Coniuge divorziato e diritto all’assegno di reversibilità

di Federico Putaturo

Il principio di diritto

La Cassazione con ordinanza n. 11129 del 2019 ha affermato che, affinché al coniuge divorziato sia riconosciuta la pensione di reversibilità o una quota di essa in caso di concorso con altro coniuge superstite, occorre che il richiedente, al momento della morte dell'ex coniuge, risulti titolare di assegno di divorzio, giudizialmente riconosciuto dal Tribunale con una sentenza che abbia pronunciato lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio.

 La fattispecie dedotta in giudizio

La ricorrente rivendica il pagamento dell’assegno di reversibilità a seguito del decesso del coniuge divorziato, sul presupposto della titolarità dell'assegno di mantenimento come stabilito in sede di separazione giudiziale prima e della sua ipotizzata conferma da parte della sentenza di dichiarazione di cessazione degli effetti civili del matrimonio intervenuta successivamente.

La domanda è respinta sia dal Tribunale che dalla Corte di Appello con argomentazioni diverse, centrate sia sulla impossibilità per l’assegno di mantenimento di rivivere una volta dichiarata la cessazione degli effetti del matrimonio, sia in ogni caso sulla mancanza di titolarità di un assegno di divorzio, individuata come presupposto del diritto vantato ai sensi della richiamata l. n. 898 del 1970, art. 5, come modificato dal l. n. 74 del 1987, art. 9, commi 2 e 3, e l. n. 263 del 2005.

Le argomentazioni in diritto

La Corte di Cassazione, nel rigettare le doglianze di parte attorea si pone in linea di continuità con quanto già asseverato in passato, nel senso che il coniuge rispetto al quale sia stata pronunciata la sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio e che non sia passato a nuove nozze, può vantare il diritto, in caso di morte dell'ex coniuge, all'attribuzione della pensione di reversibilità o di una quota di questa, per l'ipotesi che esista un coniuge superstite avente i requisiti per goderne e con il quale debba concorrere, subordinatamente alla presenza della condizione, espressamente posta dalla norma, che l'istante sia titolare dell'assegno di divorzio (Cass. n. 12149/2005; Cass. n. 5422/2006).

Occorre cioè, ad avviso della Corte, che il richiedente, al momento della morte dell'ex coniuge, risulti titolare di assegno di divorzio che sia stato giudizialmente riconosciuto dal Tribunale, dietro proposizione della relativa domanda e nel concorso dei relativi presupposti (mancanza di mezzi adeguati o impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive), attraverso la sentenza che abbia pronunciato lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio ovvero attraverso la successiva sentenza emessa in sede di revisione, non essendo sufficiente che detto richiedente versi nelle condizioni per ottenere l'assegno in parola e neppure che, in via di fatto o anche per effetto di private convenzioni intercorse tra le parti, abbia ricevuto regolari erogazioni economiche dal de cuius quando questi era in vita (ex multis Cass. n. 15242/2010).

Trattasi in ogni caso di una interpretazione autentica del quadro normativo di riferimento rispetto alla quale è da escludere che possano trovare ingresso i dubbi di legittimità costituzionale (onde la relativa questione è da ritenere manifestamente infondata) sollevati dalla ricorrente con riferimento al parametro costituito dall’art. 24 Cost., e dal principio di effettività della tutela giurisdizionale che esso esprime, in relazione al fatto che l'ex coniuge non titolare di assegno al momento del decesso del pensionato diretto si vedrebbe imposto un limite temporale irrazionale ed ingiustificato alla tutela del diritto.

In particolare, secondo i Giudici di legittimità, la questione prospettata non considera che il diritto alla reversibilità non si confonde con quello all'assegno di divorzio ma tra i due diritti vi è un nesso genetico e funzionale ed è questa la ragione per cui non può confondersi l'effettività della tutela relativa al diritto all'assegno divorzile con quella relativa alla reversibilità della pensione diretta dell'ex coniuge, come si desume dalla fisionomia del diritto del coniuge titolare di assegno di divorzio alla pensione di reversibilità delineata sia dalla giurisprudenza costituzionale che da quella di legittimità.

Il tutto nella consapevolezza che, tenuto conto della funzione solidaristica realizzata dalla pensione di reversibilità (Corte cost. n. 419/1999), il suo riconoscimento postula una la titolarità attuale e concretamente fruibile dell'assegno periodico divorzile al momento della morte dell'ex coniuge e non già una titolarità astratta del diritto all'assegno divorzile già definitivamente soddisfatto con la corresponsione in unica soluzione, difettando in questo ultimo caso il requisito funzionale del trattamento di reversibilità, che è dato dal medesimo presupposto solidaristico dell'assegno periodico di divorzio, finalizzato alla continuazione del sostegno economico in favore dell'ex coniuge, mentre nel caso in cui sia stato corrisposto l'assegno "una tantum" non esiste una situazione di contribuzione economica che viene a mancare (Cass. SU n. 22434/2018). 

Mi pare che la sentenza si adegui alla giurisprudenza maggioritaria.

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