Esiti della pandemia in età evolutiva. La mia esperienza clinica in quest'ultimo anno
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Esiti della pandemia in età evolutiva. La mia esperienza clinica in quest'ultimo anno

Nel mese di Novembre scorso, una giornalista di una testata giornalistica regionale (La Nuova Sardegna) mi contattò per chiedermi disponibilità nel rispondere su quali fossero le conseguenze psicologiche riscontrate nel mio lavoro con bambini e adolescenti durante il periodo di pandemia e soprattutto a seguito della chiusura generalizzata di marzo e aprile. Venne pubblicato un breve articolo che riportava i contenuti principali; essendo però il tema molto complesso ho ritenuto opportuno approfondire e condividere la mia esperienza perché possa essere utile in particolare ai genitori e agli adulti che ricoprono un ruolo di riferimento, sia nel contesto familiare che in quello socio-educativo, in virtù del protrarsi di questa situazione emergenziale.

"Come i bambini e ragazzi nelle diverse fasce d’età hanno attraversato e stanno vivendo questo lungo periodo?" Rispondere brevemente a questa domanda è molto complesso, in quanto è necessario prendere in considerazione una moltitudine di variabili che vanno ad intersecarsi tra loro e che condizionano le risposte individuali nel fronteggiare eventi stressanti e destabilizzanti come quello che tutti stiamo attraversando. I bambini, appartenenti a diverse fasce d’età, dalla pre-scolare fino alla pre-adolescenza, hanno reagito e reagiscono alla pandemia e soprattutto alle misure messe in atto per contenere la circolazione del virus, in maniera molto variegata, non ci sono comportamenti generalizzati.

Nella mia esperienza di questi mesi ho potuto cogliere che i fattori maggiormente influenti sulla soggettività delle risposte individuali hanno riguardato e riguardano tutt’ora innanzitutto la tappa di sviluppo (un bambino di 3 anni non ha le risorse cognitive e psicologiche di uno di 8 così come quest’ultimo non ha il livello di astrazione e riflessione di un ragazzo di 14-16 anni), le condizioni pregresse prima della pandemia (stato di salute psicofisica), il clima familiare e socio-economico di appartenenza, e soprattutto, la risposta psicologica all’evento espressa dai genitori (allarmisitica, depressiva, ansiosa o contenitiva e rassicurante), la qualità dell’interazione e relazione genitori figli (la capacità degli adulti di stabilire una sintonizzazione emotiva con i bisogni dei bambini, contenere le emozioni spiacevoli, trascorrere del tempo e dialogare) e non per ultima, anche la capacità, degli adulti di riferimento, di affrontare le avversità e i fattori di stress e con questo faccio riferimento a tutti gli aspetti di resilienza individuale. 

Il lockdown non è stato uguale per tutti, la maggior parte delle famiglie si è ritrovata improvvisamente a condividere per intere giornate ambienti ristretti, non tutti hanno avuto la possibilità di godere di un giardino o di un balcone, l’organizzazione del lavoro tramite smart working e la gestione della didattica a distanza, hanno poi portato ad una riorganizzazione della struttura familiare in pochissimo tempo che ha mobilitato parecchie energie. La conflittualità tra coniugi in alcuni nuclei familiari e la disfunzionalità della comunicazione ha purtroppo rappresentato un fattore di rischio nell’instaurarsi di un senso di minaccia percepito dai piccoli con esiti probabilmente ancora non noti, ma questo è purtroppo un mondo sommerso perché questi adulti difficilmente chiedono aiuto.

Per molte famiglie, alla limitazione delle libertà si è aggiunta la perdita del lavoro, una sicurezza economica fino ad allora raggiunta, il senso di perdita di qualcosa per il quale si sono fatti nel tempo sacrifici, situazioni che hanno causato frustrazione, rabbia e paura. I bambini, così come gli adulti hanno respirato un’aria generale di incertezza, destabilizzati e trascinati da questa quotidianità così irruenta nella quale i genitori per primi cercavano di comprendere cosa realmente stesse accadendo. L’interruzione brusca delle proprie abitudini e routine quotidiane, la chiusura delle scuole, il blocco delle attività sportive, ludiche, e soprattutto la privazione dei contatti con familiari stretti, come per esempio nonni, cuginetti, ecc, con il gruppo dei pari, ha causato una rottura in ciò che fino ad allora bambini, preadolescenti e adolescenti avevano costruito, andando a minare un proprio senso di “sicurezza. L’uomo è un essere profondamente sociale, vive di relazioni, per la prima volta nel corso della nostra esistenza di questo secolo, abbiamo dovuto fare i conti con la necessità di “proteggerci e proteggere” attraverso il distanziamento sociale, una modalità che va in conflitto con la nostra natura. 

Nella mia esperienza professionale di questi mesi ho potuto riscontrare il verificarsi di disagio psicologico e quindi una “difficoltà di adattamento” nei bambini di età scolare (primaria e secondaria) e appartenenti alla fascia adolescenziale. Per alcuni è stato molto difficoltoso interfacciarsi alla didattica a distanza, sia per la mancanza di una interazione diretta e condivisione di uno spazio fisico con insegnanti e compagni, sia per problematiche più pratiche legate alla qualità dei dispositivi in possesso e alla qualità della connessione; non avere la possibilità di fare sport e attività ludiche all’aria aperta, e quindi la limitazione del movimento, la gestione della noia, la paura di perdere le persone care, hanno portato in alcuni il manifestarsi di una sintomatologia ansiosa declinata nella rottura dei cicli sonno veglia, in un rapporto disfunzionale con il cibo (aumento dell’appetito o inappetenza) o con i dispositivi elettronici (cellulare, videogiochi) usati per la gran parte del tempo, o per lo più, soprattutto, la manifestazione di comportamenti regressivi dietro i quali si celava incosciamente una richiesta di rassicurazione, conforto e contenimento; mi riferisco con questi agli episodi di enuresi notturna, al bisogno di poter dormire nel lettone dei genitori, al cambiamento del linguaggio (bambini della primaria che hanno iniziato ad utilizzare un linguaggio proprio dei bimbi più piccoli), la richiesta di essere imboccati a tavola, agli sbalzi di umore con crisi di pianto. Altri hanno iniziato a manifestare in maniera ossessiva comportamenti legati al controllo dell’igiene, distanziandosi e mostrando diffidenza verso il contatto con ambienti o la vicinanza a persone. Ci sono poi tutti coloro che non hanno potuto vivere il momento di saluto con i propri compagni e insegnanti nel passaggio da una classe all’altra al termine di un ciclo di studi, momento importante nel quale si sancisce un passaggio di crescita importante, qualcosa vissuto come un “salto lungo senza l’appoggio di un ponte sotto i piedi”. Paradossalmente, ad un altro estremo, vi sono tutti coloro che alla riapertura delle scuole hanno mostrato rifiuto o che invece nel periodo della DAD si sono sbloccati nell’interazione con l’adulto e i compagni perché “filtrati e protetti” dal pc o dal cellulare che impediva loro di esporsi in prima persona.

Queste casistiche cui ho fatto riferimento sono parte di casi seguiti, oltre questo però è importante sottolineare che c’è tutta una parte di bambini e ragazzi che hanno mostrato un’attivazione importante di risorse personali che hanno favorito un costante riadattamento e utilizzo in maniera funzionale di energie creative.

Ritengo inoltre opportuno evidenziare che la pandemia e le misure di contenimento ad essa correlata siano andate a sollecitare in maniera patologica situazioni di vulnerabilità e fragilità già pre-esistenti in alcuni casi rendendo ancora più complesso il trattamento. E' ciò che ho potuto riscontrare maggiormente tra i pre-adolescenti e adolescenti. Credo sia la fascia di età più a rischio in quanto privata maggiormente di tutto ciò che aiuta e favorisce la costruzione, in un periodo così sensibile, della propria identità e funzionamento di personalità. I bisogni primari di questa età sono stati limitati, quindi tutte quelle manifestazioni fisiche di contatto, di esplorazione, di vicinanza e confronto tra pari bandite, l’impossibilità di frequentare la scuola, uscire di casa per coltivare relazioni amicali, rappresentano un problema cui è difficile far fronte, causa di frustrazione, rabbia e continua incertezza. Ciò che ho potuto riscontrare maggiormente in chi ha chiesto aiuto ha riguardato introspezioni e continui rimugini sulla propria identità, la dispercezione della propria immagine corporea, il conflitto con il cibo che per alcuni (ragazze in particolare) ha rappresentato l’unica modalità di poter esercitare un proprio controllo sul proprio corpo e sull’ambiente circostante, andando a strutturare fattori predisponenti per un conclamato Disturbo dell’Alimentazione; crisi d’ansia con la cosiddetta “fame d’aria”, attacchi di panico, e stati depressivi che ricalcano un appiattimento emotivo e un adattamento passivo, espressi nella trascuratezza personale e dei propri spazi di vita, e isolamento sociale. In questi contesti è fondamentale che i genitori sappiano cogliere segnali di allarme e che non svalutino o banalizzino questo tipo di comportamenti, considerandoli come transitori del periodo. 

"In che modo gli adulti di riferimento e i genitori possono contribuire al benessere psicologico ed emotivo dei bambini e dei ragazzi?" Credo sia importante innanzitutto chiedersi da adulti che impatto sta avendo questa situazione nella propria vita a livello personale e far contatto con i propri bisogni. Un genitore consapevole è maggiormente in grado di fronteggiare in modo funzionale le avversità perché conosce i propri limiti ma soprattutto le proprie risorse. I bambini si accorgono di questo anche se non viene verbalizzato, apprendono la sicurezza a livello viscerale e si sentono di potersi fidare e affidare. "Cosa è importante dunque?" Osservarsi e osservare  sia i piccoli che i più grandetti. Con i più piccoli, in fascia prescolare, è importante favorire reazioni adattive, ovvero è necessario che i bambini imparino che hanno la possibilità di proteggersi utilizzando le raccomandazioni date (igiene delle mani, utilizzo della mascherina, distanziamento sociale), questi messaggi devono essere veicolati non attraverso la paura o toni allarmistici ma favorendo un clima di sicurezza. Così come per i bambini un po' più grandi, è importante trovare spazi per ascoltare i loro bisogni, per dialogare, parlare, favorire una narrativa personale dei propri stati d’animo e dei pensieri sull’oggi e sul domani, rispecchiare le emozioni, contenere e accompagnare durante fasi down. E’ importante che i genitori trovino alternative nella strutturazione del tempo, nel soddisfare bisogni di stimoli propri dell’età. Attivare la propria creatività nella creazione di nuovi rituali di vicinanza con le persone care per dare continuità alle relazioni affettive. Inoltre, è meglio evitare di seguire continuamente telegiornali o programmi tv nei quali si parla solo ed esclusivamente di Covid-19. 

I toni allarmistici e la paura non consentono alle persone di scorgere le proprie risorse personali e di trovare risposte adattive e funzionali, ecco perché secondo me è importante, come professionisti della salute, lavorare sull’attivazione di aspetti di resilienza che consentano un’elaborazione lucida degli accadimenti in corso e la messa in atto di risposte protettive mosse dalla prudenza ma anche volte alla continuità della propria vita. 

Dott.ssa Teresa Bonu - Psicologa Psicoterapeuta


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