Dalla privazione nasce la creatività

Dalla privazione nasce la creatività

Ieri sera, durante un Aperitivo della bellezza al quale hanno partecipato tutte le persone che lavorano in W.Training (iniziativa per quale non ringrazieremo mai abbastanza la nostra collega Silvia Scorrano), Matteo Razzini, educatore teatrale, attore e scrittore, amante della poesia e vero “incantatore di parola”, dallo schermo di un Pc (eravamo, ovviamente, ognuno nella propria abitazione) ha declamato gli immortali versi dell’Infinito di Giacomo Leopardi.

Uscito a fatica dall’incanto nel quale ci ha avvinti Matteo, mi sono ritrovato a pensare quanto spesso dalla privazione nasca la creatività.

Il poeta di Recanati, infatti, avrebbe mai potuto scrivere quei versi, anelare a quell’«ultimo orizzonte», se non fosse stato privato della salute, della vigoria fisica, della capacità di movimento, del contatto amorevole con altri esseri umani?

Comprendo bene che possa esserci nel mio ragionare un intento auto-consolatorio, ma perché non chiedersi se da questa maledetta emergenza sanitaria, da questo insopportabile lockdown non possa nascere qualcosa di buono e bello?

Perché non sperare che, attaccata nelle sue fondamenta la società dell’opulenza nella quale siamo abituati a vivere, il mondo “essenziale” che si delinea dopo la pandemia possa scatenare la nostra creatività?

Badate bene, non parlo di semplice resilienza o, ancor peggio, dell’italica “arte di arrangiarsi” che è ormai un deleterio stereotipo.

Penso alla capacità di uscire dalla nostra zona di comfort, dalla bulimia comunicativa che ci seppellisce di stimoli cognitivi, ma ci addormenta nel profondo.

Ho in mente la forza di scoprirci più deboli e vulnerabili, meno capaci di “riempire” del nostro ego spropositato un mondo che può mostrarsi più grande dei nostri umani pensieri.

Penso soprattutto alla capacità di tornare a stupirci della realtà che ci circonda, come ci ha mostrato Matteo Razzini, traendone spunto e linfa vitale per generare qualcosa di bello, per sognare qualcosa che ci superi.

Nel ringraziare ancora Matteo per l’incanto che ci ha donato, mi auguro che queste poche righe possano generare una riflessione sul mondo che ci aspetta dopo il Covid-19 e che ho definito “essenziale”.

Anche voi pensate che l'”essenzialità” sarà la caratteristica della società nella quale ci troveremo a vivere?

E come la intendereste?

Se volete lasciare i vostri pensieri, qui sotto avete la possibilità di commentare quanto ho scritto.

Avv. Roberto Sammarchi

Avvocato specialista in diritto dell'informazione, della comunicazione digitale e della protezione dei dati personali.

4 anni

E' un tema comune, troppo frequente per essere casuale. Molte persone con cui parlo hanno l'impressione che di questa tragedia quasi "ci fosse bisogno" per creare una discontinuità da un modo di vivere oggi chiaramente percepito come non più sostenibile. Di fatto in queste settimane sono nati progetti importanti, grazie alla possibilità di riflettere e di usare il tempo in modo prima impensabile. E anche di interagire con i colleghi in modo molto più efficace. Mi sembra di avere lavorato molto di più e meglio insieme agli altri. La relazione fra lavoro e famiglia è cambiata totalmente, in modo (almeno per me) assolutamente positivo. C'è un singolare ritorno della natura. Aria pulita. Cielo del colore giusto in primavera. Il ritorno di animali sconosciuti come testimonia la coppia di upupe che nei pomeriggi assolati saltella dietro casa (non so se il plurale è giusto. C'è voluto Google per capire che sono upupe e non creature aliene. Così finalmente 40 anni dopo il liceo so com'è "l'ilare uccello calunniato dai poeti"). E' un paradosso che esprimo così: "Non fosse una tragedia, sarebbe un momento fantastico". A proposito, tra qualche giorno mi arriva l'auto elettrica.

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