Manager Patrizia Pepe
4 anniChe bello Antonello Oriente!
Fondatore presso ASKING
4 anniMolto interessante. Il colore è il primo inprint linguistico. Ed ogni colore, ogni nuance, possiede un carattere psicologico particolare. Il rosa è un colore timido che suggerisce l’immagine materiale della femminilità e dell’affezione, la dolcezza romantica e l'intimità. Nell'abbigliamento infantile è riservato alle femmine. Ma negli adulti può essere indossato con successo anche dagli uomini che lo sanno gestire con eleganza.
Marketing Research & Management Advisor Brand Food Territorial
4 annie che le donne... lo sapessero! Complimenti all'illustre Vincenzo Freni