Esiste un dolore che dovrebbe diventare dolore collettivo
Quanto conta la vita? Quanto conta la vita degli altri? E la loro morte?
Per cercare di non essere pessimisti e cinici nei confronti della nostra società, oggi ci vuole un bello sforzo di fantasia, una enorme quantità di pazienza, un profondo sguardo visionario. Eppure esiste un male che dobbiamo assolutamente debellare e imparare a osservare: è il fenomeno dei finti buoni, dei parassiti che si professano persone perbene, di chi si vende un collega o persino un amico per avere in cambio briciole, piccoli favori, piccole scalate, di chi tradisce il vero senso della politica solo per accaparrarsi una comoda poltrona.
Esistono, ad esempio, soggetti umani a dir poco curiosi, esemplari casi di studio. Per fare un esempio vicino a noi: alla notizia che il disegno di legge sull'autonomia differenziata è stato approvato, alcuni, certamente cadendo dal pero, come si suol dire, si sono destati dal sonno eterno gridando allo scandalo. Forse dimenticano che tutto ciò è il risultato di un lunghissimo processo che ha avuto come attori tanto la destra quanto la cosiddetta "sinistra".
Tocca forse ricordare agli smemorati di turno che la riforma costituzionale da cui tutto ciò deriva, quella del Titolo quinto, è stata varata da un esecutivo di centrosinistra, il governo Amato del 2001.
Ma, al di là delle inutili diatribe tra la destra e quella sinistra che sinistra non è ma manco per sbaglio, quello che più fa rabbia è che questi casi umani esemplari tutto l'impegno, il livore, lo sdegno e l'indignazione che esprimono contro l'autonomia differenziata non li esprimono, con altrettanta se non maggior forza, contro lo sfruttamento dei lavoratori fino alla loro morte. Non si sperticano in denunce, né social né tantomeno di piazza (per carità), quando una persona, un lavoratore come loro, viene ammazzato sul luogo di lavoro, muore dissanguandosi per giorni per poi essere dimenticato dalla politica, dall'informazione e, inesorabilmente, da ognuno di noi, perché siamo troppo presi dai nostri santini elettorali, dalle nostre inutili e quotidiane beghe personali, dal "campare la famiglia" facendo spallucce perché tanto "meglio a loro che a me".
Il caso umano esemplare di cui vi sto parlando, autore di quel tipo di atteggiamento che dobbiamo assolutamente imparare a riconoscere e a debellare, si infervora solo se sente attaccata la sua tifoseria politica del cuore, il suo beniamino con la fascia tricolore. Come se tutto si potesse ridurre a una questione di tifoseria tra squadre rivali: e certamente la politica è diventata meramente questo, pura tifoseria da stadio.
La memoria è corta, l'ignoranza è profonda, la tendenza a non voler osservare i fatti ha raggiunto livelli storici.
Consigliati da LinkedIn
Ciò che fa più schifo, però, oltre all'incapacità di intercettare i fatti e ricordare la storia, è l'assoluta, e temo diffusa, incapacità di comprendere che esiste un dolore che dovrebbe diventare un dolore collettivo ed entrare nella testa di ognuno di noi, quasi come un'ossessione.
Parlo del dolore delle persone indigenti, di chi sta male e non riceve cure e assistenza, di chi viene sfruttato nei campi, di chi muore in mare, di chi viene massacrato in Palestina in un genocidio di cui dovremmo vergognarci tutti. Parlo di chi viene tradito dai propri colleghi nell'indifferenza generale, di chi viene tradito costantemente dallo Stato senza trovare mai giustizia e verità. Parlo di chi muore dopo giorni di sofferenza, senza un braccio, solo perché voleva lavorare provando a sopravvivere in un paese che non sa proteggere le persone e le sfrutta come schiavi, sia che si tratti di immigrati sia che si tratti di cittadini italiani.
Perché poi, alla fine di tutto, chi si crede migliore, chi ha difeso sempre e solo il proprio orticello, chi ha voltato la testa dall'altra parte, chi non ha voluto né saputo vedere il dolore dei suoi simili, chi ha prestato il fianco ai "padroni" per ottenere "benessere" privandosi della propria voce, della propria coscienza e del proprio pensiero libero, è e resterà per sempre uno che ha scelto di essere schiavo senza dignità e senza umanità.
Laura Ressa