E se il Movimento 5 Stelle avesse sbagliato storia?

E se il Movimento 5 Stelle avesse sbagliato storia?

di Laurent Ferrante

Le storie sono lo strumento che usiamo per comprendere il mondo.

Questa banale constatazione è l’assioma di base su cui poggiano tutte le strategie di comunicazione, e la politica non fa eccezione. Anzi, la comunicazione politica è proprio il campo in cui il racconto acquista maggiore importanza e dove imboccare la storia giusta o sbagliata può condurre un partito al successo o condannarlo al fallimento.

La sconfitta del Movimento 5 Stelle alle regionali in Abruzzo è lampante e chiunque cerchi di ridurla a una questione meramente locale rischia di mancare drammaticamente il punto. L’esplosione della Lega da 0 a 27% (o da 13% a 27% se si vuol considerare il dato delle politiche di un anno fa) non si può spiegare con dinamiche territoriali ma è chiaramente figlia dei primi 8 mesi di governo giallo verde.

Ma come mai lo stesso identico Governo, il Governo più apprezzato d’Europa, ha un effetto così benefico per Salvini, così benefico per Conte (gradimento al 62% secondo Ipsos), e invece così nefasto per il Movimento 5 Stelle? Secondo il parere di chi scrive la risposta è una e una sola: il Movimento 5 Stelle ha sbagliato storia. Completamente.

Ogni storia è composta da un protagonista e da un antagonista, da una causa e da un obiettivo. La narrazione segue un climax, ovvero un processo in crescendo, fino a raggiungere l’acme, ovvero il culmine, momento in cui l’obiettivo viene raggiunto (o definitivamente perso) e ci si avvia verso la risoluzione e la conclusione.

Il Movimento 5 Stelle per 10 anni ha avuto la storia migliore di tutte: il cavaliere rivoluzionario che si oppone al sovrano corrotto in nome del popolo. Una storia talmente forte, e portata avanti con tanta coerenza da portare i 5 Stelle al Governo. Ed è qui che il Movimento si è perso. Non ha capito che l’obiettivo era raggiunto e la storia finita, non ha capito che da quel 1° giugno doveva iniziare il volume due della saga. O meglio, sembrava averlo capito ma evidentemente la presenza di Salvini come partner di governo deve aver scompigliato le carte stellate al punto di non riuscire, almeno fino ad ora, a rimettere insieme il mazzo.

La campagna elettorale di Di Maio era stata magistrale, perfetta sotto ogni punto di vista e con grande intelligenza erano state messe le basi del volume due: niente più barricate ma serietà, competenza e buon governo. Una linea che, ad eccezione di Conte, che infatti gode di grande consenso, è stata quasi del tutto abbandonata, almeno nella strategia di comunicazione. Un errore che sta costando caro.

Il più grande vantaggio competitivo di Salvini è la sua storia. La parabola del suo personaggio è ancora giovane e deve ancora raggiungere l'acme.

Il Movimento 5 Stelle ora siede su quel trono strappato al sovrano decaduto (il PD) e viene giudicato per come si comporta in quel ruolo, che è diverso, molto diverso da quello del rivoluzionario. Ci si aspetta la rivoluzione promessa, certo, ma con modi da Sovrano. Si concedono errori per la giovane età, certo, ma si pretendono anche sicurezza e stabilità. E invece la comunicazione del Movimento 5 Stelle è rimasta barricadiera e rabbiosa e a causa di una serie di errori, più di una volta è parsa fuori luogo, infantile e dilettantesca. Dalla festa sul balcone per festeggiare “l’abolizione della povertà”, ai selfie del Ministro Toninelli dopo la tragedia di Genova, dai proclami massimalisti sul deficit a 2,4 “altrimenti non diamo più un euro all’Europa”, agli attacchi pretestuosi al Franco coloniale francese, nella disperata ricerca di un qualche nuovo antagonista. Una cacofonia stridula nata da una variabile imprevista: la presenza di un Primo cavaliere carismatico e ingombrante, che contende la leadership morale del nuovo regno.

Salvini è un leader naturale e un comunicatore senza pari in Italia, questo ormai è evidente a tutti, ma il suo più grande vantaggio competitivo è la sua storia. La parabola del suo personaggio è ancora giovane, deve ancora completare la sua crescita e non si fermerà finché non raggiungerà l’apice, cioè quel trono su cui ora siedono i 5 stelle.

Questo impone Salvini come l’unico vero antagonista nel nuovo racconto del Movimento 5 Stelle. Non il PD, la cui storia è finita da un pezzo (almeno fin quando non si rinnoverà sul serio), ma quel Primo cavaliere che ha ottenuto grandi vittorie in battaglia, portando la Lega dal 4 al 17%, e incarna gli ideali della rivoluzione del 4 marzo, tanto quanto i 5 Stelle. Un rivale temibilissimo, ulteriormente rafforzato dalla posizione privilegiata che occupa in seno al Governo e gli consente di attaccare senza essere attaccato.

Salvini infatti, dosando bene tempi e modi e alternando sapientemente carezze e colpi bassi, può attaccare il Movimento 5 Stelle a piacimento. Può creare tensioni sui temi senza sembrare irresponsabile, ma , anzi, ambizioso. Può rivendicare ogni piccola vittoria personale come una conquista strappata all’alleato. Può sfruttare ogni défaillance dei 5 Stelle per denunciarne la presunta inadeguatezza e proporre sé stesso come alternativa. Può dissociarsi dalle scelte del Sovrano e raccontare che se sul trono ci fosse stato lui, avrebbe agito diversamente. Insomma, può intestarsi i meriti e scaricare le colpe, mentre al Movimento 5 Stelle non viene concesso neppure un contrattacco perché portando sulle spalle tutta la responsabilità del nuovo Governo e della sua stabilità, ogni oscillazione e ogni crisi gli vengono impietosamente imputate.

Ora che il trono è conquistato, il Movimento 5 Stelle deve ricoprire il ruolo del Sovrano giovane, credibile e supercompetente. Come la squadra presentata da Di Maio in campagna elettorale.

In una simile condizione, il Movimento 5 Stelle barricadiero non ha scampo: non è credibile come forza di governo e quando, fedele quantomeno alle origini rivoluzionarie, prova a rispondere a tono ai manrovesci di Salvini, perde ancora più credibilità, come hanno ampiamente dimostrato i risultati deludenti dell’operazione Di Battista.

Esiste allora una sola via per salvare il Movimento dall’estinzione: smettere definitivamente i panni del cavaliere rivoluzionario e indossare invece i panni del buon Sovrano. Il fatto però è che il volume due della saga 5 Stelle è iniziato da 8 mesi ormai, e molti elettori che si aspettavano di vedere questo Sovrano, convintisi che il Movimento sia inadeguato al ruolo, hanno già abbandonato la nave. Ma non tutto è perduto, la situazione non si è ancora cristallizzata e il consenso si può ancora recuperare. Per farlo però, è necessario riconquistare la credibilità perduta, e alla svelta.

Come fare? Governare bene è sicuramente un buon inizio e l’intenzione dei 5 Stelle è senz’altro quella, ma governare bene non basta. Per vedere i frutti di una buona politica possono volerci anche 5-10 anni e l’erosione di voti evidenziata in Abruzzo non sembra intenzionata a pazientare così a lungo. Serve allora puntare tutto sulla comunicazione, sul nuovo posizionamento e su una nuova brand identity.

Il nuovo brand del Movimento 5 Stelle deve diventare l’asset principale intorno al quale costruire ogni strategia futura e deve adattarsi al nuovo ruolo recuperando quanto di buono seminato da Di Maio in campagna elettorale: il concetto dei supercompetenti, giovani, seri, capaci.

Attenzione però, una superficiale operazione di make-up non è sufficiente. Per funzionare, il nuovo brand dovrà essere rinnovato in modo organico e coerente in ogni sua componente. Nell’estetica, nei toni, nei messaggi, nelle scelte di governo, persino negli uomini, se serve. Il Movimento 5 Stelle va ripulito da ogni traccia di incompetenza (sia essa reale o apparente), ripulito dagli atteggiamenti rivoluzionari, ripulito dal populismo da campagna elettorale. Vanno abbandonati, o quantomeno ridotti, gli annunci e le polemiche, fondamentali per la rivoluzione, ma controproducenti per il Governo. 

Da un Sovrano infatti, ci si aspettano competenza e responsabilità, per questo le accuse di incompetenza lanciate dalla stampa prima del 4 marzo avevano un effetto modesto sul consenso del Movimento e oggi invece lo logorano.

Ciò significa forse che bisogna diventare algidi e seriosi come Monti o Letta? Assolutamente no, il ruolo del saggio non è compatibile con il volume uno della saga e un legame con il volume uno va sempre mantenuto. Servono i supercompetenti sì, ma devono ereditare dal periodo rivoluzionario la freschezza e la sensibilità verso le sofferenze del popolo. Il modello a cui tendere, sebbene vada declinato in modo più fresco e meno istituzionale, è quello tratteggiato e interpretato dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte: ascolto, esecuzione, controllo. A cui vanno aggiunti serietà, umanità e concretezza perché, in fondo, se un Sovrano si comporta bene, governa bene e migliora concretamente la vita dei suoi cittadini, nemmeno il più agguerrito dei primi cavalieri può sottrargli il trono.




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