Edipo

Edipo

Immaginiamo di essere a Londra, in Leicester Square, nei pressi di uno qualsiasi dei tanti cinema che popolano la piazza. Siamo alla prima di un film, di quelli destinati a sbancare il botteghino.

Uno stuolo di ammiratrici è accalcato vicino alle transenne fin dal primo mattino. Sono innumerevoli. Un calderone di razze, tipi umani, età, smalti e rossetti, sante e puttane, tutte accomunate da un unico scopo: vedere lui! E’ l’idolo di turno, il protagonista, il dio dello schermo, il bellissimo, irraggiungibile Apollo che tante volte ha solleticato la loro fantasia erotica attraverso le copertine patinate delle riviste più glamour o le apparizioni nei programmi televisivi, di solito di lieve spessore ma di grandissimo impatto mediatico.

E loro sognano! Ad occhi aperti alcune volte. Sognano sui banchi di scuola lasciando piccoli e brevi messaggi nelle pagine rosa dei loro diari; oppure le più grandi sognano guardando il calendario che lo ritrae in dodici bellissime immagini mentre sorride alla parete dell’ufficio o del negozio della parrucchiera all’angolo. E sognano anche le madri, bambine mai cresciute che per qualche istante, quando lo vedono apparire sullo schermo, ripensano alla loro adolescenza non troppo lineare e vorrebbero avere una seconda opportunità di giovinezza. Sognano. E ora si ritrovano in quella piazza, faccia a faccia, gomito a gomito, in una sorta di gara in cui ciascuna è sola con se stessa e tutte fanno parte della medesima squadra.

Eccolo che arriva! Non appena scende dalla limousine, tutta la piazza viene sommersa da urla e sospiri. Ognuna invoca il suo nome, alcune lo gridano apertamente, altre si limitano a sussurrarlo. Lui si ferma, alza una mano e guarda verso di loro e in quel momento il tumulto si fa assordante. Note più o meno acute vengono emesse da tutte quelle labbra semiaperte e gli occhi estasiati si potrebbero raggruppare in un grande, meraviglioso e inquietante sguardo eccitato che lo accompagna mentre percorre lentamente il tappeto rosso fino a scomparire dietro la porta dell’Olimpo.

Per pochi minuti tutta l’energia che fino a poco prima era dipanata e dispersa tra le lunghe ore di attesa, la stanchezza, i crampi che procurano le scarpette con il tacco, la paura di vivere un momento tanto intenso, ora è concentrata interamente su di lui, e quasi si può vedere e toccare con mano questa energia perché gli dà la forza di passare in mezzo a quel marasma femmineo rimanendo indenne.

Le sue spalle sono ben diritte e aperte. E’ cosciente di appartenere al mondo degli dei e nemmeno si accorge di quanti e quali pensieri si stanno accalcando nella mente di tutte quelle povere sventurate. O meglio, ne è cosciente ma non gli interessa, perché in ogni caso, comunque vada, lui sarà l’unico vincitore. Loro... beh... loro si dovranno accontentare di averlo visto. Alcune saranno costrette ad assaggiare una delusione amara dopo questo incontro, e falsamente attribuiranno quel malessere al fatto che “E’ più basso di come lo immaginavo” “Pensavo che fosse più scuro di capelli” “In fondo non è così bello come compare sulle copertine”. In realtà sarà solo l’amarezza di aver vissuto il sogno di una vita e di non averne altri a disposizione.

Per queste creature era l’attesa del sogno il vero sogno. Che ci fosse lui o qualcun altro al di là della transenna importava gran poco. Cercheranno consolazione nel fatto che “Io l’ho visto” “Io c’ero” “Posso dire di esserci stata”. Poca cosa in verità, ma la vita più di questo a loro non può riservare e grazie alla capacità innata che hanno le donne di scendere a compromessi col destino, saranno felici e grate in eterno per quel momento rubato. Ciascuna nella propria mente immaginava di ancheggiare insieme a lui su quel tappeto e di essere ammirata e invidiata da tutte le altre rimaste al di qua delle transenne. Ma ovviamente, per tutte, è rimasto solo un sogno.

Ora se ne stanno andando. La piazza si sta svuotando. Le più sagaci del gruppo mandano giù quell’esperienza in un solo boccone e poi la dimenticano annegandola in un drink al tavolino di uno dei tanti pub, facendosi quattro risate magari in compagnia di qualche maschio, non certo un divo ma comunque piacente, che sicuramente è alla ricerca di esperienze forti. Altre, le mamme soprattutto, si affannano di corsa affollando la stazione della metropolitana pensando a cosa dovranno mettere in tavola per cena, dimenticando quel volto efebico e tuffandosi anima e corpo nella routine di tutti i giorni, dalla quale hanno avuto la possibilità di uscire, almeno per qualche ora, proprio grazie a quel divo in Leicester Square.

Infine ci sarà un gruppo, neanche tanto esiguo, che si consumerà fino ad esaurirsi pensando al momento appena vissuto, o meglio al momento non vissuto perché talmente intenso che nemmeno lo ricordano! Saranno come tante eroine di un romanzo ottocentesco che si sciolgono nel loro dramma e nel loro dolore, rimuginando ininterrottamente su ciò che vorrebbero avere ma che è stato loro proibito. Bambine capricciose che non si sono rassegnate alla posizione di semplici fans che la vita ha deciso per loro e che, anche solo per un brevissimo istante, darebbero chissà che cosa per poter essere la moglie di, la fidanzata del, l’unica preferita, la sola, eternamente amata da quel meraviglioso prodotto della natura, il cui sguardo, ne sono sicure, le ha sfiorate per pochissimi secondi.

Illuse! Illuse e tanto infelici.

Supponiamo ora di rivedere la stessa, identica sequenza di fatti ambientandola non più all’aperto, in una grande città, bensì nell’intimo e contenuto spazio di uno studio medico, caldo e accogliente come deve essere una qualsiasi superficie studiata per ospitare un tipo di terapia particolare. Siamo nello studio di un neuropsichiatra, non importa quale, tanto il copione è sempre lo stesso, perché la razza umana è inesorabilmente prevedibile e fortunatamente costruita “in serie”.

I protagonisti sono gli stessi. Da una parte abbiamo un divo, bello, irraggiungibile, cosciente della sua posizione privilegiata e fiero, giustamente fiero, del percorso che ha dovuto fare, durato sicuramente non poco, prima di potersi sedere su un trono così ambito ma anche, per certi versi, così scomodo.

Dall’altra parte ci sono loro. Le fans, le sognatrici, le flotte di pazienti isteriche che si susseguono ininterrottamente su quella poltrona, ciascuna sola con sé stessa, tutte diverse eppure tutte uguali. Un calderone di razze, tipi umani, età, smalti e rossetti, sante e puttane, accomunate da un unico scopo: avere lui!      

Questa volta, fortunatamente, il divo è partecipe del dramma di tutte queste sognatrici e non di rado soffre insieme a loro, sicuramente non contento di essere parte di un meccanismo che ha innescato lui stesso perché necessario alla cura ma che sa essere, per le sue pazienti, amaro più della fiele.

E’ difficile dire in quanti e quali gruppi possano essere raggruppate queste donne; ci saranno sicuramente le più sagaci che annegheranno l’esperienza del colloquio in un drink al tavolino di un bar, magari in compagnia del marito o di qualche amica, cercando di cancellare la tensione incontenibile che si è scatenata nel corso di quei cinquanta fatidici minuti in cui sono state costrette a guardarsi dentro con uno specchio molto particolare, dalle sembianze umane ma, come del resto tutti gli specchi, dalla consapevolezza divina.

“Specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame?”. Peccato però che anche questa volta, come tutte le precedenti, lo specchio sia rimasto muto.

Ci saranno sicuramente le mamme che tornano a casa in fretta per prelevare i figli da scuola e pensano durante il tragitto a quel dialogo clinico in cui una voce maschile, calda e sensualissima, le ha cullate come bambine, quasi addormentandole in una sorta di trance dalla quale non avrebbero più voluto svegliarsi.

E poi ci sono le eroine, o le antieroine. Le bambine cattive che non si piegano ai voleri del fato e non accettano che qualcosa, qualsiasi cosa venga loro proibito. Lo vogliono con tutte le loro forze, lo bramano in ogni suo movimento, in ogni sua espressione. Hanno anche il coraggio di guardarlo dritto negli occhi, di tanto in tanto, quasi fosse una sfida da giocare all’ultimo sangue, una battaglia che le vedrà sicuramente perdenti ma dalla quale, proprio in virtù di questo, si potranno rialzare vincitrici.

La pulsione che le tormenta da dentro durante quei cinquanta, interminabili, brevissimi minuti, quasi le annichilisce e le vede dissolversi sotto lo sguardo attento e scrutatore di questo dio irraggiungibile, che di tanto in tanto, in piccolissime dosi molto diluite, lascia anche intravvedere un certo compiacimento che non ha altro scopo se non inasprire la guerra e rendere incommensurabile la vittoria. Perché questa volta, a differenza del divo di Leicester Square, lui sarà vincitore solo se loro vinceranno.

Dovranno rinascere dalle loro ceneri come l’araba fenice e se questo accade, o meglio, quando questo accadrà, tutte indistintamente, si ritroveranno a dire grazie a quel meraviglioso prodotto della natura che ha fatto della sua divinità uno strumento di guarigione per gli altri esseri umani, di tutti i tipi, di tutte le età, di smalti e rossetti, di sante e puttane, accomunate da un unico sogno: non desiderare più nessuno e bastare a se stesse!


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