Draghi: l’uomo che cammina sulle macerie del declino europeo
Mario Draghi ha fatto una nuova apparizione tornando sulla scena pubblica, e durante un recente intervento, ha dichiarato che “non c’è nulla di confortevole” nella prospettiva di un declino europeo, senza ricordarsi che ne è lui stesso un fautore.
Una riflessione severa, che solleva interrogativi sulle cause profonde di questa situazione e sulle decisioni che hanno plasmato il contesto attuale. Ma Draghi ha fatto i conti con le implicazioni delle politiche europee e del suo stesso operato?
È davvero difficile vedere ritornare sulla scena colui che il suo intero lavoro era basato su di un sistema di comunicazione e decisione politica distante dalla realtà e dalla verità dei fatti che accadevano.
Soprattutto proprio con la guerra in Ucraina, al centro delle dinamiche che stanno travolgendo l’Europa, dove, dal 2014, l’Unione Europea ha sostenuto, direttamente o indirettamente, su richiesta americana il conflitto, finanziando e armando un Paese in cui gli equilibri geopolitici erano già fragili, ma per contrastare chi?
Non dobbiamo dimenticare che nel 2022, nel dilemma dei condizionatori accesi si o no, Draghi era alla guida del governo italiano, e ha spinto per l’invio di armi all’Ucraina, una scelta controversa che ha contribuito ad alimentare l’escalation bellica e l’impoverimento del nostro Paese. Questo nonostante a fine marzo dello stesso anno ci fosse un accordo preliminare di pace tra Russia e Ucraina, poi naufragato sotto le pressioni dell’amministrazione demo-progressista di Biden & Co.
Mario Draghi si è mai chiesto se l’Europa avrebbe potuto assumere un ruolo diverso, promuovendo la diplomazia anziché un conflitto prolungato? I segnali indicano che la guerra non è stata solo un’escalation inevitabile, ma il risultato di decisioni politiche strategicamente mirate dettate dai soldi.
L’obiettivo principale del conflitto era quello di spezzare i legami energetici tra Europa e Russia, da sempre una delle basi della competitività industriale europea. La dipendenza dal gas russo a basso costo aveva permesso al Vecchio Continente di mantenere un vantaggio competitivo rispetto agli Stati Uniti. Con la guerra, questi legami sono stati recisi, con l’Europa inchinata al gas naturale liquefatto (GNL) americano, il cui costo è fino a otto volte superiore all’attuale gas russo per non parlare delle conseguenze sull’impatto ambientale, tanto caro ai progressisti “green” europei che non si lamentano, ad esempio, delle gasiere a ridosso delle città, come sta per avvenire a Cagliari.
Draghi è consapevole che questo cambio di paradigma energetico, imposto anche dalle sanzioni contro Mosca, ha gravemente compromesso la competitività europea? E che queste costruzioni sono bombe ecologiche?
Probabilmente si, ma a lui poco importa della verità perché si è sempre mosso sul terreno dei compromessi economici e piano piano, più andiamo avanti più stanno venendo a galla le tante bugie raccontate e ci accorgiamo che ciò che manca e che è mancata, è solo la verità.
Come la narrazione dell’aumento dei costi energetici che ha innescato una spirale di deindustrializzazione, con molte imprese costrette a chiudere o delocalizzare. Un risultato che ha avvantaggiato gli Stati Uniti, e che ha lasciato l’Europa in una posizione di debolezza strategica e produttiva.
Il declino europeo non è un accidente della storia, ma il frutto di politiche economiche e strategiche che non hanno considerato le conseguenze a lungo termine. Le scelte compiute negli ultimi tre anni, dall’escalation del conflitto in Ucraina all’abbandono del gas russo, hanno seguito solo logiche esterne agli interessi dei cittadini europei e hanno contribuito solo a rinsaldare i profitti dei grandi banchieri, delle compagnie petrolifere e dei fondi speculativi.
Draghi, con la sua “autorità” e il suo ruolo centrale, avrebbe potuto sostenere un percorso diverso, magari rilanciando un dialogo con Mosca o spingendo per una politica energetica più autonoma. Ora che l’Europa è legata “mani e piedi” al GNL americano, con un’inflazione galoppante e un’industria in crisi, quali ricette propone per invertire la rotta?
Le analisi sbagliate e le scelte politiche degli ultimi anni sono alla base del disastro in corso. La domanda centrale è se tutto ciò fosse evitabile o, peggio, voluto. Il sospetto che alcuni interessi abbiano prevalso su quelli europei è forte.
L’Europa può ancora scegliere un futuro diverso o il suo declino è ormai inevitabile?
La verità non ha bisogno di mille parole. È essenziale, diretta, luminosa non certo come le parole di un banchiere di cui è iniziato l’irreversibile oblio.
E teniamo ben presente che questi “profeti” non smettono mai di operare attraverso diverse modalità come, il controllo di risorse economiche, di media e istituzioni internazionali, fino all’influenza diretta sui governi e sui legislatori per esclusive finalità elitarie.
Andrea Caldart