Donne in azienda: il femminile dimenticato
Le donne al potere perdono spesso la loro femminilità, la loro intima essenza.
Normalmente l’argomento “donne nel mondo del lavoro” viene trattato come diversity management. Ma diverse da chi? Come se la normalità fosse maschile e la diversità femminile, tanto quanto la disabilità, o l’appartenenza a etnie diverse da quella prevalente.
È ora di voltare pagina: di pensare a un mondo del lavoro dove maschile e femminile sono due facce della stessa medaglia. È ora di superare l’epoca del femminismo, sottolineando la specificità di uomini e donne nel mondo del lavoro come nella vita, sostenendo e curando il valore dell’eterogeneità.
Donne vincenti, motivate non dalla sete di potere o da passioni competitive, ma dall’amore per l’altro e per il proprio lavoro.
Marina Terragni, ne La scomparsa delle donne, ci ricorda che le donne in carriera aderiscono in pieno alle regole del territorio aziendale, del quale divengono zelanti sacerdotesse. Il prezzo da pagare è enorme: l’infelicità dello stare perennemente al di fuori della propria pelle.
Invece, proprio questo “amore per” può diventare la chiave per aprire tutte le porte: quella delle buone relazioni, quella della motivazione all’eccellenza o, semplicemente, al ben fatto.
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Onorare la propria natura femminile, anche sul lavoro, può significare, ad esempio, metterci del sentimento, portare sul lavoro l’energia domestica, la capacità innata di organizzare le cose come si organizza la propria famiglia. Le mie origini mantovane mi riportano all’immagine della rasdora, cioè colei che teneva le redini di tutta la famiglia in ogni aspetto del ménage, ottimizzando le risorse; esperta in problem solving e in public relation, attenta ai bisogni di tutti, era capace di preparare un pranzo per dieci persone e contemporaneamente di asciugare, con l’angolo del grembiule indossato in cucina, le lacrime dei bambini che piagnucolavano per casa. Era una donna manager a tutti gli effetti, abile nel tenere il bilancio domestico meglio dei migliori economisti. La sua autorevolezza era indiscussa, l’autorevolezza di una donna che non ha bisogno di scimmiottare l’uomo.
Se solo noi donne portassimo l’aria di casa anche in ufficio! Questo vale in tutti i contesti lavorativi perché, ancora una volta, non è ciò che si fa, ma c o m e l o s i f a a costituire la differenza. Conosco un’infermiera, ormai in pensione, che trovava il senso del suo lavoro nell’amorevolezza della cura, più che nell’osservanza dei protocolli di cura. Accompagnava i pazienti gravi, che attendevano solo la morte, tenendo loro la mano. Questa pratica non è certo contemplata nei piani di attività degli infermieri e non è calcolata nei tempi d’assistenza, ma lei si prendeva semplicemente l’onere e la responsabilità di farlo. Ecco cosa fa davvero la differenza.
Riconnettendoci alla nostra essenza recuperiamo la nostra umanità, anche nelle relazioni.
Tratto da Umane risorse. Come restare Umani sul Lavoro, 2019, Libreria Cortina Editore
Soft Skills Trainer | Formatrice Esperienziale | Team & Business Coach ACC ICF → Miglioro le performance dei team aziendali, supporto le donne in transizione di carriera alla leadership e ad un gioioso equilibrio di vita
2 anniCiao Antonella, ho letto con attenzione la tua bella newsletter. E sono pienamente concorde con te che il termine '#diversity' stona, riporta quella dualità di pensiero tipica della cultura occidentale. Trovo molto più arricchente e di significato a tuttotondo l'uso del termine '#genderequity': uguaglianza, parità. Quindi forse sarebbe meglio introdurre l'"equity management" in azienda: l'uso di una parola può contribuire a cambiare il pensiero di un individuo, di un gruppo, di una società.