CONCORSO IN MAGISTRATURA 2019: LA SOLUZIONE DELLA TRACCIA ESTRATTA DI DIRITTO PENALE.

Uno dei possibili svolgimenti sulla responsabilità penale dell'incaricato alla riscossione del credito altrui con l'utilizzo di violenza e/o minaccia.

La responsabilità penale dell’incaricato alla riscossione del credito altrui con l’utilizzo di violenza o minaccia si potrebbe astrattamente inquadrare nell’ambito della fattispecie di cui all’art. 393 c.p. o di quella all’art. 629 c.p.

Prima di analizzare la tematica del concorso di persone, è necessario esaminare il rapporto tra le fattispecie di cui agli artt. 393 e 629 c.p. per inquadrare la responsabilità penale dell’incaricato alla riscossione di credito altrui. 

L’art. 393 c.p. configura un delitto di condotta a dolo specifico che punisce chi con violenza o minaccia sulle persone esercita un proprio diritto invece di ricorrere all’autorità giudiziaria. Trattasi di un reato plurioffensivo, poiché tutela come bene giuridico oltre che l’amministrazione della giustizia anche la libertà morale. Inoltre, nonostante l’utilizzo del termine “chiunque”, si configura un reato proprio poiché presuppone la titolarità del diritto vantato. Invero, tale fattispecie incriminatrice deriva dal generale principio di divieto di autotutela privata.

L’art. 392 c.p. presenta gli stessi elementi strutturali del 393 c.p. ma si differenzia, poiché in questo caso l’agente utilizza la violenza o la minaccia sulle cose per il soddisfacimento del proprio diritto.

È opportuno precisare che per la configurazione dei delitti di esercizio arbitrario delle proprie ragioni ex artt. 392 e 393 c.p. è sufficiente che il diritto vantato sia putativo[1] purché l’erronea supposizione sia avvalorata da elementi fattuali che facciano presupporre verosimile la pretesa dell’agente.

Viceversa, il delitto di estorsione ex art. 629 c.p. integra un reato comune di evento a dolo generico che punisce chiunque mediante violenza o minaccia costringe qualcuno a fare o ad omettere qualcosa per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno. Trattasi anche in questo caso, di un reato plurioffensivo che tutela come bene giuridico oltre che il patrimonio anche la libertà morale.

Il rapporto tra le fattispecie in esame è da sempre oggetto di dibattito in dottrina e in giurisprudenza. Infatti, nel caso in cui un soggetto si faccia giustizia da sé potrebbe configurarsi l’estorsione ex art. 629 c.p. oppure l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone ex art. 393 c.p. proprio perché le fattispecie in esame presentano l’elemento comune del ricorso alla violenza e alla minaccia. Infatti, la materialità del fatto può essere identica in queste due fattispecie.

La tesi prevalente in giurisprudenza[2] ritiene che l’elemento distintivo tra la fattispecie di cui all’art. 393 c.p. e quella di cui all’art. 629 c.p. sia l’elemento soggettivo poiché è la pretesa vantata dall’agente che distingue le norme in esame. Infatti, non è apparsa convincente la tesi[3] che sosteneva che viceversa l’elemento distintivo fosse l’utilizzo sproporzionata della violenza o della minaccia.

Infatti, analizzando attentamente le norme incriminatrici, si rileva che entrambe prevedono la circostanza aggravante dell’utilizzo delle armi[4]. Pertanto, anche il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia può essere caratterizzato dall’esercizio sproporzionato di violenza o minaccia.

Inoltre, esaminando le norme si deduce che non può configurarsi un concorso apparente di norme poiché si realizza una specialità reciproca per aggiunta. Come è noto il concorso apparente di norme si configura quando più norme appaiono prima facie applicabili al caso concreto, ma solo una di essi è applicabile. Il concorso apparente di norme è regolato dall’art. 15 c.p. che prevede l’applicazione della norma speciale quando più norme regolano la medesima materia. Per quando riguarda il concetto di medesima materia, si ritiene che si tratti del medesimo fatto in astratto regolato dalle norme e non del medesimo fatto in concreto. Infatti, inizialmente sia la dottrina che la giurisprudenza[5] sostenevano che il concetto di medesima materia andasse inteso come “stesso bene giuridico”, ma tale assunto non convinceva più di tanto essendo palese che molteplici norme che tutelano il medesimo bene giuridico non sono in rapporto di specialità. Successivamente, si è giunti alla teoria del medesimo fatto in concreto, ma tale interpretazione porterebbe ad applicazioni alquanto arbitrarie, non essendo univoco il criterio di applicazione. Pertanto, la teoria prevalente[6] sostiene che il concetto di medesima materia vada declinato come “medesimo fatto in astratto”, analizzando il fatto giuridico descritto dalle norme.

Inoltre, per quando riguarda il concetto di specialità, la teoria prevalente ritiene che due fattispecie siano in rapporto di specialità quando si configura la specialità unilaterale per specificazione e per aggiunta. La specialità per specificazione si configura quando la norma speciale contiene rispetto alla norma generale un elemento di specificazione, viceversa la specialità per aggiunta si realizza quando la norma speciale contiene un elemento aggiuntivo rispetto alla norma generale.

Invero, la teoria prevalente ritiene che non si possa configurare un concorso di norme quando sussista un rapporto di specialità reciproca. Inoltre, la giurisprudenza prevalente[7] ritiene applicabile unicamente come criteri validi, quello previsto dall’art. 15 c.p. e le ipotesi di sussidiarietà esplicita. Invero, la teoria di sussidiarietà che prevede che più norme incriminino gradi crescenti di offesa, caratterizzata dalla presenza delle cosiddette clausole di sussidiarietà come ad esempio “salvo che il fatto costituisca più grave reato”, secondo parte della dottrina può essere estesa anche ai casi non espressamente previsti dal legislatore. Inoltre, è stata elaborata anche la teoria della consunzione che ritiene che in molti casi la commissione di un reato comporti anche la commissione di reati minori. Infatti, da questa teoria sono derivati i concetti di antefatto e postfatto non punibili.

La teoria della consunzione e della sussidiarietà implicita non sono state avvalorate dalla giurisprudenza prevalente, poiché tali criteri non essendo espressamente previsti dal legislatore porterebbero ad applicazioni arbitrarie e inique, essendo tali interpretazioni non ancorate a criteri precisi e predeterminati. Pertanto, l’unico criterio da utilizzare è quello espressamente previsto dall’art. 15 c.p., ossia quello di specialità, fatte salve le ipotesi di sussidiarietà disciplinate dal legislatore nelle varie fattispecie di parte speciale.

Tornando alle fattispecie in esame, si deve evidenziare che l’art. 393 c.p. presenta rispetto all’art. 629 c.p. la pretesa di far valere un proprio diritto con violenza e minaccia invece di ricorrere all’autorità giudiziaria. In altri termini, nella fattispecie di cui all’art. 393 c.p. l’agente utilizza la minaccia o la violenza su una persona per ottenere il soddisfacimento del proprio diritto. Viceversa, nel delitto di estorsione ex art. 629 c.p. l’agente utilizza la violenza e la minaccia per ricavare un ingiusto profitto con altrui danno. Infatti, nel delitto di estorsione l’agente agisce per ricavare un profitto illegittimo, mentre al contrario nella fattispecie di cui all’art. 393 c.p. l’esercizio del diritto è astrattamente giusto, ma l’agente invece di ricorrere al giudice utilizza modalità criminose per ottenere il soddisfacimento del proprio diritto. Pertanto, essendo in rapporto di specialità reciproca per aggiunta, l’applicazione di una fattispecie esclude l’altra.

Ebbene, come è stato evidenziato dalla giurisprudenza prevalente, l’elemento che distingue la fattispecie di cui all’art. 393 c.p. da quella ex art. 629 c.p. è l’elemento soggettivo, di conseguenza l’ipotesi dell’incaricato alla riscossione di credito altrui che utilizza violenza o minaccia dovrebbe essere inquadrata nel delitto di estorsione ex art. 629 c.p., mancando in questo caso la titolarità del diritto vantato.

Venendo al concorso di persone, bisogna inquadrare l’ipotesi in cui sussista il concorso morale tra il titolare del diritto e l’incaricato alla riscossione del credito, ossia quando il mandante dia l’incarico al terzo di riscuotere il credito mediante violenza o minaccia.

Come è noto il concorso di persone nel reato è disciplinato dall’art. 110 c.p., fattispecie di parte generale che estende la punibilità ai contributi atipici nella realizzazione della fattispecie incriminatrice di parte speciale, prevedendo che tutti i concorrenti del reato soggiacciano alla stessa pena senza distinzione per i vari ruoli ricoperti nella realizzazione del fatto criminoso, salvo l’applicazione di circostanze aggravanti o attenuanti.

Inoltre, per l’applicazione dell’art. 110 c.p. è necessario che sussista il dolo di concorso, ossia la coscienza e la volontà da parte del concorrente che il proprio contributo si innesti insieme a quello degli altri concorrenti alla commissione del fatto criminoso.

In aggiunta a ciò, si deve ricordare la regola di cui all’art. 117 c.p. che prevede il mutamento del titolo di reato quando il concorrente concorre alla realizzazione del reato proprio anche se non era a conoscenza della qualità ricoperta dall’intraneus. Infatti, si ritiene che l’art. 117 c.p. integri un’ipotesi di responsabilità oggettiva, non essendo necessario, infatti, che il concorrente extraneus abbia la consapevolezza della qualifica ricoperta dall’agente intraneus.

Tale assunto deriva dal confronto con l’art. 1081 codice della navigazione[8] che prevede espressamente che il concorrente nel reato sia a conoscenza della qualifica dell’intraneus. Non essendo previsto tale requisito nell’art. 117 c.p. si sostiene di conseguenza che il mutamento del titolo del reato si applichi a prescindere dalla conoscenza della qualifica da parte dell’extraneus.

Secondo la teoria prevalente[9], l’art. 117 c.p. si applica solamente ai reati propri semi esclusivi, ossia quelli che in mancanza della qualifica dell’agente integrano un altro reato. Per fare un esempio di reato proprio semi esclusivo, si può ricordare l’appropriazione indebita ex art. 646 c.p. e il peculato ex. 314 c.p. Ebbene, non rientrerebbero nell’applicazione dell’art. 117 c.p. i reati propri esclusivi, ossia quelli che in mancanza della qualifica non costituiscono nessun reato.

Secondo un’autorevole dottrina[10], i reati propri esclusivi sono quelli in cui la qualifica determina l’offensività del reato, essendo un elemento del fatto tipico. Di conseguenza, i reati propri esclusivi sono di mano propria poiché per la loro natura non possono essere commessi da un’altra persona che non ricopre la qualifica.

Secondo l’orientamento prevalente, il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni si qualifica come un reato esclusivo di mano propria, essendo la titolarità del diritto vantato l’elemento distintivo con il delitto di estorsione ex art. 629 c.p.

Pertanto, nell’ipotesi in cui vi sia un concorso morale tra il titolare del credito e l’incaricato alla riscossione si potrebbe configurare un concorso dell’extraneus nella fattispecie di cui all’art. 393 c.p. solamente se la condotta è realizzata anche dal titolare del credito. In tale caso non si potrebbe applicare l’art. 117 c.p. che si riferisce unicamente ai reati propri semi esclusivi, ma l’art. 110 c.p. e di conseguenza l’extraneus deve essere a conoscenza della qualifica posseduta dall’intraneus. Viceversa, nel caso in cui la condotta sia attuata esclusivamente dall’incaricato alla riscossione su incarico del mandante, questo risponderà di estorsione ex art. 629 c.p. non potendosi configurare un concorso nella fattispecie di cui all’art. 393 c.p. essendo un reato proprio esclusivo di mano propria.

Concludendo, la responsabilità penale dell’incaricato alla riscossione altrui si dovrebbe inquadrare nel delitto di estorsione ex art. 629 c.p., se quest’ultimo abbia agito esclusivamente da solo. Viceversa, nel caso sussista un concorso morale tra il titolare del credito e l’incaricato alla riscossione, si potrebbe configurare il concorso nella fattispecie di cui all’art. 393 c.p. se la condotta è posta in essere anche dall’intraneus.

Infine, si deve precisare che secondo un recente orientamento della giurisprudenza in tema di autoriciclaggio[11], nei reati a soggettività ristretta non si può configurare un concorso dell’extraneus anche quando la condotta è stata realizzata in parte dall’intraneus poiché in questi reati vi è stata una differenziazione del titolo del reato in base alla condotta realizzata come ad esempio è avvenuto nei reati di evasione ex art. 385 c.p. e di procurata evasione ex art. 386 c.p. Pertanto, anche nel caso in cui l’intraneus abbia partecipato alla realizzazione della condotta, l’extraneus non potrà rispondere di concorso nel reato proprio. Di conseguenza, seguendo questa tesi e ritenendo la fattispecie ex art. 393 c.p. un reato a soggettività ristretta, l’incaricato alla riscossione del credito altrui risponderà di estorsione ex art. 629 c.p. anche quando il mandante abbia realizzato una parte della condotta.

Tuttavia, tale soluzione non è proprio aderente alla disciplina ex art. 110 c.p. che prevede che quando più persone concorrono nel medesimo reato soggiacciano alla pena da questo stabilito. Infatti, il termine medesimo reato viene inteso nel senso che ai concorrenti deve essere ascritta la stessa fattispecie criminosa. Invero, secondo la teoria plurisoggettiva eventuale, per la quale la combinazione dell’art. 110 c.p. con la fattispecie di parte speciale creerebbe una fattispecie autonoma e diversa da quella monosoggettiva di parte speciale, sarebbe irrilevante ai fini del concorso dell’extraneus nel reato proprio il ruolo dell’intraneus nell’esecuzione della fattispecie.

Pertanto, nell’ipotesi in esame, essendoci un accordo tra il mandante e l’incaricato alla riscossione, non sarebbe rilevante il ruolo ricoperto da questi soggetti, ma rileverebbe piuttosto l’interesse perseguito dall’incaricato. Infatti, secondo un’altra interpretazione seppure minoritaria in giurisprudenza[12], si potrebbe configurare il concorso dell’incaricato alla riscossione nell’art. 393 c.p. quando si dimostri che quest’ultimo abbia agito per esercitare un preteso diritto, essendo la riscossione un atto realizzato per conto e in favore del creditore. Viceversa, quando l’incaricato agisce per il perseguimento di un proprio interesse risponderà di estorsione ex art. 629 c.p.

Note e riferimenti bibliografici

[1] Vedi Fiandaca Musco Diritto Penale Parte Speciale Volume I Zanichelli 2012

[2] Vedi Cass. 10 novembre 2016 n. 52525; CONF. Cass. 6 maggio 2014 n. 33870; Cass. sez. II, 25 settembre 2014 n. 42940; Cass. sez. II 25 giugno 2014 n. 31224; Cass. sez. II 4 dicembre 2013 n. 51433

[3] Vedi Cass. 18 dicembre 2015 n. 1921; CONF. Cass. 12 novembre 2015 n. 50150

[4] Vedi Cass. 28 giugno 2016 n. 46288 “Ai fini della distinzione tra il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza e minaccia alle persone e quello di estorsione, mentre non può assumere decisivo rilievo (salva la sua eventuale valorizzazione sotto il mero profilo indiziario, come possibile indice sintomatico del dolo di estorsione), la particolare intensità o gravità della violenza o della minaccia, attesa la possibilità prevista come aggravante dal secondo comma dell’art. 393 c.p. che anche nell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni la violenza o la minaccia siano poste in essere con l’uso delle armi, quale che sia la loro natura, assume invece rilevanza: a) quanto al soggetto attivo, che la condotta sia o meno posta in essere personalmente da chi vanti un preteso diritto nei confronti della persona offesa, dovendosi in caso negativo ritenere sempre sussistente in capo all’agente il reato di estorsione salva tuttavia la possibilità del concorso (materiale o morale) dell’extraneus nel reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, quando all’azione partecipi personalmente anche il titolare del preteso diritto; b) quanto all’elemento psicologico, che l’agente abbia di mira solo ed esclusivamente la realizzazione di una pretesa che ragionevolmente (ancorché, in ipotesi, infondatamente) abbia ritenuto legittima e che, come tale, potesse formare oggetto di azione giudiziaria, dovendosi quindi ravvisare il dolo di estorsione ogni qualvolta la prestazione richiesta alla persona offesa presenti un quid pluris rispetto a quella che sarebbe stata giudizialmente azionabile.”

[5] Vedi Cass. 11 aprile 2000 n. 2743, CONF. Sez. Un. 21 aprile 1995 n. 9568; Cass. 21 gennaio 1982

[6] Vedi Sez. Un. 9 gennaio 2001 n. 23427

[7] Vedi Sez. Un. 23 febbraio 2017, n. 20664

[8] Art. 1081 c.n. “Fuori del caso regolato nell'articolo 117 del codice penale, quando per l'esistenza di un reato previsto dal presente codice è richiesta una particolare qualità personale, coloro che, senza rivestire tale qualità, sono concorsi nel reato, ne rispondono se hanno avuto conoscenza della qualità personale inerente al colpevole. Tuttavia, il giudice può diminuire la pena rispetto a coloro per i quali non sussiste la predetta qualità.”

[9] Mantovani, Diritto Penale CEDAM 2017

[10] Mantovani, Diritto Penale CEDAM 2017

[11] Vedi Cass. Sez. II, sent. 17 gennaio 2018 (dep. 18 aprile 2018) n. 17235

[12] Cass. 17 febbraio 2016 n. 11453 “Ogni volta che l’azione violenta volta alla riscossione del credito sia posta in essere dal terzo dovrà dunque essere verificato se questi sia portatore di un proprio interesse, diverso ed ulteriore rispetto a quello vantato dal titolare del diritto, potendosi configurare un eventuale concorso nel reato di cui all’art. 393 cod. pen. solo ove tale interesse esclusivo del terzo risulti assente.”

Articolo pubblicato in Cammino Diritto, 7 2019 https://www.camminodiritto.it/articolosingolo.asp?indexpage=4074


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