Due mancanze nella “Legge sui lobbisti”

Due mancanze nella “Legge sui lobbisti”

Lo scorso 12 gennaio, la cosiddetta “Legge sui lobbisti” è stata approvata alla Camera ed è poi passata al Senato, dove l’esame non è ancora iniziato.

Si è trattato, a tutti gli effetti, di un passaggio storico, dopo oltre 90 tentativi di elaborare un provvedimento appropriato sui portatori e rappresentanti di interesse. E questo è un bene, perché bisogna sempre favorire la trasparenza, in una democrazia.

Tuttavia, ragionando a mente fredda, questa proposta è carente in almeno due macro-ambiti: in primo luogo, crea una artificiale divisione fra società di consulenza e lobbisti legati a specifici attori (aziende, ONG, etc.) da un lato, e, dall’altro, organizzazioni sindacali e di categoria. Si definisce artificiale questa divisione perché è necessario superare un’ipocrisia che non fa bene al nostro Paese. Bisogna smarcare subito il campo partendo da un dato di fatto, spesso non noto a chi non opera nel mondo dei processi decisionali pubblici: in una democrazia, le leggi nascono dall’incontro/confronto fra diversi gruppi di interesse e di potere, tutti ugualmente parte della vita democratica. Quando viene elaborata una proposta di provvedimento, i decisori pubblici procedono a udire le terze parti interessate o maggiormente rappresentative/esperte della materia in questione, e al contempo si organizzano incontri 1:1.

Questo accade sempre, per ogni provvedimento pubblico. In tal senso, la divisione fra società di consulenza/lobbisti specifici e organizzazioni sindacali/associazioni di categoria è artificiale: Confindustria, la CGIL, la CISL, l’UIL e così via sono tutti corpi intermedi della nostra comunità, che portano – di fronte alle istituzioni e ai decisori – interessi che, per quanto ampi, rimangono particolari.

Tutti i gruppi che condividono interessi comuni e compongono la nostra società, infatti, sono lobby: associazioni dei consumatori, imprese, organizzazioni del terzo settore, il mondo accademico e scientifico, gli ordini professionali, le associazioni di categoria, le organizzazioni pubbliche e private, le ONG, le associazioni ambientaliste.

Pertanto, la suddetta divisione già azzoppa questa legge.

In secondo luogo, il provvedimento esalta la lotta alle “oscure” e “misteriose” lobby del Paese. In tutto ciò, non si considera che gli incontri e i pareri delle lobby, ossia i gruppi che compongono la comunità, sono espressamente chiesti, ricercati e voluti dagli stessi decisori pubblici che, essendo umani, non possono essere onniscienti e, pertanto, hanno interesse a dialogare con chi è più esperto o è più impattato – in maniera positiva o negativa – da un determinato provvedimento.

Le società di consulenza, soprattutto, avendo portato in Italia un metodo di fare lobbying basato su competenza e professionalità (come nel mondo anglosassone e a Bruxelles), sono le prime beneficiarie di qualsiasi provvedimento basato sulla trasparenza.

Al massimo, accade che siano i decisori pubblici – eletti o meno – che spesso e volentieri preferiscono non fare sapere ai propri elettori chi incontrano e quali istanze recepiscono.

Non solo, sono i decisori pubblici che hanno preferito ridurre il periodo di “pausa” da 3 anni a 1 anno di chi ha ricoperto incarichi di Governo, favorendo così il meccanismo delle porte girevoli, che non è detto faccia bene al Paese. Con un po’ di malizia, si potrebbe pensare che sia anche un abbassamento funzionale, motivato dalla futura riduzione dei parlamentari.

I lobbisti sono da decenni il bersaglio preferito di chi preferisce non vedere dove risiedono le reali responsabilità politiche di decisioni particolari, perché in un Paese politicamente immaturo come il nostro ancora si è restii a prendere atto di come funziona il processo decisionale pubblico: le lobby non sono nemiche del Paese, bensì rappresentano il ponte fra il potere politico, la società civile, il potere economico e, in senso più ampio, i corpi intermedi della nostra comunità.

Qualora questa legge venisse approvata per come è attualmente formulata, non rappresenterebbe un reale servizio al Paese, ma l’ennesimo esempio di una occasione mancata.

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