Era ora: il film che era ora di vedere.
Nell'ultima settimana mi sono imbattuta più volte nel termine "stacanovista", termine che mi dà parecchio fastidio (proprio quanto me ne dava "secchione" negli anni del liceo) ma che ha la capacità di farmi tendere le antenne, perché mi fa chiedere: dove sta il limite? Dove sta il limite tra il lavorare con zelo e passione e far più di quanto si dovrebbe, senza sosta, senza pausa, senza... motivo!?
Il film "Era ora" ha come protagonista proprio uno stacanovista: Dante (attenzione, questo articolo potrebbe spoilerarvi più di quanto vorreste, quindi valutate se non sia il caso di tornare a leggerlo solo dopo averlo visto!). Dante va sempre di fretta, non si accorge che non sta vivendo una vita di qualità, che il tempo gli sta sfuggendo di mano, e quando se ne rende conto è ormai troppo tardi.
A 50 anni avrò abbastanza soldi da comprarmelo il tempo
è la frase che fa quasi da incipit al film e che più mi stordisce, maturata da quell'idea di lavorare oggi per comprare qualcosa domani, rischiando di perdere sia oggi che domani. Ed è proprio questo che accade a Dante: non ci sono più "oggi" da vivere, si addormenta che ha 40 anni e si risveglia che ne ha 41, e poi 42, 43, 44... nel frattempo lavora, lavora troppo, lavora instancabilmente, ma neanche se lo ricorda, sa solo che la sua vita va in rovina, la sua relazione si rompe, la sua famiglia non esiste più, si incastra in relazioni mai desiderate, e non gli resta che una mera giustificazione:
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l'ho fatto per farvi stare bene.
Il lieto fine arriva, e crea il netto contrasto: se il vivere da stacanovista fa perdere a Dante tutti i suoi giorni, per riconquistarli dovrà decidere di posizionarsi esattamente all'opposto e non dovrà più fare niente. Ci può stare: per riequilibrare un eccesso bisogna andare nel verso opposto almeno per un po', e così, solo smettendo di lavorare (almeno finché le ferie lo consentono) il sortilegio si interrompe, e il giorno dopo il suo compleanno non è un altro compleanno ma, semplicemente, il giorno dopo. E la sua famiglia è lì: una nuova storia si può iniziare a scrivere.
Il rapporto problematico di Dante con il tempo ci rende tutti un po' solidali con lui: chi non arriva a sera esclamando che ci vorrebbe una giornata di 48 ore? Chi non pensa di lavorare troppo, di investire nel lavoro troppa energia, di non aver tempo per se stesso, di aver bisogno di ferie e... bla bla bla... discorsi in cui tutti, bene o male, prima o dopo, ci siamo incastrati. E a me risuona ancora quel termine, stacanovista, che come una spada di Damocle penzola sulla testa, a ricordare che il rischio di perdere il controllo e ritrovarsi come Dante è ben concreto per tutti, anche per me.
Tuttavia, c'è un'altra storia che si snocciola nel film "Era ora", e lo fa quasi in sordina: la storia di Alice. Alice è la compagna di Dante, colei che pare subire le scelte e le incapacità del protagonista, che sembra avere un ruolo passivo, utile solo a dimostrare a quali conseguenze porti il comportamento di Dante. Invece, a me, Alice racconta un'altra storia: la storia di chi lavora sodo, con passione, che mette anima e cuore in quella che è la sua arte , che non si arrende quando la vita va a rotoli e si ritrova da sola a crescere una bambina, che trova (o costruisce) la sua autonomia - mentale ed economica - e riesce a raggiungere il successo. Ce ne possiamo rendere conto quando, attraverso gli occhi di Dante, vediamo in mostra i quadri di Alice, belli, spensierati, forti. E quando arriva l'ultimo quadro... "tutti i giorni in cui ti ho aspettato"... la lacrimuccia è d'obbligo. Non solo per la forza evocativa di tanti giorni messi insieme che sembrano essere andati persi e invece danno vita a un'immagine nitida, ma anche per la presa di consapevolezza che c'è solo una chiave giusta per affrontare la vita e viverla senza subirla, ed è quella della leggerezza: fare della propria passione (sia essa lavorativa o non) un trampolino di lancio e non una gabbia in cui imprigionarsi, esercitare la capacità di fermarsi quando serve, avere la consapevolezza che il tempo non si può comprare, godere delle relazioni e delle persone, trovare il tempo per sorridere, giocare, divertirsi, fare i pancake. Alice è tutto questo, ma il suo vero protagonismo lo si coglie solo alla fine.
E' facile pensare che sia il lavoro a ingabbiarci, ma a volte diventa anche comodo affermarlo. Io penso, piuttosto, che nessun lavoro, se vissuto con passione e dedizione, sia una gabbia. Gabbia è ciò che ci impedisce di vedere oltre, di incontrare gli altri, di realizzare noi stessi, di essere felici. E per assurdo, anche l'assenza di lavoro, o una passione presa troppo di petto, o una relazione sbagliata possono creare un malefico sortilegio di cui diventa difficile liberarsi.
"Era ora" è un film che fa sorridere e commuovere, e vale la pena vederlo. Purché Netflix non sia un altro sortilegio da cui fuggire!
Analista business IT presso Eustema S.p.A.
1 annoGrazie per l'avviso nel tuo articolo. Tornerò sicuramente dopo averlo visto 😊.