Ecosistemi della Formazione

Le Academy di Meccatronica: piattaforme del lavoro e dell’apprendimento

Ecosistemi della Formazione Le Academy di Meccatronica: piattaforme del lavoro e dell’apprendimento

Di Enrico Viceconte[1]

Abstract
In un Paese la cui economia è fondata sulla manifattura e sul “medium tech” è necessario rinnovare nei territori gli “ecosistemi della formazione”.  Una rigenerazione e una fertilizzazione che può avvenire con la creazione di “Piattaforme per il lavoro e l’apprendimento” nell’ambito delle nuove tecnologie per la produzione. La risposta è in nuce nelle Academy ITS per l’ambito meccatronico. Una opportunità che deve essere colta non con semplici esortazioni a far crescere in quantità e qualità la formazione terziaria, ma con una profonda comprensione di cosa sia, per il Paese e i suoi territori a vocazione manifatturiera, un investimento in formazione con un orizzonte a medio termine e un focus sul medium tech.

 

C’è una scarsa conoscenza nel Paese e una diffusa incomprensione (anche degli addetti ai lavori) della straordinaria novità costituita dalle Academy ITS nell’”ecosistema della formazione[2]”. Spesso, adottando una lente burocratica e normativa, si percepisce la formazione terziaria come un proseguimento di quella secondaria (EQF4: licei e istituti tecnici) o un’alternativa più professionalizzante alle lauree di primo e secondo livello (EQF6 – EQF7). Insomma, il semplice riempimento di un vuoto con leggi e decreti che istituiscono un nuovo ordine di studi del livello EQF5 dell’European Qualification Framework sinora non previsto nel sistema educativo italiano.

Le Academy ITS vogliono essere invece qualcosa di molto di più e di molto diverso: una piattaforma condivisa per il lavoro e l’apprendimento che offre i propri servizi lungo tutto l’arco della vita delle persone e un agile supporto alle imprese nella ricerca e nella formazione mirata di talenti per affrontare le sfide della competizione. Ciascun ITS dovrebbe essere una “shared academy” in grado di soddisfare in modo specifico e contestualizzato le esigenze di numerosi stakeholder territoriali. Le persone, innanzitutto, ma anche le imprese di specifici territori e/o filiere produttive capaci di sfruttare l’opportunità di avere a disposizione un’Academy a basso costo, il mondo dei servizi pubblici (ad esempio i Centri per l’impiego) e privati (ad esempio le Agenzie per il lavoro) dedicati all’incontro da domanda e offerta di lavoro e alle politiche attive per il lavoro, le Università, gli Enti Locali e i servizi regionali. E infine gli istituti scolastici  che, entrando nella governance delle Academy ITS, possono arricchire la propria missione in un concreto supporto allo sviluppo e alla valorizzazione del potenziale dei propri “alumni” lungo tutto l’arco della vita.

Chi individua le Academy ITS come in concorrenza con le Lauree di primo e secondo livello, probabilmente non ha compreso le caratteristiche e la portata di questa novità. Le Academy non sono neanche in concorrenza con la miriade di piccoli e medi organismi di formazione che svolgono a livello locale un importante ruolo di manutentori delle competenze con la propria distintiva capacità di utilizzare efficacemente risorse pubbliche e Fondi interprofessionali.

Ragionando in modo “sistemico”, nell’ecosistema del lavoro e della formazione

1)      Scuole ed Atenei hanno un’essenziale funzione “stabilizzante” e del tutto generale sui saperi di base, con un effetto sul lungo periodo

2)      gli organismi di formazione privati operano in un mercato molto competitivo con la funzione di risposta immediata a specifiche e puntuali esigenze di manutenzione delle competenze

3)      le Academy ITS si pongono invece nel mezzo tra i due modelli curando una formazione orientata al “medio periodo” lavorando su competenze “comuni” in rapida trasformazione legate alle trasformazioni che toccano i diversi settori industriali. La risposta delle Academy alle trasformazioni tecnologiche ed economiche è di medio termine ma il tempo di risposta (l’”agilità”) e la flessibilità del modello organizzativo e di governance degli ITS consente un’adeguata., diversificata e differenziata risposta locale alle esigenze del sistema produttivo, spesso caratterizzato da livelli di specializzazione industriale territoriale o settoriale.

La figura seguente, che presenta i diversi livelli di qualificazione dell’European Qualification Framework, spiega bene la collocazione dei profili EQF5 ma dà purtroppo l’idea sbagliata di una scala a gradini sequenziali dal basso verso l’alto, con un gradino in più, che non rispecchia la vera missione delle Academy ITS.


 

La molteplicità degli stakeholder che possono (e DEVONO) esercitare un ruolo di governance e di co-progettazione dei servizi di un’Academy condivisa è garanzia di poter indirizzare l’offerta di corsi e servizi di orientamento e career guidance[3] verso obiettivi e impatti di medio tempo rilevanti, realistici, misurabili, e pianificati nel tempo. A vantaggio di chi ha profuso il proprio impegno nell’ecosistema e del territorio più in generale. Contro una logica “attendista” delle imprese (aspetto che il “sistema” educativo mi offra, coi suoi tempi, le competenze che potrebbero servirmi), ma anche contro una logica dell’“emergenza” (ordino “alla carta” i corsi brevi che mi servono qui ed ora).  In un Paese che trae il proprio vantaggio competitivo dal “Medium Tech”, cioè dalla capacità “combinatoria” degli imprenditori di utilizzare la tecnologia disponibile per migliorare prodotti e processi, la proposizione di valore del “movimento” degli ITS è, a nostro avviso, essenziale. [4]

La seguente tabella illustra il posizionamento strategico di un’Academy dell’ambito meccatronico in base alle caratteristiche di propensione all’investimento in formazione. Logica del ritorno dell’investimento (1) e focus dell’investimento in base alla complessità tecnologica del business (2) determinano dei profili strategici che determinano la scelta di un sourcing diverso per le competenze necessarie alla competizione in un certo settore.


La tabella fa riferimento al “mercato” del lavoro costituito dalla domanda delle imprese, ma anche alla domanda di altri stakeholder. Ad esempio, gli enti territoriali, le aree industriali specializzate (distretti), piccole e medie imprese delle supply chain di grandi gruppi manifatturieri.

Nel prossimo paragrafo chiariremo  meglio il concetto, ancora non abbastanza noto, di Medium Tech.

Il Medium Tech, l’intelligenza combinatoria e le Academy ITS della Meccatronica

Cito in questo paragrafo quasi integralmente un mio articolo pubblicato su Harvard Business Review Italia, che attribuisce a Gianfelice Rocca, Presidente della Techint, il merito di aver definito con chiarezza l’importanza del medium tech nell’economia del nostro Pese.

La differenza che passa tra innovazione incrementale e innovazione “a gradino”, per gli effetti sui settori maturi, la troviamo nella diversità tra il concetto di “dematurity” di William Abernathy (1985) e quello di “disruption” di Clayton Christensen (1993).

Abbiamo dematurity quando l’innovazione di prodotti e processi nasce nel settore, grazie ad una progressione di miglioramenti, come nel caso dell’introduzione del processo di colata continua nelle acciaierie o del sistema di produzione Toyota nell’industria dell’auto. Due innovazioni progressivamente adottate da tutte le imprese siderurgiche (anni ‘70-‘90) e automobilistiche (anni ’80 -‘00).

L’innovazione disruptive, invece, sopraggiunge in un settore spesso dall’esterno, con capability “aliene” per l’ecosistema. La distruzione, più o meno creatrice, è improvvisa e devastante per il settore, come vuole suggerire il concetto di “Big bang disruption” coniato da Downes e Nunes (2013).

La prima buona notizia è che questo assalto non avviene con la frequenza e gli effetti devastanti annunciati dai profeti della disruption. La seconda buona notizia è che alcuni paesi sono meno esposti agli shock della disruption perché hanno un’economia basata sulla manifattura avanzata, dove la competizione si gioca sulla capacità di sviluppare o adottare l’innovazione in modo incrementale. La terza buona notizia è che anche l’Italia, come la Germania e il Giappone,  è tra questi paesi che Gianfelice Rocca definisce del “medium tech”.

Il punto di vista di Rocca è di un industriale a capo di un Grande Gruppo, la Techint, che ben rappresenta la capacità italiana di presidiare specifiche nicchie di mercati maturi.  D’altra parte, anche la configurazione di “multinazionale tascabile” è particolarmente adatta a servire piccoli segmenti specializzati del mercato mondiale.

Nell’industria “medium tech” l’innovazione prevalente è incrementale, market pull, adattiva e generata in tutti gli strati e le funzioni dell’organizzazione: manager, tecnici, operai. Il miglioramento progressivo dei processi che producono valore, genera capability difficilmente imitabili e radicate nel territorio. Il processo di apprendimento è completamente diverso da quello che parte da zero, così come il modello di diffusione delle conoscenze chiave nell’organizzazione.

Due esempi: il processo Mannesmann di produzione di tubi senza saldatura (brevetto del 1888) e il prodotto “freno per veicoli” esistono da oltre cento anni ma il fatto che la Tenaris (azienda di Rocca) e la Brembo riescano a competere sui mercati globali, producendo tubi senza saldatura e freni, dipende dal fatto che si sono accumulati nei processi e nei prodotti un’enorme quantità di miglioramenti incrementali, combinati fra loro in maniera difficilmente imitabile.

Riferendosi all’ingenium italiano, in grado di combinare tecnologie sviluppate altrove per ottenere processi e prodotti migliori, Rocca parla di “innovazione combinatoria” ed afferma che questa dipende, più che dal “merito straordinario” di pochi, da un’azione corale e diffusa di molte persone ossia dal “merito ordinario”.

Nei paesi come l’Italia, che conservano un’industria “medium tech” competitiva, c’è posto per chi ha tradizioni millenarie nel muovere e trasformare la materia fatta di atomi e per chi, fornendo idee, servizi e sistemi avanzati all’industria manifatturiera più tradizionale, si specializza nelle operazioni simboliche e nel muovere i bit.  Da noi la ricchezza prodotta dal medium tech è più stabile e meglio distribuita rispetto a quanto succede oggi negli USA. Una considerazione che Rocca supporta correlando il peso della manifattura con il coefficiente di Gini sulla diseguaglianza.

Un vantaggio, per Rocca, che va salvaguardato attraverso adeguate politiche industriali e della formazione, per la valorizzazione del “merito ordinario”. Per far posto sia ai giovani startupper baciati dal talento (e dalla fortuna) sia ai senior portatori di esperienza. Insomma, un’economia più armonica e inclusiva.

Il mio articolo su HBR è del 2014. Oggi possiamo pensare che la creazione delle Academy ITS sia nella direzione indicata da Gianfelice Rocca.

Del 2015 era un mio articolo pubblicato in Vision, Rivista trimestrale di Unindustria Reggio Emilia. Nell’articolo, commentando un libro di Viesti (economista industriale) e De Vico (giornalista), si analizzavano due tipi di risposte e, di conseguenza, due tipi di politiche pubbliche sui piatti della bilancia.

“Nel primo piatto della bilancia, Gianfranco Viesti sostiene con convinzione le ragioni e l’importanza dell’azione pubblica (top-down) per fronteggiare la globalizzazione, per scetticismo sulla possibilità che il mercato sia capace “di spingere gli imprenditori a fare investimenti e a governare l’innovazione”.

Nel secondo piatto della bilancia, Dario Di Vico, per scetticismo sulla “capacità dei soggetti pubblici di operare in una materia così complessa”, mostra invece maggiore fiducia nell’iniziativa e negli “animal spirit” degli imprenditori italiani (bottom-up).

Dal bilanciamento delle due posizioni emergerebbe una politica industriale con soluzioni nuove e creative, in logica ambidestra di “Stato e Mercato” più che di “Stato o Mercato” e con la presa d’atto che, in un’economia competitiva, convivono il “cacciavite, il robot e il tablet”. La possibile nuova politica industriale auspicata nel libro prevede la presenza, in un paese, di molteplici settori industriali e il presidio, la prossimità e l’integrazione “quasi gerarchica” (ovvero di “quasi mercato”), del maggior numero possibile di segmenti verticali delle Global Value Chain.

Alla luce di quelle riflessioni di dieci anni fa, possiamo dire che l’idea dell’investimento nelle Academy ITS dovrebbe essere nella logica dell’”ambidestria”. L’epifania dell’ incontro tra “top-down” e “bottom-up” all’interno di un ecosistema della formazione e del lavoro. Il che presupporrebbe che il “quasi mercato” degli ITS funzioni e che le imprese, anche con il supporto delle loro organizzazioni di rappresentanza, usino il potere di governance, di co-progettazione e di comakership investendo del proprio. Altrimenti addio all’auspicata ambidestria e all’incontro tra top down e bottom up.


[1] Ingegnere elettrico e dell’automazione, associato al CNR-ISMED  e docente a contratto dell’Università di Napoli Federico II ha diretto lo sviluppo programmi  della Stoà, Istituto di Studi per la Direzione e Gestione d’Impresa.  Attualmente è Program manager della Fondazione Manifattura Meccanica, una delle 14 Academy italiane per l’area Meccatronica. Ha pubblicato diversi contributi sul tema degli “ecosistemi della formazione”, tra cui articoli su Harvard Business Review Italia e nel volume L’Ecosistema della Formazione edito da Egea Bocconi.

[2] Enrico Viceconte, I nuovi sistemi di performance management, in AA.VV, L’ecosistema della formazione, Egea-Università Bocconi Editore, 2019-09-12

[3] Alcuni contributi in volumi sul tema degli ecosistemi della formazione

·         Enrico Viceconte, Discorso sul metodo, in Modelli di Orientamento alle carriere in azienda, Guida Editore, 2012

·         Enrico Viceconte, curatore e autore, La formazione Manageriale in una Learning Region, Franco Angeli, 2008

[4] Alcuni articoli sul tema degli ecosistemi della formazione

·         Enrico Viceconte, Superblending: formazione per l'innovazione, Harvard Business Review Italia N°1 201

·         Enrico Viceconte, Il "medium tech" e il grande potenziale del merito ordinario", Harvard Business Review Italia, ottobre 2014

·         Enrico Viceconte, La politica industriale ai tempi del tablet, in Vision, N°55 2015, Rivista trimestrale di Unindustria Reggio Emilia


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