Due, Quattro, Dodici. Terno! Ormai stiamo ai numeri al Lotto nella definizione dei controlli interni nel nuovo Codice sulla crisi d’impresa

Due, Quattro, Dodici. Terno! Ormai stiamo ai numeri al Lotto nella definizione dei controlli interni nel nuovo Codice sulla crisi d’impresa

Milano 19 maggio 2019


A cura di Massimo Talone Partner LexJus Sinacta | Responsabile Crisis Management Servises - ODCEC di Milano, Associato AIDC – Associazione Italiana Dottori Commercialisti e socio AIFIRM, Associazione Italiana Financial Industry Risk Managers

Innanzitutto, una precisazione doverosa.

Nel dibattito in corso sul nuovo Codice sulla crisi d’impresa e l’insolvenza, prescindendo dalla “parte contraente” coinvolta, qualunque critica o proposta di modifica “ragionevole e costruttiva” deve essere favorevolmente accolta e meritare un doveroso e rispettoso approfondimento.

Nessuno è portatore della “verità assoluta”, tanto meno il sottoscritto, ma ognuno, nel corretto gioco delle Parti (imprese, professionisti, banche, altri creditori più o meno qualificati, magistrati), deve contribuire costruttivamente alla stabilizzazione di un corpo normativo ancora oggettivamente “instabile” e inevitabilmente soggetto ad auspicabili future modifiche migliorative.

Detto questo, non posso esimermi dal dire la mia sulla questione, a mio parere alquanto capziosa e tutto sommato marginale, sulla “annosa questione” dei limiti dimensionali di cui al novellato articolo 2477 del Codice civile (quelli, per intenderci, che obbligano le SRL a nominare il sindaco o revisore quale organo di controllo societario interno).

 A “scatenare” l’acceso dibatto è stata l’indiscrezione di stampa, comparsa in due differenti articoli su “Il Sole 24 Ore”.

Il primo articolo, di venerdì 17 maggio 2019 dall'eloquente titolo “Retromarcia su sindaci e revisori per le società” a firma Marco Mobili e Giovanni Negri, in cui viene anticipato, su indicazione del sottosegretario all'Economia, Massimo Garavaglia, un emendamento al “Decreto Crescita”, ormai divenuto ahimè “omnibus”, con cui si innalzerebbero, rispettivamente a 12 milioni di euro di fatturato, 6 milioni di euro di attivo patrimoniale e 50 dipendenti in media all'anno, le soglie minimali per far scattare l’obbligo di nomina dell’organo di controllo interno (revisore o sindaco) nelle SRL.

A differenza però degli attuali limiti previsti dall'art 379 del d.lgs. n. 14 del 12 gennaio 2017 (Codice sulla crisi d’impresa e l’insolvenza), l’obbligo scatterebbe dopo un solo anno e non più due e, altra modifica introdotta, dal superamento congiunto e non più disgiunto di due dei tre limiti prospettati.

Ma attenzione.

 Con lo stresso strumento legislativo (l’emendamento al Decreto Crescita) si introdurrebbe anche, sempre su proposta di uno dei partiti di maggioranza, l’obbligo per tutti gli amministratori di società di capitale di sottoscrivere una polizza assicurativa contro i rischi professionali per responsabilità civile legati a comportamenti di “mala gestio”.

Ricordo, a tal proposito, che l’articolo 2086 del Codice civile, nel suo novellato tenore, impone a tutti gli amministratori di società di capitale, prescindendo dalla loro dimensione, di garantire adeguati “assetti organizzati, amministrativi e contabili” evidentemente implicando l’assunzione di precise responsabilità a carico prima dell’organo amministrativo e poi, solo in subordine, quando presenti, di quelli di controllo.

Il secondo articolo, di sabato 18 maggio 2019, dal titolo “Sindaci revisori per le società, spunta la soglia-compromesso” a firma Giovanni Negri, in cui viene tra l’altro riportato il parere critico del Presidente del CNDCEC, Massimo Miani.

In questo articolo, viene riportata la notizia di un secondo emendamento, sempre su proposta di uno dei partiti di maggioranza, di “ridimensionare” a soglie meno elevate i suddetti limiti dimensionali, portandole rispettivamente a 4 milioni di euro di ricavi, 4 milioni di euro di attivo patrimoniale e 20 dipendenti in media all'anno (soglie ritenute di “equo compromesso” anche dal CNDCEC).

Queste (presunte nuove) soglie dimensionali vanno comunque confrontate con quelle previste dall'articolo 2435 bis dal titolo “Bilancio in forma abbreviata” del Codice civile, espressamente richiamato, in materia dall'articolo 2477, Capo VII (Delle società a responsabilità limitata) del Codice civile, dal titolo “Sindaco e revisore legale dei conti”.

Queste “vecchie” soglie, pari a 8,8 milioni di euro di ricavi, 4,4 milioni di euro di attivo patrimoniale e 50 dipendenti in media all'anno, sono attualmente ancora in vigore e lo rimarranno fino al 19 dicembre 2019, data in cui, trascorsi nove mesi dalla entrata in vigore del nuovo Codice, dovrebbero essere sostituite dalle “nuove soglie” introdotte dall'art. 379.

Ora, fermo restante il coordinamento normativo con le soglie preesistenti previste dall'art. 2435 bis, in materia di bilancio in forma abbreviata, soglie che evidentemente sarebbero mantenute a prescindere da ogni ulteriore intervento legislativo emendativo operato sull'art. 2477, qui il problema mi pare di capire è stabilire se o meno si debba dare ancora un senso e significato concreto al principio della “certezza del diritto”.

Il rischio che in realtà si sta correndo è di dare Tutti i “numeri al Lotto!”.

Ed allora, a rischio di passare per “elemento di disturbo”, cerchiamo di fare un po’ di chiarezza.

Innanzitutto, la questione dirimente delle soglie dimensionali da cui far scattare l’obbligo per il sindaco/revisore nelle SRL non ha nulla a che vedere con le procedure d’allerta interna tanto meno ne compromette l’introduzione ed efficacia operativa.

La norma, infatti, in materia è molto chiara: ai sensi dell’art. 12 del nuovo Codice, “Costituiscono strumenti di allerta gli obblighi di segnalazione posti a carico dei soggetti di cui agli art. 14 e 15 [revisori e sindaci e creditori qualificati, N.d.R.], ,…, unitamente agli obblighi organizzativi posti a carico dell’imprenditore dal Codice civile, …”.

Ovvero, quegli “assetti organizzativi, amministrativi e contabili”, di cui al novellato art. 2086 del Codice civile che, adeguatamente predisposti a garanzia e presidio della continuità aziendale, sono il reale e primario strumento di allerta per la tempestiva emersione della crisi d’impresa e la prevenzione del rischio d’insolvenza.

Tradotto: il principale soggetto responsabile del sistema di allerta interno, inteso come insieme di procedure organizzative, amministrative e contabili, risorse umane dedicate, sistemi informativi e strumenti diagnostici e prognostici integrati in un adeguato sistema di pianificazione strategica ed operativa e controllo direzionale, è e rimane l’amministratore e non i sindaci e revisori.

A quest’ultimi, in subordine, e riconosciuto “solo” un ruolo di monitoraggio, vale a dire di verifica del corretto funzionamento, se pur pro-attivo e non meramente reattivo come ritenuto (a mio avvio, erroneamente) in passato.

Solo nel caso, e si presume in via eccezionale, di inerzia o carenza (mala gestio) operativa da parte dell’amministratore sulla necessità di attivare i necessari presidi diagnosti e prognostici relativi ai sistemi di allerta preventiva interna, è chiesto ai sindaci e revisori, ai sensi dell’art. 14, ciascuno tra l’altro nell'ambito delle proprie funzioni e competenze, di intervenire obbligatoriamente in via suppletiva, effettuando la segnalazione di allerta (prima allo stesso organo amministrativo e poi all’OCRI), sulla base di un proprio diretto riscontro degli indicatori di cui all'art. 13 del nuovo Codice.

Ma come si traduce, in concreto, tutto questo nell'attuale dibattito, ahimè un po’ stucchevole ed inconcludente, sulle sogli minime da cui far scattare l’obbligo della nomina degli organi di controllo?

La risposta mi pare molto semplice e tra l’altro facilmente deducibile da un’attenta, sistematica e non superficiale lettura della Norma.

Qualunque siano i limiti dimensionali fissati, il principale responsabile del sistema di allerta è e rimane l’organo amministrativo su cui, in caso di innalzamento delle soglie predette, competerà in via esclusiva l’obbligo e la responsabilità di attivare l’allerta preventiva adoperandosi pro-attivamente per l’adozione di ogni misura necessaria per la tempestiva risoluzione della crisi e, se del caso, anche procedendo all'istanza all’OCRI, ai sensi e per gli effetti dell’art. 18 del nuovo Codice.

Nella “filosofia” del nuovo Codice, quindi, l’introduzione della obbligatorietà dell’organo di controllo interno è visto come una “opportunità” e non come l’ennesimo “carico burocratico-amministrativo”.

Quest’ultimo è cioè inteso come un “organo di garanzia” per l’imprenditore che in tal modo può disporre di un supporto decisionale interno capace di monitorare le sue scelte, impedirne l’adozione anche involontaria di atti di gestione economicamente non convenienti e finanziariamente non sostenibili e coadiuvarlo nella valutazione dei rischi d’impresa (in primis, economico-finanziari ma anche strategici ed operativi).

Ovviamente, tale “obbligo” (meglio sarebbe dire, “opportunità) è auspicabile che venga introdotto seguendo il principio di proporzionalità, venendo “calibrato” in funzione della reale dimensione aziendale.

Senza scomodare quindi il gioco del Lotto o la Tombola napoletana, basterebbe semplicemente confermare gli attuali limiti dimensionali (8,8 milioni di euro di ricavi, 4,4 di attivo patrimoniale e 50 dipendenti) enfatizzando maggiormente il ruolo pro-attivo e non meramente reattivo del sindaco/revisore.

Limiti che, tra l’altro, sono coerenti con la normativa europea e giustificati da precise e puntuali indicazioni di comunicazione finanziaria a garanzia dei terzi (redazione del bilancio in forma ordinaria e conseguentemente predisposizione del rendiconto finanziario).

 Viceversa, per le società di minore dimensione, come mi pare sia allo studio del CNDCEC su mia indicazione, basterebbe introdurre l’obbligatorietà un visto di conformità e congruità legale sulla veridicità, affidabilità e significatività della reportistica finanziaria, sia storica (bilanci e situazioni contabili), ma anche corrente (piano di tesoreria a 6/12 mesi) e prospettica (outlook o piano aziendale a 3 anni), da rilasciare a cura e responsabilità diretta di un dottore commercialista specializzato o revisore, neutrale ed indipendente, ovviamente differente da colui che cura la contabilità e gli adempimenti fiscali dell'impresa.

Ancora una volta, riproponendo il tormentone di una nota pubblicità di qualche anno fa, “basta poco che ce vo’!”. 

Simone Coppa

Ad Iseo composizione crisi da Sovraindebitamento

5 anni

Recuperare da questo stato attuale di crisi economica in primis sarà un lavoro pazzesco. Gia nella tua premessa si sottolinea come si debba lavorare insieme, tutti soggetti chiamati in causa-banche comprese- affinché si raggiunga uno standard di controlli efficienti ed efficaci. Tutto questo per avere un tessuto economico- sociale forte che non traballi al primo soffio di vento.

Matteo Brangi

Dottore Commercialista e Revisore Legale specializzato in gestione della crisi e risanamento d'impresa

5 anni

In teoria d'accordo su tutto: all'atto pratico però mi chiedo (e ti chiedo) quali possano essere i presupposti per il rilascio di un visto di conformità. A meno di adeguate linee direttive sula compliance delle società sottratte all'obbligo di dotarsi di organo di controllo, temo fortemente che le verifiche cui sarebbe chiamato chi dovesse rilasciare il visto sarebbero nei fatti le medesime di un sindaco/revisore, con molte meno opportunità di acquisire le necessarie informazioni di carattere contabile ed extra-contabile: per tacere poi dei correlati problemi di tempi e adeguata remunerazione, posto che le responsabilità del professionista in questione sarebbero sovrapponibili a quelle del sindaco/revisore. 

gianantonio la bella

già dirigente industriale, dottore commercialista, mi occupo di consulenza gestionale

5 anni

Una cosa è certa: noi italiani siamo fenomenali nel complicare qualsiasi cosa. Siamo difronte ad una norma, una volta tanto propositiva, che definisce le regole e le modalità con cui ogni imprenditore dovrebbe gestire la propria azienda: proprio così, una azienda ben gestita non può prescindere dall'utilizzo di strumenti di pianificazione e controllo in cui vengono coinvolti tutti gli organismi societari a prescindere dalle dimensioni. La storia dei dissesti aziendali è contrassegnata da tardivi riconoscimenti dei sintomi di crisi, dall'illusione che spinge ad escludere lo stato di crisi od a minimizzarne la portata, dal timore di adottare misure idonee perchè inevitabilmente dolorose. L'effetto finale di tali comportamenti è che il processo di disfacimento diventa via via più grave, fino all'irreversibilità. Sarebbe quindi un bene che tutte le parti in causa si prodigassero affinchè il sistema industriale possa,finalmente, fare un decisivo salto di qualità.

Felice D'Amora

Chartered Accountant, Statutory Auditor, Official Receiver, Temporary CFO

5 anni

Mi chiedo da tempo come mai non sia il sistema bancario a chiedere un "visto di conformità".

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