Crisi d'impresa automatica - composizione negoziata della crisi
Italia Oggi
21/03/22
Con l’entrata in vigore delle modifiche apportate all’art. 3 comma 4 del Codice della crisi d’impresa (dlgs 14/2019, Ccii), le imprese saranno automaticamente considerate in crisi, non solo se i flussi di cassa non sono sufficienti a far fronte alle obbligazioni nei successivi 12 mesi, bensì se presentano debiti per retribuzioni scaduti da almeno 30 giorni pari a oltre la metà dell’ammontare complessivo mensile delle retribuzioni, debiti verso fornitori scaduti da almeno 90 giorni di ammontare superiore a quello dei debiti non scaduti; esposizioni nei confronti delle banche e degli altri intermediari finanziari che siano scadute da più di 60 giorni o che abbiano superato da almeno 60 giorni il limite degli affidamenti ottenuti in qualunque forma purché rappresentino complessivamente almeno il cinque per cento del totale delle esposizioni; e una o più delle esposizioni debitorie verso Inps, Inail e Agenzia delle entrate o della riscossione.
Imprese sotto monitoraggio grazie agli assetti anti default
Dal prossimo 16 maggio non ci saranno più scuse per chi non sa come agire e intercettare la crisi. O almeno, questa è la data prevista dal nuovo schema di dlgs approvato in via preliminare dal Cdm il 17 marzo, che dà attuazione alla direttiva (Ue) 2019/1023 e che va a modificare per la seconda volta il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (dlgs 14/2019, «Ccii») emanato il 12 gennaio 2019 ed entrato in vigore a singhiozzo.
I tempi del Ccii. Il Ccii è stato emanato in attuazione della legge delega n. 155/2017, dopo i lavori della commissione Rordorf, e ha visto la luce sotto il governo Conte, nel gennaio 2019. L’art. 389 Ccii prevedeva dapprima due diversi step per l’entrata in vigore delle nuove regole: il primo fissato dal comma 2 dell’art. 389, stabiliva 30 giorni dopo la pubblicazione in Gu per i sistemi di allerta e altre disposizioni; il secondo al 1° settembre 2019 per tutte le altre norme, che ora si prevede entrino in vigore il 16 maggio.
Gli obblighi di monitoraggio della crisi d’impresa. Dal 16 marzo 2019 è vigente il comma 2 dell’art. 2086 c.c., introdotto dall’art. 375 Ccii, il quale prescrive che l’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale. In tal modo, si è previsto un sistema ancora più specifico di valutazione in termini di «forward looking» della crisi e del possibile rischio di default delle imprese. La disposizione ha certamente determinato un innovativo e diverso approccio alla gestione delle imprese, che però è rimasto senza uno specifico significato e contenuto, giacché in nessuna disposizione si ritrovava il concetto di assetto organizzativo e di cosa esso dovesse monitorare. A ciò veniva, però, in soccorso l’art. 13 del Ccii che aveva indicato i parametri per ritenere obbligati i controllori a eseguire le segnalazioni agli Organismi di composizione della crisi d’impresa (Ocri) che dovevano essere istituti a seguito del Ccii (ora abrogati). Il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili (Cndcec) era stato incaricato di predisporre appositi indicatori da utilizzare per dare una attuazione alla disposizione e rilevare i segnali di crisi. Così nell’ottobre del 2019 era stato reso noto il documento del Cndec, che però non è mai stato approvato dal Mise e neppure è mai entrato in vigore, poiché i sistemi di allerta che ne davano efficacia sono stati rinviati al 31 dicembre 2023. I sistemi di allerta vengono ora soppressi dallo schema di dlgs approvato dal Cdm per la modifica del Ccii, che li sostituisce con la composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa («Cnc»).
I nuovi assetti per prevenire la crisi. Tra rinvii, pandemia, introduzione del sistema della Cnc, escogitato dalla Commissione Pagni nell’agosto del 2021 per aiutare le imprese a evitare fallire, proprio la legge 147/2021 (di conversione del dl 118/2021) ha fatto emergere la necessità di comprendere quando un’impresa debba ritenersi in condizioni oggettive per adire il nuovo istituto, dedicato alle imprese commerciali e agricole che si trovano in squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che rendono probabile la crisi o l’insolvenza. Concetti che sono molto «elastici» e che per i giuristi suonano come vuoti di valore. Il governo, così, accogliendo il lavoro predisposto dalla Commissione Pagni bis, nel recepire la direttiva (Ue) 2019/1023 (si veda ItaliaOggi del 18 marzo) ha ritenuto di inserire nell’art. 3 del Ccii, prima dedicato ai doveri del debitore, una norma che ora viene rubricata «Adeguatezza degli assetti in funzione della rilevazione tempestiva della crisi d’impresa» e che puntualizza esattamente cosa ogni imprenditore individuale e collettivo devono fare per rispettare il disposto dell’art. 2086 c.c., ovvero semplicemente per adottare misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e assumere senza indugio le iniziative necessarie a farvi fronte.
Il contenuto degli assetti. Il terzo comma dell’art. 3 del Ccii non lascia spazio ai fraintendimenti in quanto, ai fini della rilevazione tempestiva della crisi d’impresa, le misure per gli imprenditori individuali e gli assetti ex art. 2086 c.c. devono consentire di:
a) rilevare eventuali squilibri di carattere patrimoniale o economico-finanziario, rapportati alle specifiche caratteristiche dell’impresa e dell’attività imprenditoriale svolta dal debitore;
b) verificare la non sostenibilità dei debiti e l’assenza di prospettive di continuità aziendale per i dodici mesi successivi e i segnali di allarme identificati dal successivo comma 4 (si veda tabella);
c) ricavare le informazioni necessarie a seguire la lista di controllo particolareggiata e a effettuare il test pratico per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento per l’avvio della Cnc.
Si tratta, insomma, di un sistema che richiede un’attenta gestione della programmazione per monitorare ciò che fa emergere le condizioni oggettivi che definiscono la crisi, che ora, in base all’art. 2, lett. a) del Ccii viene identificata nello lo stato del debitore che rende probabile l’insolvenza e che si manifesta con l’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi.
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Al centro dell’assetto organizzativo, pertanto, resta sempre la programmazione e misurazione della tesoreria, che adesso dovrà essere di almeno 12 mesi e non più di soli sei come prevedeva il vecchio art. 13 del riformando Ccii. Uno studio di Cerved del 2019 aveva fatto emergere l’importanza degli assetti organizzativi e aveva anche individuato i costi per ciascuna impresa necessari a implementare i sistemi di emersione tempestiva. Costi che potevano variare da 1.500 a 5.000 euro cadauna. Ebbene, se prima la scelta del modello da approntare per gli assetti organizzativi poteva dipendere anche dalla dimensione e dal «silenzio» delle norme, ora gli imprenditori non hanno scampo e la forbice dei costi sembra allargarsi.
Italia Oggi
21/03/22
Segnali d’allerta? Composizione negoziata obbligata
Con l’entrata in vigore delle modifiche apportate all’art. 3 comma 4 del Codice della crisi d’impresa (dlgs 14/2019, Ccii), le imprese saranno automaticamente considerate in crisi, non solo se i flussi di cassa non sono sufficienti a far fronte alle obbligazioni nei successivi 12 mesi, bensì se presentano debiti per retribuzioni scaduti da almeno 30 giorni pari a oltre la metà dell’ammontare complessivo mensile delle retribuzioni, debiti verso fornitori scaduti da almeno 90 giorni di ammontare superiore a quello dei debiti non scaduti; esposizioni nei confronti delle banche e degli altri intermediari finanziari che siano scadute da più di 60 giorni o che abbiano superato da almeno 60 giorni il limite degli affidamenti ottenuti in qualunque forma purché rappresentino complessivamente almeno il cinque per cento del totale delle esposizioni; e una o più delle esposizioni debitorie verso Inps, Inail e Agenzia delle entrate o della riscossione.
Le nuove soglie del default verso i creditori pubblici. Queste saranno definite dall’art. 25 novies del Ccii, il quale fissa gli sforamenti: per l’Istituto nazionale della previdenza sociale, nel ritardo di oltre 90 gg nel versamento di contributi previdenziali di ammontare superiore: 1) per le imprese con lavoratori subordinati e parasubordinati, al 30 per cento di quelli dovuti nell’anno precedente e all’importo di euro 15.000; 2) per le imprese senza lavoratori subordinati e parasubordinati, all’importo di euro 5.000. Quanto all’Inail, gli sforamenti del debito per premi assicurativi dovranno essere relativi a quelli scaduti da oltre 90 gg e sempre se il non versato sia superiore all’importo di euro 5.000.
I debiti verso l’Agenzia delle entrate per Iva scaduta e non versata, risultante dalla comunicazione dei dati delle liquidazioni periodiche di cui all’articolo 21-bis del dl 78/2010 (conv. in legge 122/2010) dovranno essere superiori all’importo di euro 5.000. Soglia alquanto bassa.
I crediti affidati per la riscossione, autodichiarati o definitivamente accertati e scaduti da oltre 90 giorni, gestiti dall’Agente della riscossione, saranno rilevanti se superiori, per le imprese individuali, all’importo di euro 100.000, per le società di persone, all’importo di euro 200.000 e, per le altre società, all’importo di euro 500.000. Tutti i debiti dovranno riguardare periodi successivi al 2022.
I rischi dello sforamento. Cosa succede, dunque, se l’impresa è fuori parametri? Da una parte saranno i controllori, sindaci e revisori (art. 25 octies) a presentare invito perentorio all’imprenditore per attivare la composizione negoziata della crisi d’impresa («Cnc») e dall’altra provvederanno i creditori pubblici qualificati (art. 25 novies).
L’art. 25 octies, infatti prevede che l’organo di controllo societario segnali, per iscritto, all’organo amministrativo la sussistenza dei presupposti per la presentazione dell’istanza di Cnc. La segnalazione è motivata, è trasmessa con mezzi che assicurano la prova dell’avvenuta ricezione e contiene la fissazione di un congruo termine, non superiore a 30 giorni, entro il quale l’organo amministrativo deve riferire in ordine alle iniziative intraprese. Mentre l’Inps, l’Inail, l’Agenzia delle entrate e l’Agenzia delle entrate-Riscossione dovranno segnalare, con un «invito» che suona come ordine, all’imprenditore e, ove esistente, all’organo di controllo, nella persona del presidente del collegio sindacale in caso di organo collegiale, a mezzo di posta elettronica certificata o, in mancanza, mediante raccomandata con avviso di ricevimento, l’esigenza di presentazione dell’istanza di Cnc. La norma precisa: «se ne ricorrono i presupposti».
L’accesso obbligato alla Cnc e il piano di rilancio. A quel punto il debitore non avrà molte alternative: o provvedere a presentare istanza per la Cnc, o chiedere un diverso strumento, giacché l’art. 2086 c.c. prevede, appunto, l’obbligo di attivare senza indugio uno strumento previsto dall’ordinamento. Il nuovo Ccii offrirà certamente un ventaglio di soluzioni che, tuttavia, almeno all’inizio, non saranno immediatamente semplici da comprendere, attuare e rendere operativi. Ciò che però diventerà certamente essenziale e immediato, oltre a implementare gli assetti organizzativi, è potere predisporre un piano o almeno un progetto di piano per il rilancio dell’impresa. L’art. 17, comma 3, lett. b) richiederà, infatti, anche per accedere alla Cnc, un progetto di piano di risanamento redatto secondo le indicazioni della lista di controllo della Cnc (art. 13, co. 2), e una relazione chiara e sintetica sull’attività in concreto esercitata recante un piano finanziario per i successivi sei mesi e le iniziative che intende adottare. Stessa richiesta è prevista dall’art. 19 in tema di misure protettive per aiutare l’impresa che deve risanarsi. In sostanza, la nuova gestione della crisi d’impresa pur prevedendo molteplici soluzioni richiederà sempre più tecnicismo e competenza che non è però corpus dell’esperto della Cnc, il quale, infatti, non è preposto a redigere il piano o ad assistere l’imprenditore a predisporlo. L’imprenditore dovrà così continuare a farsi assistere dai consulenti che, tuttavia, vengono visti ancora una volta non di buon occhio.
I consulenti del debitore. Nelle modifiche al Ccii, infatti, rispuntano le limitazioni ai compensi dei professionisti, giacché se da una parte l’esperto della Cnc è considerato prededucibile, invece, (art. 6) i crediti professionali sorti in funzione della domanda di omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti o del piano di ristrutturazione soggetto a omologazione e per la richiesta delle misure protettive, lo saranno nei limiti del 75% del credito accertato e a condizione che gli accordi o il piano siano omologati. E ancora, i crediti professionali sorti in funzione della presentazione della domanda di concordato preventivo nonché del deposito della relativa proposta e del piano che la correda, nei limiti del 75% del credito accertato e a condizione che la procedura sia aperta ai sensi dell’articolo 47 del Ccii. Insomma, i professionisti saranno sempre più necessari, ma dovranno lavorare a successo. Qualche dubbio sulla capacità delle norme come modificate a raggiungere i veri obiettivi prefissati sorge.