Data Ecology
Siamo naturalmente portati a pensare che la nostra relazione con i dati si sviluppi unicamente nella direzione mondo-dati-uso, dove i dati catturano ciò che nel mondo accade e noi li usiamo per comprendere tali accadimenti e, sperabilmente, per prevederne quelli futuri.
Così facendo, o meglio, così pensando, perdiamo di vista quel complesso meccanismo di reciproche interazioni, che benché forse si possano classificare come secondarie, sono tuttavia fondamentali per definire, sostenere e far evolvere quell’articolato ecosistema fatto di eventi, fenomeni, loro misurazioni e decisioni che vengono prese.
Dobbiamo essere consapevoli che, se da un lato i dati misurano ciò che avviene, dall’altro le decisioni che noi prendiamo sulla base di tali dati e che definiscono le azioni che sul mondo poniamo in essere, azioni in grado di modificarne l’incedere, condizionano di fatto le successive misure catturate dai dati, e di conseguenza le successive decisioni, innescando un complesso meccanismo di azione-reazione, che plasma la realtà nella quale viviamo, la rende fluida e mutevole e dove ciò che è risulta intimamente connesso con ciò che facciamo.
L’interazione è la chiave, quindi, un’interazione molto più complessa di quella che siamo portati a immaginare e che definisce un ecosistema complesso, composto da elementi che, benché classificabili su diversi livelli, proprio come accade nell’ecologia tradizionale, sono comunque fondamentali affinché tale ecosistema sia vivo e in salute.
Questo ecosistema va ovviamente rispettato, concentrandosi sull’intero percorso, che va dalla misura alla decisione, perché se è vero che i dati sono una fonte rinnovabile è anche vero che ciò che accade a partire dalla loro raccolta è qualcosa di complesso, che richiede risorse ed energia, creando una sorta di intersezione tra l’ecosistema dei dati e quello del mondo in cui viviamo, dove ciò che avviene nell’uno si riflette sull’altro.
La raccolta dei dati dovrebbe quindi essere parsimoniosa, perché se la sensazione è che i dati siano lì, pronti a essere presi, è anche vero che farlo senza un fine è solo uno spreco di risorse, esattamente come lo è fare scorta di cibo se non si ha in piano di consumarlo.
Parsimoniosa deve essere allora la raccolta e oculato lo stoccaggio, perché, ancora una volta, copiare e replicare i dati solo perché qualcuno potrebbe averne bisogno, non è esattamente una scelta amica dell’ambiente, visto che ogni “magazzino” consumerà energia e richiederà risorse per essere gestito, così come saranno necessarie energia e risorse per il trasporto da un magazzino all’altro.
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In altre parole, possiamo affermare che ciò di cui abbiamo bisogno è una nuova logistica dei dati, che sappia ottimizzare i magazzini esistenti, senza crearne di nuovi al solo fine di stoccare ciò che è già stoccato altrove, facendo viaggiare solo ciò che deve essere effettivamente consegnato e farlo solo quando la consegna viene effettivamente richiesta.
Questa nuova logistica non è sostituiva dell’esistente, ma ne rappresenta un potenziamento, e come tale dovrebbe essere colto laddove sia conveniente farlo. Non si tratta quindi di dismettere tutti i magazzini esistenti, ma di valutare se una nuova esigenza di integrazione, un nuovo modello, un nuovo paradigma, debba necessariamente tradursi nella costruzione di nuovi o, piuttosto, pensare di sfruttare quelli esistenti, affidandosi a un nuovo modello di “connessione” tra di essi, che sia in grado di movimentare i dati solo quando abbia senso farlo e di far ciò con la massima efficienza, riducendo al contempo le risorse necessarie a consegnare quanto richiesto.
Questo approccio rispettoso dell’ambiente è ben sostenuto dalle architetture logiche per l’integrazione dei dati, dove la separazione tra “cercare ciò di cui ho bisogno” e “averne reale disponibilità” consente comunque di predisporre un punto unico di accesso ai dati, dove questi siano mostrati nel loro significato e nella loro origine, potendo quindi soddisfare le necessità esplorative da parte di chi i dati deve usare e, al contempo, di muovere e consegnare i dati solo quando questi siano stati scelti e quando chi li deve usare sia pronto a farlo.
Una ecologia dei dati si fonda quindi sulla consapevolezza che i dati non sono un qualcosa a sé stante, ma costituiscono un modo per dialogare, digitalmente, con il mondo, rappresentandolo ma anche, per il tramite delle azioni che su tale rappresentazione sono fondate, influenzandolo, innescando quel meccanismo del quale parlavo all’inizio. È proprio questa complessa interazione che deve aderire a principi di sostenibilità e di rispetto per le risorse disponibili, perché ogni mondo digitale non lo è mai completamente, visto che ciò che è digitale verrà sempre e comunque gestito da ciò che è fisico.
In conclusione, riconoscendo la complessità dell’ecosistema dati e le mutue interazioni che prendono vita al suo interno, dovremmo cominciare a pensare a un cambiamento che oserei definire ontologico, muovendoci da un approccio antropocentrico ai dati a uno biocentrico.