Contratto di agenzia: profili operativi tra diritto nazionale ed europeo

Contratto di agenzia: profili operativi tra diritto nazionale ed europeo

Quali sono i requisiti essenziali del contratto di agenzia?

In che modo, negli anni, la legislazione comunitaria ha consentito a quella italiana di evolversi?

Qual è stato il contributo della giurisprudenza interna ed europea?

(Il presente articolo è stato pubblicato sul portale di informazione giuridica Diritto&Diritti ed è consultabile al seguente link)

L’intensificarsi di rapporti e scambi tra gli operatori economici dei diversi stati europei ha indotto il legislatore comunitario a compiere interventi miranti ad eliminare le differenze tra i singoli sistemi nazionali e a conseguire accettabili livelli di omogeneizzazione. Le divergenze tra i vari ordinamenti non solo si traducevano in dubbi applicativi, ma potevano anche determinare squilibri nei rapporti tra le parti, con possibili ricadute negative sulla tenuta e prosecuzione delle relazioni economiche. Tali evenienze si ponevano in netto contrasto con gli obiettivi della legislazione contrattualistica europea, la quale ha sempre mirato, da un lato, a garantire l’efficienza degli scambi e, dall’altro, a garantire la protezione dei contraenti più deboli o, a equivalenza di posizioni, ad assicurare pari tutele e prerogative.

Anche la disciplina degli agenti di commercio è stata interessata da questo processo e significativi sono stati gli aggiustamenti operati dalla legislazione comunitaria.

L’emanazione della Direttiva 86/653, recante disposizioni di “coordinamento dei diritti degli Stati membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti”, si rese necessaria per esigenze di sistema e di uniformazione delle singole discipline nazionali. Le differenze tra ordinamenti influenzavano sensibilmente le condizioni di concorrenza e l’esercizio della professione, pregiudicando i livelli di protezione dell’agente nei rapporti col preponente, col contestuale rischio di compromettere la sicurezza delle stesse operazioni commerciali. Risultavano difficoltose anche le operazioni di stesura dei contratti di rappresentanza commerciale tra agenti e preponenti appartenenti a Paesi differenti, oltre che naturalmente il loro funzionamento. Anche in questo ambito si avvertiva la forte esigenza di creare una disciplina comune o quanto meno di avvicinare i sistemi dei singoli Stati ben al di là di quanto già non avvenisse in caso di applicazione delle regole sui conflitti tra norme, anche perché il costituendo mercato unico necessitava di norme omogenee.

Nelle pagine che seguono di cercherà di analizzare, da un punto di vista meno didascalico e più pragmatico, il processo di integrazione e armonizzazione che ha riguardato nel corso dei decenni la disciplina del rapporto di agenzia, e lo si farà attraverso ripetuti salti tra diritto interno e comunitario, indicando gli indirizzi principali della Corte di Cassazione e richiamando un recente arresto della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (Sent. 21.11.2018, Causa C-452/17) alla quale deve riconoscersi il merito di aver illustrato la ratio sottesa all’intervento normativo di cui alla Direttiva 86/653/CEE, nonché il merito di aver delineato i tratti costitutivi della figura professionale dell’agente di commercio nel diritto europeo.

LE DEFINIZIONI

La Direttiva 86/653 definisce “agente commerciale” il soggetto che, in qualità di intermediario indipendente, è incaricato in maniera permanente di trattare per conto di un’altra persona (il “preponente”) la vendita o l’acquisto di merci, o di trattare e concludere queste operazioni in nome e per conto del preponente. Il Codice Civile dà invece la definizione del rapporto di agenzia (il contratto mediante il quale “una parte assume stabilmente l’incarico di promuovere, per conto dell’altra, verso retribuzione, la conclusione di contratti in una zona determinata”).

Le definizioni sono quasi omologhe poiché la normativa interna (artt. 1742 e segg. c.c.) è stata significativamente modificata da interventi legislativi ispirati dalla Direttiva [[1]]. Già precedentemente la Corte di Cassazione aveva affermato che “il contratto di agenzia ha per oggetto il conferimento, a rischio dell’agente, di una attività economica autonomamente organizzata rivolta al conseguimento di un risultato di lavoro e vincolata al preponente da uno stabile rapporto di collaborazione; in ciò essenzialmente si differenzia dal contratto di lavoro, il quale ha all’oggetto la prestazione di una energia lavorativa in regime di subordinazione e nell’ambito di una organizzazione il cui rischio e risultato fanno capo esclusivamente al datore di lavoro”[[2]].

Il legislatore nazionale ha stabilito l’inconfigurabilità di un rapporto di agenzia nell’ipotesi in cui un soggetto agisca in qualità di organo di una società o di un’associazione, anche nell’ipotesi in cui egli abbia il potere di impegnare (vale a dire assumere obbligazioni per) gli stessi enti plurisoggettivi, o ancora nel caso di un socio legalmente abilitato ad impegnare altri soci, o infine nell’ipotesi di chi riveste il ruolo di amministratore giudiziario, liquidatore o curatore fallimentare.

FORMA DEL CONTRATTO, OGGETTO DEL RAPPORTO, MODALITA’ DI ADEMPIMENTO.

La forma scritta fu prevista dall’art. 2, co. 3, dell’Accordo Economico Collettivo del 18.1.1977, nonché dall’art. 2, co. 3, del successivo Accordo del 24.6.1981, entrambi relativi al rapporto di agenzia del settore commercio. Trattandosi di fonti negoziali, essa deve ritenersi prescritta “ad probationem”, atteso che l’obbligatorietà della forma scritta “ad substantiam” può essere prevista solo da fonti legislative. Ed infatti l’art. 1742, co. 2, c.c., modificato dal d. lgs. 10.9.1991, n. 303 in attuazione della Direttiva CEE n. 86/653, a norma del quale ciascuna parte ha il diritto di ottenere dall’altra una copia del contratto dalla stessa sottoscritto, prevede che il contratto di agenzia sia provato per iscritto [[3]].

Non soddisfa il requisito della scrittura la documentazione di natura varia (informazioni su trasformazioni o modifiche societarie, riepiloghi di pagamenti, provvigioni ed estratti conto, etc.) da cui non emerga lo scambio esplicito di un consenso negoziale [[4]]. In mancanza della forma scritta, è valida l’esecuzione volontaria del contratto, la sua conferma, la ricognizione volontaria. Si riconosce la possibilità di ricorrere alla confessione ed al giuramento, ma si esclude la possibilità della prova testimoniale, ad eccezione dell’ipotesi di dimostrazione della perdita incolpevole del documento, e della prova per presunzioni [[5]].

L’oggetto dell’incarico affidato all’agente con il contratto di agenzia è l’attività di “promozione diretta” di contratti nell’interesse del preponente. Questa attività implica il riconoscimento di diritti ed obblighi in capo ad entrambe le parti che, nella pratica, si sostanziano in incombenze di contenuto vario e non predeterminato. Nel nostro Codice, premessa l’applicabilità in ogni caso delle clausole generali contenute agli artt. 1175, 1337 e 1375 c.c., si rinvengono richiami alla buona fede sia per quel che concerne l’attività dell’agente (art. 1746 c.c.), sia per i doveri del preponente (art. 1749 c.c.).

La previsione dell’obbligo di condotta secondo lealtà e buona fede, espressamente contemplato nella Direttiva CEE 86/653, ha assunto nel nostro ordinamento un significato più profondo rispetto ai già citati obblighi di carattere generale perché consente al giudice di avere a disposizione un duttile strumento di valutazione del comportamento dei contraenti nella specifica tipologia contrattuale. Se da un lato l’art. 1746 c.c. disciplina gli obblighi dell’agente, gli artt. 1748 e 1749 c.c. regolano in modo particolare i suoi diritti e i corrispondenti obblighi cui è tenuto il preponente [[6]].

Con particolare riguardo al preponente, la legge esige prima di tutto un comportamento improntato a lealtà e buona fede, giuridicamente rientranti tra quelli che sono qualificati come “obblighi di protezione”, vale a dire come clausole generali a presidio dei rapporti obbligatori che impongono anzitutto la regola di correttezza. La stessa legge prevede poi una serie di attività specifiche che possono invece farsi rientrare nella categoria degli “obblighi di prestazione”. Mentre gli obblighi di protezione possono essere soltanto violati, i secondi attengono più specificamente all’azione di adempimento [[7]].

Secondo il dettato europeo l’agente deve tutelare gli interessi del preponente e agire con lealtà e buona fede: egli deve adoperarsi adeguatamente per trattare e concludere gli affari ai quali è incaricato, deve riportare al preponente tutte le informazioni necessarie di cui dispone, deve attenersi alle istruzioni (purché ragionevoli) impartite dal preponente.

L’obbligo ex lege non solo integra la prestazione principale, ma si articola oltre che in obblighi strumentali accessori e funzionali alla soddisfazione dell’interesse del creditore, anche in obblighi autonomi e reciproci rivolti a proteggere la sfera giuridica della controparte [[8]].

Come sancisce l’art. 1746 c.c., l’agente deve “adempiere l’incarico affidatogli in conformità delle istruzioni ricevute e fornire al preponente le informazioni riguardanti le condizioni del mercato nella zona assegnatagli, e ogni altra informazione utile per valutare la convenienza dei singoli affari” e deve adempiere gli obblighi che incombono al commissionario. La norma precisa che ogni singolo patto mirante ad eludere i doveri dell’agente è nullo. L’ossequio ai doveri di lealtà e buona fede va valutato caso per caso e con specifico riguardo alla natura dell’attività esercitata, ma certamente non prescinde dal dovere dell’agente di astenersi da qualunque attività che possa nuocere al preponente.

Al preponente l’art. 1749 c.c. impone di agire con lealtà e buona fede e di mettere a disposizione dell’agente la documentazione necessaria relativa ai beni e ai servizi trattati, fornendo le informazioni necessarie per l’esecuzione del contratto, mentre è dell’agente, salvo diverso accordo, l’organizzazione imprenditoriale della propria attività [[9]].

Si è già detto che, per consolidata giurisprudenza di legittimità, il recesso per giusta causa ex art. 2119 cc si applica anche ai contratti di agenzia. Quanto alla sua nozione, la Cassazione ha precisato che costituisce giusta causa di recesso qualunque fatto che sia tale da incidere sul rapporto di fiducia proprio del contratto di agenzia e tale da arrecare comunque danno, diretto o indiretto, agli interessi delle parti [[10]].

Nella valutazione della giusta causa di recesso l’accertamento del giudice non può essere limitato alla verifica delle violazioni delle norme contrattuali regolanti il solo rapporto agenziale ma, in virtù dell’obbligo sancito dall’art. 1749 c.c., deve tener conto di ogni invasione che violi i principi di lealtà e buona fede e che perciò sia di per sé lesiva degli interessi delle parti. In tale ottica assumono rilievo non solo i comportamenti che si riflettono in modo diretto ed immediato sul sinallagma contrattuale, ma anche quelli i cui effetti si concretizzano in maniera mediata ed indiretta sui rapporti tra le parti, purché siano idonei ad incidere sul rapporto fiduciario, che è elemento caratterizzante di tale tipo di contratto, arrecando pregiudizio alle situazioni giuridiche soggettive dei contraenti [[11]].

I REQUISITI “MINIMI” DEL RAPPORTO

Per la Corte di Giustizia, nella sentenza richiamata nelle premesse, sono tre i requisiti necessari affinché ad un soggetto possa essere riconosciuta la qualifica di agente: egli deve svolgere mansioni da intermediario indipendente, deve essere contrattualmente vincolato in modo permanente al preponente, deve esercitare un’attività che consista o nel trattare la vendita o l’acquisto di merci per il preponente o nel trattare e concludere tali operazioni in nome e per conto di quest’ultimo. Il soddisfacimento di queste tre condizioni e la insussistenza delle ipotesi tipiche di esclusione (tra cui la più importante è quella sulla retribuzione, nel senso che in sua mancanza non si ha contratto di agenzia) profilano la qualifica di “agente commerciale”, senza che possano rilevare le altre modalità con cui lo stesso svolge la propria attività.

Nel diritto europeo la retribuzione è requisito essenziale, tanto che la CGE esclude l’applicabilità della Direttiva nei confronti di quei soggetti che non siano retribuiti per la loro attività. Lo scarto rispetto alla legislazione interna (art. 1748 c.c.) è netto: mentre il diritto alla provvigione viene dal legislatore italiano semplicemente inteso quale effetto naturale dello svolgimento di una determinata operazione, nella disciplina europea esso diventa elemento necessario del rapporto. Nonostante su tale requisito si consumi ancora una notevole differenza tra disciplina europea ed interna, occorre evidenziare come la Direttiva Europea abbia favorito l’evoluzione della disciplina italiana, dal momento che prima dell’intervento sovranazionale la retribuzione dell’agente era legata non allo svolgimento dell’attività, ma solo alla positiva conclusione del contratto.

Nell’attuale assetto normativo interno l’agente ha diritto alla provvigione per gli affari conclusi durante il contratto quando l’operazione è stata portata a termine per effetto del suo intervento, per gli affari conclusi dal preponente con i terzi che l’agente aveva in precedenza acquisito come clienti per affari dello stesso tipo o appartenenti alla zona o alla categoria o gruppo di clienti riservati all’agente, per gli affari conclusi dopo la data di scioglimento del contratto se la proposta è pervenuta al preponente o all’agente in data antecedente o se gli affari sono conclusi entro un termine ragionevole dalla data di scioglimento del contratto e la conclusione è da ricondurre prevalentemente all’attività da lui svolta. Come visto, rispetto al passato non è più necessaria la prova del buon fine dell’affare, vale a dire del pagamento del prezzo da parte del cliente, dal momento che l’unica condizione di esigibilità è l’esecuzione del contratto da parte del preponente.

La legislazione europea non subordina il riconoscimento della qualifica allo svolgimento dell’attività professionale al di fuori della sede o di locali che siano nella disponibilità del preponente.

Ritiene la Corte Europea che qualsiasi “condizione” ulteriore rispetto a quanto già previsto dalla Direttiva potrebbe avere portata limitativa della tutela cui la stessa norma è mirata e pregiudicherebbe il raggiungimento degli obiettivi da essa perseguiti. È quindi ininfluente la circostanza che l’agente eserciti la propria attività in forma itinerante o in luoghi esterni a quelli della sede del preponente o invece presso detta sede. Diversamente, resterebbero privi di tutela coloro i quali esercitano, ad esempio con l’utilizzo delle moderne tecnologie, compiti (di ricerca della clientela, di vendita, etc.) comparabili a quelli svolti dagli agenti commerciali che viaggiano.

Il mero svolgimento delle proprie mansioni presso la sede del preponente può non rilevare se tutto è limitato allo sfruttamento dei vantaggi connessi allo svolgimento del lavoro in loco: la messa a disposizione di una soluzione logistica, l’accesso alle strutture organizzative della sede e altre situazioni connesse, non necessariamente implicano che venga intaccata l’indipendenza dell’agente, sia sotto il profilo dell’organizzazione dell’attività, sia sotto il profilo dei rischi economici connessi allo svolgimento di essa.

Sulla scorta delle riflessioni che precedono, la CGE ha affermato che “l’art. 1, par. 2, Dir. 86/653, deve essere interpretato nel senso che la circostanza che un soggetto, incaricato in maniera permanente di trattare, per un’altra persona, la vendita o l’acquisto di merci ovvero di trattare e di concludere dette operazioni in nome e per conto della stessa, svolga la propria attività presso la sede di quest’ultima non osta a che detto soggetto non possa essere qualificato come “agente commerciale”, ai sensi di tale disposizione, purché ciò non impedisca allo stesso di esercitare la sua attività in maniera indipendente”.

È sempre compito dei giudici di merito, come anche riaffermato dai giudici europei, valutare in concreto la sussistenza di tutti gli elementi che connotano la figura professionale in questione.

Se elemento caratterizzante è quello dell’indipendenza e se il mero svolgimento delle mansioni presso la sede del preponente non esclude la sua ricorrenza, per altro verso è stato affermato dai giudici comunitari che “l’indipendenza dell’agente commerciale può essere messa in discussione non solo dalla subordinazione alle istruzioni del preponente, ma anche dalle modalità di esercizio dei compiti che svolge” [[12]]. Se il soggetto subisce “condizionamenti” tali da far dubitare che il lavoro venga svolto in maniera indipendente, viene automaticamente meno un requisito essenziale per il configurarsi di tale qualifica.

L’agente è soggetto autonomo rispetto al preponente. È stato varie volte sostenuto, anche dalla giurisprudenza domestica, che il dovere da parte dell’agente di rispettare direttive, istruzioni e controlli da parte del preponente non è incompatibile con il carattere di autonomia del suo lavoro [[13]]. Neppure l’ossequio al dovere di informazione [[14]], la soggezione a disposizioni, controlli o ad altri tipi di ingerenze [[15]] presentano profili di incompatibilità.

I giudici di legittimità, con l’obiettivo di distinguere tra rapporto di agenzia e rapporto di lavoro subordinato, avevano affermato che il primo “ha per oggetto lo svolgimento a favore del preponente di un’attività economica esercitata in forma imprenditoriale, con organizzazione di mezzi e assunzione del rischio da parte dell’agente, che si manifesta nell’autonomia nella scelta dei tempi e dei modi della stessa, pur nel rispetto - secondo il disposto dall’art. 1746 c.c. - delle istruzioni ricevute dal preponente”, mentre oggetto del rapporto di lavoro subordinato è “la prestazione, in regime di subordinazione, di energie lavorative, il cui risultato rientra esclusivamente nella sfera giuridica dell’imprenditore, che sopporta il rischio dell’attività svolta”[[16]].

Molto tempo prima, ancora sulla distinzione tra autonomia e subordinazione, la stessa Cassazione aveva osservato che “il contratto di agenzia si distingue da quello di lavoro subordinato perché in esecuzione di esso l’attività svolta dall’agente in favore di un’impresa è caratterizzata dall’autonomia organizzativa e dalla totale assunzione del rischio da parte dell’agente stesso, non essendo incompatibile col permanere di tale autonomia il fatto che il preponente impartisca a quest’ultimo direttive circa l’incarico affidatogli, senza con ciò incidere anche sull’organizzazione dell’esercizio professionale, e coordini o controlli l’attività di vari agenti attraverso un’organizzazione gerarchica dei medesimi, giustificandosi quest’ultima con la finalità di garantire una migliore efficienza dell’attività promozionale e non anche con quella di estrinsecare un potere di supremazia della stessa natura di quello proprio dell’imprenditore nel rapporto di lavoro subordinato” [[17]].

Elementi essenziali del rapporto sono anche la continuità e la stabilità, che possono desumersi sia direttamente dal contratto, sia attraverso le concrete modalità di esecuzione del rapporto. È noto che il rapporto di agenzia si distingue dal quello di procacciatore d’affari proprio per la continuità e la stabilità dell’attività dell’agente che, non limitandosi a raccogliere episodicamente le ordinazioni dei clienti, promuove stabilmente la conclusione di contratti per conto del preponente nell’ambito di una determinata sfera territoriale [[18]].

Il carattere dell’autonomia organizzativa incide anche sulla configurabilità della responsabilità verso terzi: “il carattere ausiliario e strumentale dell’attività dell’agente rispetto all’imprenditore preponente non incide sull’autonomia organizzativa e giuridica del suo lavoro e sulla qualifica di imprenditore autonomo che acquisisce, assumendo in proprio l’onere e le spese di organizzazione del lavoro ed il rischio del risultato dell’attività professionale svolta al fine di promuovere la conclusione di contratti, in una determinata zona, per conto del committente. Ne consegue che la responsabilità di quest’ultimo nei confronti dei terzi resta limitata all’ambito dei contratti di compravendita stipulati con costoro, nel senso che con riguardo alla vendita di cose mobili l’imprenditore preponente risponderà verso gli acquirenti, ex art. 1512 c.c., in forza della dovuta garanzia di buon funzionamento e, sul piano della responsabilità extracontrattuale, per il fatto colposo a lui imputabile che abbia determinato l’evento lesivo prodotto dal difettoso funzionamento della cosa venduta; mentre, oltre questi limiti, soprattutto ove l’agente abbia un’organizzazione di strumenti e di tecnici per la messa in opera delle cose prodotte dal committente e per un servizio di assistenza ai clienti, delle attività compiute dal personale dell’agenzia risponde, ex art. 2049 c.c., esclusivamente l’agente” [[19]].

IL CUMULO

Ad un soggetto che eserciti compiti ulteriori rispetto a quelli “tipici” non può negarsi la qualifica di agente commerciale, non essendovi preclusioni e cause di esclusione espressamente previste. È questa la conclusione cui è giunta la Corte di Giustizia, interpretando la Direttiva, nella sentenza sopra richiamata. Pertanto, un soggetto che, oltre all’attività di trattativa per vendere o acquistare merci in nome e per conto di altre persone, svolge per i medesimi soggetti altre attività di natura diversa, non necessariamente accessorie rispetto alla prima, può comunque essere qualificato come “agente commerciale”.

Non sussistono divieti di cumulo dell’attività di agente con attività di natura diversa, anche nell’ipotesi in cui le attività ulteriori abbiano la medesima importanza dell’attività di agenzia.

Tale impostazione non è certo dissimile dal più risalente orientamento della Corte di Cassazione, la quale ha affermato che “ove l’attività di promozione di contratti in una zona determinata, per conto del preponente, che costituisce elemento essenziale e qualificante del contratto di agenzia, venga eseguita contestualmente ad altre prestazioni di natura diversa, occorre avere riguardo, ai fini della qualificazione giuridica del rapporto, alle prestazioni che presentino qualitativamente e quantitativamente carattere di prevalenza. Ne consegue che la disciplina giuridica del contratto di agenzia e quella che regola l’esercizio della professione di agente e rappresentante di commercio possono trovare applicazione solo quando risulti accertato che in concreto l’attività suddetta assuma carattere principale e prevalente rispetto alle altre prestazioni e sempre che ricorrano gli altri elementi essenziali del contratto di agenzia, come la stabilità dell’incarico, l’autonomia organizzativa ed operativa dell’agente, l’incidenza sul medesimo del rischio economico dell’attività svolta” [[20]].

Poiché la prima finalità della Direttiva 86/653 è la protezione dell’agente commerciale nella sua relazione con il preponente, non può essergli rifiutata la tutela per il solo motivo che il contratto che lo lega al preponente preveda anche l’esecuzione di compiti diversi rispetto a quelli connessi all’attività di agente commerciale. Non infrequentemente, a seconda delle specificità di ciascun settore, lo svolgimento dei compiti di agente commerciale è contestuale e concomitante all’esecuzione di prestazioni che, sebbene non rientranti nell’attività di negoziazione o conclusione di contratti, comunque ne costituiscono un preliminare, un completamento, un corollario, un accessorio.

Il cumulo di mansioni in capo alla stessa persona non deve tuttavia incidere sulla sua qualità di intermediario indipendente.

Fissato il principio di carattere generale, i giudici europei ritengono sia compito dei giudici di merito stabilire se l’esercizio di attività diverse contestualmente a quelle di agente, con tutte le implicazioni ad esse connesse (legate alla natura dei compiti svolti, alle proporzioni tra compiti, alla modalità di determinazione della retribuzione, alla sussistenza di rischio economico), possa o meno impedire l’esercizio in maniera indipendente dell’attività di agente, ed ancora affermano che “la circostanza che un soggetto eserciti non soltanto l’attività di trattativa per la vendita o l’acquisto di merci per un’altra persona o attività di trattativa e di conclusione di dette operazioni in nome e per conto di quest’ultima, ma anche attività di natura diversa per questa medesima persona, senza che la seconda tipologia di attività sia accessoria rispetto alla prima, non osta a che detto soggetto possa essere qualificato come “agente commerciale”, ai sensi di tale disposizione, purché tale circostanza non gli impedisca di esercitare la prima tipologia di attività in maniera indipendente, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare” [[21]]. Ugualmente, ove la prevalenza sia per le attività ulteriori, secondo la CGE rientra tra le facoltà di ciascuno Stato Membro il prevedere l’esclusione dall’ambito di applicazione della Direttiva di tutti coloro che svolgano l’attività di agente in via accessoria.

Dall’orientamento della CGE non si discostano i nostri giudici, i quali concordano nel ritenere che ove l’attività di promozione di contratti in una zona determinata venga eseguita contestualmente ad altre prestazioni accessorie e di natura diversa poste convenzionalmente a carico dell’agente, ai fini della qualificazione del rapporto occorre avere riguardo alle prestazioni che presentino qualitativamente e quantitativamente carattere di prevalenza. Di conseguenza la disciplina del contratto di agenzia trova applicazione solo quando risulti accertato che in concreto l’attività di promozione abbia carattere principale e prevalente rispetto alle altre prestazioni e sempre che ricorrano gli altri elementi essenziali del contratto d’agenzia come la stabilità e l’autonomia organizzativa ed operativa [[22]] o l’incidenza sul medesimo del rischio economico dell’attività svolta [[23]].

Il criterio della prevalenza (sia quantitativa, sia qualitativa) assurge a discrimine fondamentale per distinguere il rapporto di agenzia sia da altri tipi di collaborazione autonoma, sia dal rapporto di lavoro subordinato.

L’ESCLUSIVA

L’esclusiva, in ragione di quanto dispone l’art. 1743 c.c., è elemento naturale del contratto di agenzia. Essa pertanto, in assenza di patto contrario, si presume.

L’art. 1743 c.c. prevede che il preponente non può valersi contemporaneamente di più agenti nella stessa zona e per lo stesso ramo di attività, né l’agente può assumere l’incarico di trattare nella stessa zona e per lo stesso ramo gli affari di più imprese in concorrenza tra loro.

Preponente e agente sono legati da un rapporto fiduciario che necessita del carattere dell’esclusiva. L’obbligo reciproco che ne discende comporta anche il divieto di concorrenza, in modo che sia garantita la serena esecuzione del contratto e che entrambe le parti ricavino i massimi benefici.

La giurisprudenza domestica concordemente osserva che il diritto di esclusiva è elemento sottinteso (“in re ipsa”) del contratto di agenzia, in virtù del quale, ad esempio, l’agente non può svolgere la sua attività per conto di un altro imprenditore che sia in concorrenza col primo nella zona territoriale assegnatagli (c.d. zona riservata), così come il preponente non si può avvalere di diversi collaboratori per lo svolgimento dei medesimi affari in una medesima zona [[24]]. In questo modo si tutelano l’attività di impresa del preponente e le prospettive di guadagno dell’agente, il mercato non viene parcellizzato e non si corre il rischio di creare strane situazioni di concorrenza. Infine occorre sempre ricordare che “il diritto di esclusiva dell’agente non impedisce al preponente di contrattare personalmente nella zona riservatagli, purché la sua attività non assuma dimensioni tali da elidere quella dell’agente o da rendergli difficile l’assolvimento del proprio incarico” [[25]].

L’esclusiva è elemento naturale ma non essenziale del contratto: ad essa può derogarsi per volontà delle parti.

Un aspetto strettamente connesso alla facoltà di deroga è sicuramente quello delle c.d. provvigioni indirette. In ipotesi di deroga al diritto di esclusiva, da desumersi anche in via indiretta purché emerga in modo chiaro ed univoco una condotta incompatibile con l’esercizio del diritto, l’agente non può più pretendere la corresponsione delle provvigioni relative ad affari conclusi nella zona di competenza dal preponente sia direttamente sia tramite altri agenti (c.d. provvigioni indirette). Dall’accordo con cui le parti stabiliscano che il preponente può nominare più agenti nella stessa zona è consentito desumere anche l’esclusione della provvigione in relazione a quelle vendite concluse dallo stesso preponente, anche nell’ipotesi in cui sia stato convenuto un regime di esclusiva limitato agli affari trattati dagli agenti con determinati clienti nominativamente indicati.

IN CONCLUSIONE

Lo scambio di beni e servizi è uno dei pilastri fondamentali e storici della nostra economia.

Nell’attuale contesto di progressiva disgregazione delle frontiere economiche, in ogni singolo ordinamento statale si deve avvertire l’esigenza di evitare che gli operatori attivi sul territorio non patiscano squilibri di tutela giuridica nel raffronto con operatori appartenenti ad altri sistemi, al fine di consentire loro di svolgere la propria attività nelle migliori condizioni.

Nel corso degli ultimi decenni l’ordinamento italiano si è mostrato sensibile agli stimoli provenienti dall’Europa, anche se in molti casi si potrebbe opinare su tempi di attuazione o su determinate, specifiche, questioni di merito. Questi processi sono stati certamente agevolati dal lavoro della giurisprudenza interna, che ha saputo dimostrare duttilità oltre che sensibilità a certi stimoli, rendendosi compartecipe del processo evolutivo.

La disciplina del rapporto di agenzia assurge ad esempio pratico di integrazione ed omogeneizzazione dei diversi sistemi. Fondamentale si è rivelato il lavoro delle Corti, i cui contributi si sono rivelati talvolta ispiratori delle modifiche di legge che si sono avute lungo questo ultradecennale percorso.

Obiettivo finale è sempre quello di garantire l’effettività della tutela. Essa è anche strettamente connessa all’elemento del tempo, dal momento che il suo trascorrere amplifica la portata dei vuoti normativi e nega alle parti (specialmente a quelle “deboli”) il riconoscimento della giusta protezione. L’effettività non viene raggiunta con l’adozione in sé di un determinato provvedimento ma, anche e soprattutto, se i processi normativi e di armonizzazione vengono esauriti in tempi brevi o comunque “tollerabili” o comunque “fisiologici”. Ciò vale sia quando un ordinamento riceve “spinte” dal basso, sia quando deve recepire gli stimoli provenienti da organismi ad esso sovraordinati.

 


[1] Nello specifico: con D. Lgs. 10.9.1991, n. 303, sono stati modificati gli artt. 1742, 1748, 1750 e 1751 c.c. ed è stato introdotto l’art. 1751-bis c.c.; con D. Lgs. 15.2.1999, n. 65, sono stati modificati gli artt. 1742, 1746, 1748, 1749 e 1751 c.c.; con L. 21.12.1999, n. 526, è stato modificato l’art. 1746 c.c.; con L. 29.12.2000, n. 422, è stato modificato l’art. 1751-bis c.c.

[2] Cass. Civ., Sez. Lav., 15.5.1981, n. 3217.

[3] Cass. II Civ., 16.3.2015, n. 5165; Cass. Lav., 13.12.2019, ord. n. 32894.

[4] Cass. II Civ., 23.1.2017, n. 1657.

[5] Cass. Lav., 6.5.1996, n. 4167; Cass. Lav. 21.5.1997, n. 4540; Cass. Lav., 13.12.2019, ord. n. 32894. Cfr. anche Cass. in nota 4, la quale ha anche ritenuto inidoneo alla prova ogni riferimento a “indizi” o “fatti concludenti”.

[6] Cass. Civ., Sez. Lav., 14.4.2019, ord. n. 10732.

[7] Cass. in nota 6.

[8] Cass. in nota 6.

[9] Cass. Lav., 2.12.2019, ord. n. 31384, che con riguardo alla distinzione tra agenzia e lavoro subordinato richiama Cass. Lav., 23.4.2009, n. 9696.

[10] Cass. in nota 6, che riprende Cass. II Civ., 4.1.1977, n. 12, Cass. Lav. 9.7.1979, n. 3942, Cass. Lav., 13.12.1982, n. 6857 e, sulla nozione di giusta causa, richiama in termini Cass. n. 5072/1977, in Giur. It., 1978, I, 1, 1241.

[11] Cass. in nota 6.

[12] Cfr. sentenza indicata nelle premesse.

[13] Cass. Lav., 13.12.1982, n. 6857; Cass. Lav., 5.1.1984, n. 35; Cass. Lav., 30.8.2007, n. 18303; Cass. Lav., 16.7.2009, n. 16603.

[14] Cass. Lav., 5.1.1980, n. 34; Cass. Lav., 2.6.1980, n. 3601; Cass. Lav., 18.6.1985, n. 3673; Cass. Lav., 1.9.1986, n. 5364; Cass. Lav., 3.4.1990, n. 2680; Cass. Lav., 27.8.2001, n. 11263.

[15] Cass. Lav., 24.5.1986, n. 3507; Cass. Lav., 28.4.1987, n. 4111; Cass. Lav., 6.6.1989, n. 2742.

[16] Cass. Lav., 23.4.2009, n. 9696.

[17] Cass. Lav., 10.1.1984, n. 183.

[18] Cass. Lav., 22.11.2019, n. 30570, che richiama, fra le tante tra le tante, Cass. Lav., 23.7.2012, n. 12776 e Cass. Lav., 28.8.2013, n. 19828.

[19] Cass. III Civ., 13.6.1987, n. 5195.

[20] Cass. Lav., 13.12.1988, n. 6792.

[21] Cfr. sentenza indicata nelle premesse.

[22] Trib. Pisa, 21.7.2008.

[23] Cass. in nota 20.

[24] Cass. Lav., 19.3.1994, n. 2634.

[25] Cass. Lav., 5.2.1969, n. 322.




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