Dare un nome alle cose per (ri)conoscerle
Dare un nome alle cose significa conoscerle e avere anche la possibilità di ri-conoscerle qualora si ripresentino ai nostri occhi.
Ecco, un paio di giorni fa, ho avuto in tal senso una conversazione illuminante con una persona che stimo molto. Le stavo raccontando di un rapporto professionale passato, in cui la controparte comunicava in modo "fumoso" non esprimendo mai con chiarezza la propria posizione o esprimendola in maniera contrastante. Questo aveva provocato in me un cortocircuito finendo anche per andare a intaccare la mia parte emotiva: "i segnali che lancia questa persona mi lasciano intendere che se faccio A sbaglio ma mi sembra che non le vada bene nemmeno se se faccio non-A, quindi sono sbagliata". A questo punto la persona con cui parlavo mi ha letteralmente illuminata:
«Quello che mi stai raccontando e che definisci in malo modo "fumoso" può essere definito con un nome preciso, usando la pragmatica della comunicazione di Watzlawick: disconferma. In pratica, nella relazione di una comunicazione io posso avere tre risultati:
• conferma, ad esempio "vai bene"
• sconferma, "non vai bene"
• disconferma, ti do due informazioni contrastanti, in cui una invalida l'altra: ad esempio, un cartello con su scritto "vietato leggere il cartello". In questo caso, io ho un cartello, che per sua natura deve essere letto, e l'informazione al suo interno, che mi impone invece di non farlo.
In una situazione del genere, qualsiasi cosa io faccia, sbaglio, perciò mi paralizzo e vado in tilt perché non posso uscire da questo controsenso.
In una circostanza simile, l'unico modo che hai per "vincere" è andartene.»
E difatti da quella relazione professionale ne sono uscita, per inciso.
Questa conversazione, dicevo, è stata illuminante, mi ha permesso di dare un nome alla comunicazione disfunzionale di cui le stavo parlando. E mi auguro che mi permetterà di riconoscere i segnali qualora io debba trovarmi nuovamente di fronte a persone che fanno della disconferma il loro motto di vita. Alcune di queste non hanno minimamente interesse a comprendere come poter creare una relazione comunicativa di valore, migliorando il proprio modo di comunicare. Altri, invece, semplicemente non ne sono consapevoli. Perché se è vero che è impossibile non comunicare - anche l'alzare un sopracciglio può essere comunicazione, persino il silenzio stesso - è altresì vero che è assai facile farlo in maniera scorretta, senza averne consapevolezza.
Quindi, armiamoci di santa pazienza e cerchiamo tutti di dare comunicazioni chiare e di pretenderle anche, per evitare di finire in paludi comunicative, che poi portano inevitabilmente a problemi.